considerare ancora in quelli come un difetto municipale ed una alterazione del vero valor dell’alfabeto
italiano, non si è da me voluto dare per esempio che potesse servire alla intelligenza degli stranieri.
Appresso però alle isolate vocali a, e, o, e a tutti i monosillabi che non sieno articoli o segnacasi, la e
conserva bensì il suono grasso ai luoghi già detti, ma abbandona lo strascico; per esempio a cena, è civico, o
cento. Si osserva in ciò la legge stessa che impera sulla c aspirata de’ fiorentini, i quali dicono la hasa, di
hane, sette havalli, belle hamere, ecc., ed al contrario pronunziano bene e rotondamente a casa, è cane, o
cose, che cavalli, più camere. Come dunque i fiorentini diranno la hasa, di hane, le hose (la casa, di cane, le
cose) così i romaneschi diranno la scena, de scivico, li scento (la cena, di civico, i cento); e all’opposto per
lo stesso motivo che farà pronunziare da’ fiorentini a casa, è cane, o cose, si udrà proferire a’ romaneschi a
ccena, è ccivico, o ccento: imperocché in quelle isolate vocali a, e, o e ne’ monosillabi tutti (meno gli
articoli, i segnacasi, di e da, e le particelle pronominali) sta latente una potenza accentuale che obbligando
ad appoggiare con vigore sulla c iniziale de’ seguenti vocaboli, la esalta, la raddoppia, e per conseguenza
n’esclude ogni possibilità di aspirazione come se fosse preceduta da consonante. La quale identità di casi
offre uno benché lieve esempio di ciò che talora anche le lingue più diverse ritengono fra loro comune e
inconvenzionale: la ragione di che deve cercarsi nella natura e necessità delle cose.
Bisogna qui avvertire un altro ufficio della lettera c. Presso il volgo di Roma le voci del verbo avere sono
proferite in due modi. Quando serve esso verbo di ausiliare ad altri verbi, tutte le di lui modificazioni
necessarie ai tempi composti di questi si aprono col naturale lor suono, meno i vizi delle costruzioni
coniugate: per esempio hai fatto, avevo detto, averanno camminato, ecc. Allorché però lo stesso verbo
avere, preso in senso assoluto, indichi un reale possesso, i romaneschi fanno precedere ogni sua voce dalla
particella ci. Non diranno quindi hai una casa, avevo due scudi, averanno un debito, ecc., ma bensì ci hai
una casa, ci avevo du’ scudi, ci averanno un debbito, ecc. Poiché però il ci non è da essi pronunciato isolato
e distinto, ma connesso e quasi incorporato col verbo seguente, così queste parole e altre verranno da me
scritte colla particella indivisa: ciai, ciavevo, ciaveranno. E siccome esse consteranno pur sempre
dall’accoppiamento di due voci diverse, io vi porrò un apostrofo al luogo dove cade l’unione fonica (ci’ai,
ci’avevo, ci’averanno) affinché da niuno sien per avventura credute vocaboli speciali e di particolare
significazione. Se poi la combinazione della altre parole del discorso, che vadano innanzi alle dette voci a
quel modo artificiale, produrrà lo strisciamento oppure il raddoppiamento della c già da me più sopra
indicato. Ecco in qual maniera si noteranno queste altre due differenze: Io sc’iavevo du’ scudi, Tu cc’iai una
casa, ecc. Se al contrario il verbo avere non indichi un reale possesso allora le sue voci andran prive del ci:
per esempio: avevo vent’anni, hai raggione, averanno la disgrazzia, ecc.
La d appresso alla n mutasi in questa seconda lettera. Vendetta si pronuncerà vennetta; andare, annà,
indaco, innico, mondo, monno. Allorché però le parole principiate da in non saranno semplici ma composte,
come indemoniato, indietro, indorare e simili, la d conserverà il proprio valore.
La g fra due vocali non si addolcisce mai nel modo che sogliono i buoni favellatori italiani, come in agio,
pregio, bigio, ecc., ma si aspreggia invece e si duplica. Doppia poi, o preceduta da consonante avanti alla e
ed alla i, si pronuncia turgida come la c ne’ medesimi casi. Nel resto questa lettera ritiene la sua natura. La
sillaba gli nelle parole si cambia in due jj: mojje (moglie), ajjo (aglio), mejjo, fijjo, ecc. Ma l’articolo gli si
muta in je: je disse, fajje (gli disse, fagli), ecc.
La l fra le vocali e le consonanti mute si muta in r, come Rinardo, Griserda, Mitirda, manigordo, assarto,
sverto, morto, inzurto, ferpa, corpa, quarcheduno, arbero, Argèri, arcuanto, marva, scarzo, mea-curpa, per
Rinaldo, Griselda, Matilde, manigoldo, assalto, svelto, molto, insulto, felpa, malva, scalzo, mea-culpa.
Nulladimeno il vocabolo caldo e i suoi composti diconsi assai più spesso e generalmente callo, riscallo, e
non cardo e riscardo. Ancora nel nome Bertoldo la d fa l e si dice Bertollo. Olio pronunciasi ojjo, rosolio fa
rosojjo, risojjo o risorio. La medesima lettera l preceduta da un’altra consonante in una stessa sillaba,
prende parimenti il suono di r. Pertanto le voci clima, plico, applauso, flauto, afflitto, emblema, blocco,
Plutone, diverranno crima, prico, apprauso, frauto, affritto, embrema, brocco, Prutone.
Alcuni non della infima plebe volgono l’articolo il in el, laddove la vera plebaglia dice sempre er.
La s non suona mai dolce come nella retta pronunzia di sposo, casa, rosa. Odesi sempre sibilante, e,
allorché non sibila, assume le parti di una z aspra: lo che accade ogni qual volta succeda nel discorso ad una
consonate come sarza (salsa), er zegno (il segno), penziere (pensiere), inzino (insino) ecc.
La z nel mezzo delle parole costantemente raddopiasi. Così grazia, offizio, protezione, si proferiranno
grazzia, offizzio, protezzione. Bensì questo s’intende allorché la z rimanga fra due vocali.
Generalmente, al principio delle parole, alcune consonanti restano semplici e molte al contrario si
raddoppiano, purché la parola precedente non termini in un'altra consonante. Ma poiché pure questa teoria,
comune in gran parte alle classi più polite del popolo, va soggetta a capricciose eccezioni, se ne mostrerà la
pratica ai debiti incontri. Dopo però le finali colpite d’accento, sia manifesto, sia potenziale (come si disse
più sopra, parlando de’ monosillabi) da noi si dovrebbe nella scrittura delle consolanti iniziali conservare il
sistema della regolare ortografia. Un segno di più è forse qui oziosa ridondanza, dacché fu avvertito come la