non volendo in tutto allontanarsi dall'uso corrotto, eleggevano una via di mezzo, attenendosi al Testi, al Filicaja e al
Guidi; nobili poeti; ma pur di troppo lontani della semplicità degli antichi esemplari. Aggiungasi la corruzione de'
costumi, entrata coll'ozio e l'ignoranza in Italia; onde avvenne che nel secolo XVII non più si parlava nè d'Omero, e
Virgilio, nè di Dante e di Francesco Petrarca, ma dell'Adone, del Pastor Fido, e di altri libri maestri o provocatori di
lussuria. Finalmente, come notò il M. Maffei «quest'autore ricerca studio fondato e fermo, perchè non poco difficile è da
principio discernere la sua bellezza;» e pochissimi sono coloro che vogliano durare la fatica di uno studio poetico
fondato e fermo. Ma negli ultimi tempi si è cominciato a conoscere alquanto meglio il valore del Savonese; e il Monti
nella Proposta, e il Cesari nelle Bellezze di Dante il commendarono con parole sì fatte, che più non potevasi.
Nelle Satire, o Sermoni, è il CHIABRERA così eccellente, che può dirsi il secondo, dando il primo luogo ad
Orazio, com'è convenevole. Di che veggasi il bellissimo articolo che ne scrisse Clementino Vannetti nelle Osservazioni
sopra di Orazio
4
. Nella satira più audace ed irosa, si provò d'imitare Archiloco, ma non satisfece a se stesso: come
dichiara nella vita sua propria; benchè il Guasco, pubblicando l'Amedeida minore, promettesse di volerne dare con altri
componimenti, le canzoni archiloche, ossia le satire alla maniera di quel Greco.
Negli epitaffj, chi ama la schiettezza congiunta all'urbanità, non può non dar lode segnalata al CHIABRERA. Poche
sono l'egloghe che ne abbiamo; e degne ch'altri non l'abbia a vile. Ne' ditirambi piacque al critico Fioretti ed al Soave; e
che piacesse molto al Redi, si può argomentare dall'avere saputo quest'illustre Toscano giovarsi del CHIABRERA pel suo
Bacco in Toscana.
La gloria d'essere riguardato come il Pindaro e l'Anacreonte e l'Orazio d'Italia, non ritenne il CHIABRERA dal
tentare la poesia drammatica. Non trovo ch'egli mai si volgesse a scrivere commedie; giudicando forse che poco o nulla
si potesse aggiungere a quelle de' Toscani, che veramente sarebbero perfettissime, se non fossero sfacciate. Nelle
tragedie, altri amava meglio trarne gli argomenti dalle favole antiche, altri da quelle de' romanzi: il CHIABRERA imitò i
primi nella Ippodamia, della quale sono lodati i cori; s'accostò a' secondi nell'Angelica in Ebuda; e direi ben anco
nell'Erminia, se io ne avessi trovato notizia sicura.
Un'altra maniera di poesia drammatica è la favola pastorale; che Torquato Tasso avea levato a tal di perfezione
da consigliare i poeti a non volere farsi emulatori dell'Aminta. Io non dirò che il CHIABRERA possa starsi appetto del
Tasso; ma dico d'essere pienamente convinto, aver egli il primo seggio, dopo Torquato, tra gli scrittori di favole
pastorali; e forse a farlo men chiaro, concorrono due pregj, che agli occhi de' volgari sono difetti; la semplicità dello
stile, puro sempre e grazioso, e la modestia del costume; perciocchè, a parlare ingenuamente, v'ha non pochi, e talora in
vista gravi ed assennati, i quali danno lodi egregie a certe composizioni, che forse farebbero segno a critiche amare, se
in quelle non trovassero di che pascere le passioni segrete; e così veggiamo essere avvenuto del Pastor Fido; ch'è una
filza ingegnosa di madrigali e concettini lascivi.
