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Vincenzo Viviani
Al serenissimo principe di Toscana,
Formazione, e misura di tutti i cieli
con la struttura, e quadratura esatta
dell'intero, e delle parti di un nuouo cielo
ammirabile, e di uno degli antichi delle volte
regolari degli architetti.
Curiosa esercitazione matematica di V. V.,
ultimo scolare del Galileo
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TITOLO: Al serenissimo principe di Toscana, Formazione, e misura di tutti i
cieli : con la struttura, e quadratura esatta dell'intero, e delle parti di un
nuouo cielo ammirabile, e di uno degli antichi delle volte regolari degli
architetti. Curiosa esercitazione matematica di V. V., ultimo scolare del
Galileo
AUTORE: Viviani Vincenzo
TRADUTTORE:
CURATORE:
NOTE: Tratto da riproduzione digitale dell'originale proveniente da
http://gallica.bnf.fr/
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: "Al serenissimo principe di Toscana, Formazione, e misura di tutti i
cieli : con la struttura, e quadratura esatta dell'intero, e delle parti di un
nuouo cielo ammirabile, e di uno degli antichi delle volte regolari degli
architetti. Curiosa esercitazione matematica di V. V., ultimo scolare del
Galileo", di Vincenzo Viviani. Stampato in Firenze nella tipografia di Piero
Matini, 1692
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 9 ottobre 2002
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
David Ramanzini, ramanzini@hotmail.com
REVISIONE:
Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it
PUBBLICATO DA:
Marco Calvo, http://www.marcocalvo.it/
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A L S E R E N I S S I M O
PRINCIPE
DI TOSCANA
FORMAZIONE, E MISURA
DI TUTTI I CIELI
Con la struttura, e quadratura esatta dell’intero, e delle parti
di un nuovo Cielo ammirabile, e di uno degli antichi
delle Volte regolari degli Architetti.
Curiosa
ESERCITAZIONE MATEMATICA
DI V[INCENZO] V[IVIANI]
Ultimo Scolare del Galileo
Accademico Fiorentino
Il Rinvigorito Accademico della Crusca.
Hae sunt Exercitationes ingenii, haec curricula mentis.
Cicero de Senec.
Cave tamen ne excidant haec umquam in aures Hominum disciplinae, erudi-
tionesque expertium; nulla enim horum sunt, quae dicta ad Populum magis
ridicula videantur; nec quae, apud Doctos prolata, magis mirabilia, ac divina.
Plato in Epist. 1. ad Dionys. Siciliae Tyr.
IN FIRENZE nella Stamperia di Piero Matini 1692.
CON LICENZA DE’ SUPERIORI.
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SERENISSIMO
P R I N C I P E
’Aggradimento benigno, che l’A. V. SERENISSIMA
dimostrò nell’esplicazione da me fattale a’ mesi addietro
di quel mio nuovo curioso Enimma Geometrico intorno
all’artifizio di formare, e quadrare il Cielo di quella Tribuna
aperta, o Volta a Vela ammirabile cavata da un Emisfero, e
l’eroica generosità, con cui, ad emulazione de’ suoi Maggiori,
favorisce, e protegge i Cultori delle Arti, e delle Scienze più
nobili, ed in specie gl’Indagatori delle Verità Matematiche, per
la venerazione alle quali V. A. S. più volte m’ha stimolato a
pubblicar qualche parte di quelle, che ne’ miei primi studj io vi
ritrovai, mi da coraggio adesso, coll’obbedirla, di manifestarmi
l’Autore dello stesso Enimma; di propalar, col suo scioglimento,
quello ancora di alcuni altri di simigliante natura, anch’essi
curiosi, e nuovi; e di francheggiargli col suo Serenissimo Nome.