Nella drammatica spettacolosa, ossia nell'ordinare scene con pompa e varietà di macchine meravigliose, ed a'
personaggi che in esse deggiono comparire acconciare brevi parole in verso, fu il CHIABRERA celebratissimo; e i Medici
per ciò il chiamavano a Firenze, e i Gonzaga a Mantova; e per questi suoi ingegnosi ritrovamenti ebbe pensioni da que'
Principi, non per la sua eccellenza nella poesia; chè sempre, tra le nazioni molli ed oziose, il piacere de' sensi venne
anteposto alla illustrazione della mente.
È un altro campo, già tenuto da campioni impareggiabili, e che non pertanto invita gli uomini d'alto ingegno ad
entrarvi per vaghezza di gloria; vo' dire l'epica poesia. Il CHIABRERA in poemetti di poche centinaja di versi sciolti, mostrò
la grandezza del suo ingegno; sia per l'evidenza delle descrizioni, la forza e la rapidità delle azioni, sia per l'eleganza
dello stile; e per quella maestria nel numero del verso, che niuno, dopo di lui, seppe mai pareggiare. Ed eccellente fu
non meno ne' sacri argomenti che ne' profani. Provossi eziandio in poemetti di pochi canti; trattando il soggetto, con
legger mutamento, e in rima e in versi dalla rima disciolti; come fece nel Batista e nella Giuditta, o solamente in isciolti,
quale il Foresto. Ancora, d'un episodio trasse un poema; per esempio, il Ruggiero di dieci canti, ricavato da un'azione
dell'Orlando Furioso. Tentò ancora la vera epopea, scrivendo l'Italia liberata dai Goti, la Firenze, e l'Amedeida. Tutti e
tre hanno pregi grandissimi; e nell'Italia specialmente il nostro Poeta versò il tesoro dell'urbanità ed eleganza toscana
ch'egli possedeva maravigliosamente; ma niuno de' tre è argomento popolare; condizione principalissima negli epici
poemi, benchè i Retori l'abbiano dimenticata ne' loro precetti. La Firenze, è minore e maggiore; quest'ultima ha dieci
canti in ottava rima. L'AMEDEIDE fu dall'Autore pubblicata in canti 23 e ridotta in 10, e in questa minor forma, lui morto,
data alle stampe.
Nè il CHIABRERA fu solamente poeta sommo: vuolsi pur lodarlo altamente come prosatore. Il suo parlare è
propriamente fiorentino purissimo; ma senza riboboli nè smancerie da pedanti: parvi d'udire una gentil donna fiorentina
che non abbia letto libri tradotti malamente dal francese, nè conversato con uomini che s'estimano letterati solo che
possano contaminare con modi stranieri il bellissimo idioma dell'Arno. Non ha periodi lunghi soverchiamente nè
trasposizioni affettate; e dice le cose grandi con parole gravi e semplici; le umili con graziose. Nelle lettere famigliari è
schietto, festivo, felicissimo; e va innanzi a tutti gli altri nostri, specialmente in quelle 150 a Pier Giuseppe Giustiniani,
trovate in Genova, ed impresse in Bologna per gentil pensiero del P. Porrata, nobile genovese, della C. di Gesù. Nella
ristampa fattane in Genova per mio suggerimento, ma condotta contro a' miei consigli, per mano altrui, si legge un certo
numero di lettere inedite, che io ottenni gentilmente da chi avevale trascritte dall'archivio di Savona; ma in esse, come
distese in istile curiale, non apparisce il valore del CHIABRERA. Lodevoli molto sono quelle altre, forse un 250, che
usciranno colla mia assistenza dai torchj del signor Ponthenier. Bellissimi poi sono i dialoghi sull'arte poetica, e quello
che contiene la sposizione di un sonetto del Petrarca: in essi non è la grandezza platonica; sì una nobile semplicità, che
vestendo leggiadramente una dottrina non volgare, diletta e rapisce. Nell'orazione per un nuovo Doge di casa Spinola e
negli elogj de' letterati coetanei, il CHIABRERA è minore di se. Degno di lui è l'elogio di Alessandro Farnese, che con altre
4 Abbiamo i Sermoni del Chiabrera corretti sovra d'un testo a penna ed illustrati, Genova, 1833 in-12.° e in-8.° per
gentil cura del chiar. Prof. Ab. Rebuffo che intitolò quest'edizione all'illustre suo amico Prof. Bertoloni.