Ne sarà questa mia elezione sottoposta a censura,
conciossiecosachè, trattando io qui di Edifizzj i più
riguardevoli, e sontuosi, che la Pietà, la Magnificenza, e la
Splendidezza de’ Potenti Signori suol consacrare al culto
Divino, od ereggere, e destinare all’Eternità per comodo
pubblico, od in uso proprio; e pretendendo eziandio di assegnar
le vere, e le giuste misure in piano delle lor superficie curve
solite ornarsi o con vaghe Pitture, o con preziosi Musaici di
Artefici i più eccellenti; io non mi poteva queste mie prime
antiche scoperte giustamente ad altri indirizzare, che alla
S
ERENISSIMA
A
LTEZZA
V
OSTRA
, la quale delle più insigni
Architetture, Pitture, e Sculture è Giudice così esquisito, ed
insieme è tanto Amator del vero, del giusto, e del retto.
Oltrechè, avendo l’A. V. fatto pubblico il primo di questi
Problemi, per eccitare gli Analisti famosi, che in oggi illustrano
il Secolo, a queste, e ad altre contemplazioni più peregrine; e
L
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stimando ancor’io convenirsi alla cognizione, che ho della mia
povertà, rispetto alla ricchezza di quegli, il non tardar più, col
palesamento delle presenti mie soluzioni, a dichiararmi di
nuovo, ch’io non pretesi di provocare in ciò, ne di chiamar,
come dir si suole, alcuno a duello; il che mi fu sempre
odiosissimo; ma sol di vedere la moltiplicità delle vie diverse,
per le quali sarebbero tutti pervenuti a scoprire uno stesso, e
così bel Vero Geometrico; di qui è, che, per conseguire da essi la
riconoscenza di tal mio rispettoso fine, all’A. V. ben noto, io
v’interesso la sua potente Tutela.
Aggiugnesi, che, per le costruzioni manifestanti le prove,
opportune allo scioglimento di tai Problemi, si richieda
precisamente l’industria, benchè immaginaria; con cui, in realtà,
l’A. V. già seppe, fra’ suoi giovenili diporti, uguagliare quelle
de’ moderni pretesi Dedali, e Teodori, col vivamente esprimer
nel duro di propria mano, a’ suoi ingegnosissimi Torni; e
caratteri, e Volti Umani, ed altre più difficultose figure; di lui
basso, che d’intero rilievo, con istupore di chi ebbe la fortuna, e
l’onore di rimirarle.
Spero per tanto, che l’A. V. S. non isdegnerà di accettare
questo piccolo saggio di quel grande, ed astruso, che ben V. A.
ravvisa potersi estrarre da queste poche, ma feconde
speculazioni. E all’A. V. S. profondissimamente m’inchino.
DI FIRENZE. 24 aprile 1692.
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Di Firenze, I. Maggio 1692.
A gli Esperti Tornitori Geometri, e Valorosi Analisti
GRAZIA DIVINA,
Amore al Vero, e Dono dell’Inventiva
L’Ultimo Scolare del Galileo
V. V.
RA le proprietà più recondite scoperteci nell’esame del Quanto dagli occhi
speculativi degli antichi Geometri, stupendissima, al parer mio, fu quella,
che vide già il perspicacissimo degl’ingegni Italiani, il Principe nostro
Archimede, col dimostrare la superficie curva della Sfera, o Globo, esser quattro
volte tanto il suo cerchio massimo. Ed in vero, il ricercare, e poi trovar maniera di
distendere in piano una tal superficie curva, la quale, quantunque non sia
infinita, non ha, per così dire, principio, ne fine, o se pur ha l’uno, e l’altro, ne ha
infiniti, e sì da infiniti termini è contenuta, fu impresa da intraprendersi, e
condursi a fine sol da quell’Uomo quasi divino, il quale veddesi poi averne fatto
così gran conto, che, disprezzando ogni altra delle proprie arduissime
speculazioni, si elesse, come in trofeo più memorabile, e degno de’ suoi trionfi, le
figure d’una Sfera, e di un Cilindro da scolpirsi evidenti ne’ marmi del suo
Sepolcro, comecchè, di quella inscritta, e di questo circoscrittole, egli avesse
provato le superficie curve esser fra loro uguali, e riducibili ad un piano d’un
cerchio, se non di nota quadratura, almen di nota grandezza.
Ora io, fin ne’ miei primi studij in età di ventiquattro anni, riflettendo a
questa singolarità di passione della Sfera, e vedendo esser già trapassati quasi 18
secoli, senza che da niuno dopo quello ci fosse stata distesa in piano altra
superficie curva, mi feci quore di pormi ad indagare qualche altra via, a così belli,
ed utili scoprimenti più maestra, ed universale di quella battuta già da Archimede;
e su la traccia delle più diritte additate prima dal gran Galileo, ma da poi
ampliate dagli altri due fecondi Ingegni Italiani, del Cavalieri, e del Torricelli; e
coll’albore, benchè offuscato, scortone da lontano altrove, mi sortì vederne alcune
altre, per le quali ostinatamente seguendo ‘l cammino, giunsi in fine al mio
intento, e trapassailo ancor più la conciossiecosachè, non solamente trovai ripiego
di spianar in figura per ancor non stata quadrata con precisa costruzione
geometrica (quale si è il cerchio) un infinito numero d’altre curve superficie (cosa
di poi per altre guise intrapresa da altri) ma di più, senza ne meno interessarvi
Archimede, mi si aperse l’adito di poterne molte, anzi pur infinite, ridurre, e
convertire in piani di vera, esatta, e geometrica quadratura: il che io non so se
alcuno mai pensasse di fare, non che abbia fatto.
Adesso, nell’età mia de’ 70 compiti, dopo che le contingenze frequenti di
dovermi assiduamente occupare ne’ ministerij, de’ quali fui onorato dal mio
SIGNORE, han quasi per un mezzo secolo intero tenuta la mente mia alienata dal
coltivar di proposito le Matematiche speculazioni, e che i malori del corpo,
acquistati nelle Campagne, m’anno obbligato da due anni in quà pel più del tempo
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a guardar, o il letto, o la Casa, per non passarlo del tutto in ozio a me nimicissimo,
fra que’ miei antichi lavori geometrici, che per li benigni impulsi datimene da
questo SERENISSIMO SIG. ho preso a riordinare, ho fatta scelta de’ seguenti
Problemi così curiosi, e tanto facili a praticarsi, che già mi par di veder, che ve ne
ridiate; essendochè ciascun di Voi Esperti Tornitori Geometri, non che Valorosi
Analisti, co’ vostri scarpelli, e co’ trapani, o co’ succhielli, appena intesigli ne
saprete cavar le mani; se non vi parrà fatica di prima tornire, e poi traforar certi
solidi colle regole speditissime, ch’io son per darvi, spettanti alle loro costruzioni;
dalla notizia delle quali, e da quant’altro v’indicherò ben presto ne troverete anche
a Voi stessi le proprie, o necessarie dimostrazioni; e Voi massimamente Signori
d’oltre a’ Monti; i quali, un tempo fa, colle vostre nuove, e stupende Invenzioni
palesaste al Mondo d’aver Arti da scioglier nodi assai più di questi intrigati.
Il primo di questi Problemi, è quello stesso Enimma, che il mese passato uscì
fuori sotto nome di D. Pio Lisci Pusillo Geometra, Anagramma di Postremo
Galilei Discipulo, che tale, per la Dio Grazia, sono io, che fui l’ultimo a godere
de’ suoi dottissimi insegnamenti; l’ultimo sopravvivente a quanti furono suoi
Scolari; forse l’ultimo di quegli, che con esso trattassero; e quasi l’ultimo di quanti
lo conobber di vista.
Questo medesimo Problema, ed il terzo, che segue, insegnano, fra gli altri,
formare i Cieli di due sorte di Volte. L’una, spiegata a guisa d’una Vela di Nave,
di mia invenzione, con quattro aperture di finestre attorno, e con particolare
artifizio cavate dalla superficie curva d’un Emisfero, cioè dal Cielo della Volta,
detta Tribuna. L’altra, comunemente chiamata a Schifo, per la forma, ch’ella tiene
d’una piccola Barca, detta dal Greco Scapha, e da Noi, lo Schifo, ed è anche
chiamata alla Romana; forse per essere stata riconosciuta più in Roma, che
altrove, per la più aggiustata al comodo di ornar le stanze di quei Palazzi. E
perchè quì, per assicurare del giusto chi spende, e dare il dovere all’Artefice, che vi
dipinga, o vi lavori di Musaico, io vi spiego la regola di riquadrare
geometricamente con esattezza, e senza supporre la quadratura del cerchio, i Cieli,
o le superficie curve di queste due Volte, e delle lor parti; però non disconver
che, in onore della Patria dell’Inventore, tanto Amatora del giusto, io chiami
quella mia Vela Volta a Vela alla Fiorentina Quadrabile, seguitando a
chiamare la seconda, Volta a Schifo alla Romana, coll’aggiunta pur di
Quadrabile.
Appresso, per adattarmi al genio, ed al gusto non solo de’ Teorici, che de’
Pratici, porrò la formazione, e la misura degli altri Cieli dell’usate Volte sopra
base regolare di cerchio, o di quadrato, oltre alla vera, e precisa quadratura d’altre
infinite Volte su basi di lati, ed angoli uguali quanti ne piace.
Tale, in ristretto, è l’argomento di questa mia curiosa Esercitazione
Matematica.
Di tutto ho voluto fare il disteso nella propria favella, affinchè apparisca
esser valevole anch’essa ad esprimere con chiarezza, ed in termini significanti i
concetti dell’animo, eziandio in materie simili scientifiche. Tanto vi basti. E se
persisterete in occuparvi a scoprir Veri ignoti, al che vi condurrà la DIVINA
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GRAZIA, l’Amore al Vero, e ‘l Dono dell’Inventiva, viverete felici, com’io
desidero.
L’Enimma ultimamente proposto così diceva.
Die 4. Aprilis 1692.
ÆNIGMA GEOMETRICUM
DE MIRO OPIFICIO TESTUDINIS
QUADRABILIS HEMISPHÆRICÆ
A
D. PJO PUSILLO GEOMETRA
propositum;
Cuius divinatio, a secretis Artibus illustrium Analystarum
vigentis ævi, expectatim, quod, in Geometriæ pura
historia, tantummodo versatus, ad tam recondita videatur invalidus.
Nter venerabilia eruditæ olim Græciæ Monumenta, extat adhuc,
perpetuò equidem duraturum, Templum augustissimum,
ichnographia circulari ALMÆ GEOMETRIÆ dicatum, quod, a
Testudine intus perfectè hemisphærica, operitur; sed in hac, fenestrarum
quattuor æquales aræ (circum, ac supra basim huiusce hemisphærij
dispositarum) tali configuratione, amplitudine, tantaque industria, ac
ingenij acumine sunt extructæ, ut, his detractis, superstes curva Testudinis
superficies, pretioso opere musivo ornata, Tetragonismi verè geometrici
sit capax.
Quæritur modò, quæ sit, qua methodo, quave arte, pars ista
hemisphæricæ superficiei curvæ quadrabilis, tensæ ad instar Carbasi, vel
turgidi Veli nautici, ad Architecto illo Geometra fuerit deprehensa? & cui
demum plano geometricè quadrabili sit æqualis?
Ræsentis Ænigmatis enodatio (quod spectat ad huius admirabilis Fornicis,
tum Constructionem expeditissimam, tum Quadraturam) SERENISSIMO
FERDINANDO MAGNO PRINCIPI ETRURIÆ, Scientiarum &
nobiliorum Artium CULTORI, AC PATRONO GENEROSISSIMO, ab eodem
Ænigmatista collata iam est; qui quidem simul non dubitat quin hoc ipsum
Ænigma singuli, literario in Orbe degentes hodie, præclarissimi Analystæ, sint
statim divinaturi, proprias quadrationes impertiendo singularis huius Testudinis
tetragonismicæ ab hemisphærio dissectæ: sed ipsorum solummodo peracutas
I
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indagines, multiplicesque industrias ad hoc unum, idemque geometricum
collimantes, impatienter expectat, ut hinc, qui temerè contumelias in Geometriam
iacere audent, silere discant; vel potiùs maxima cum voce exclament. OH UNICA
VERORUM SCIBILIUM SCIENTIA A DIVINA in Hominum MENTE infusa!
ut hæc, imperviis, mutabilibus, fallacibusque contemptis, æterna ista, quæ
semper, & unicuique sunt eadem, tantùm appetat, nilque aliud unquam magis
innocuum scire perquirati.
Quest’Enimma dunque ho converto nel seguente
PROBLEMA PRIMO.
Trovar una mezza Sfera, ed assegnar sulla superficie
curva di essa non quadrabile una porzione,
che sia eguale al quadrato della data retta AB.
ornitevi una Sfera, o Globo, che volgarmente noi diciamo Palla,
rappresentata da un suo cerchio massimo A C B D, il quale
figuratevelo come un verticale, di cui il diametro orizzontale sia la
data retta A B, centro E, raggj E A, E B.
Questi dividetegli per mezzo in F, G. Dipoi, fattosi fabbricare un
Succhiello, o Trapano, la cui maggior grossezza, o larghezza tagliente sia
appunto uguale ad uno de’ raggi E A, E B: con esso traforate la Palla,
tenendo l’asse del ferro, secondo le direzioni, ch’io chiamo centrali, delle
rette N F, P G perpendicolari al piano di esso cerchio A C B D, dal quale il
taglio di detto ferro scaverà i due cerchi uguali A H E L, E I B M toccantisi
in E.
Ciò fatto, dico, che avete e presto, e bene sciolto il Problema ciascuna
di queste mezze palle, A C B superiore, e A D B inferiore: cioè, che il
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trapano, che è passato fuor fuori, ha portato via da ciascuna superficie
curva degli Emisferj quattro spazzj eguali, e simili bilineari, in forma di
quattro mezzi occhi, o finestre; che due dalla parte d’avanti, e due
all’opposta, toccantisi fra loro in punti sul giro della base orizzontale, e che
ciascuno degli avanzi di dette superficie curve emisferiche, toltene le
quattro finestre, è per l’appunto eguale al quadrato della data A B fatta
asse della Sfera. Il che è l’istesso, che dire, è doppio del quadrato A C B D
descritto dentro al medesimo cerchio massimo. Onde la superficie curva di
tutta la Palla A C B D, toltine i quattro occhi interi consumatisi nelle due
traforazioni, è quadrupla di esso quadrato inscritto A C B D; nella guisa,
che tutta la superficie sferica è quadrupla di tutto il massimo cerchio R S V
T circoscritto ad esso quadrato A C B D.
Dal che ne vien, come Corollario, che ciascuna superficie curva de’
quattro occhi rotondi, o finestre intere, è quadrupla di ciascuna delle
proporzioni piane A R C, C S B, B V D, D T A, che avanzano al cerchio R S
V T toltone il quadrato inscrittogli A C D B.
E perchè tanto l’una, che l’altra superficie emisferica, toltine i suoi
quattro mezz’occhi, ha forma d’una Vela gonfia di Nave, che può servir di
Cielo ad una nuova Volta, il quale posa sul cerchio, ch’è intorno al
diametro A B, ed è cavato coll’aperture delle quattro finestre da quel Cielo
intero, e serrato della Tribuna a mezza palla: Di qui è, che l’operazione
fatta sopra vi mostra ‘l modo di formarvi speditamente sul vostro torno, e
co’ vostri trapani, non che uno, due Modelli del Cielo di questa Vela, che
per li motivi addottivi io chiamo Vela quadrabile Fiorentina, le cui quattro
punte, A, E, E, B, (dette da’ Muratori, petti, o piedi) posano su’ peducci
posti negli angoli, A, E, E, B di quel quadrato, che torna inscritto all’altro
cerchio massimo eretto perpendicolare al Verticale R S V T.
Eccovi dunque bastantemente indicato con evidenza palpabile, e segnato con
geometrica, e speditissima costruzione sul convesso di questa Sfera i perimetri de’
quattro occhi interi, o finestre, i quali perimetri vengon dati dalle comuni sezioni,
11
che di lor natura, e necessariamente si fanno di quelle due superficie curve, sferica
esterna del globo, e cilindrica interna generata dal trapano, terminanti il giro di
esse finestre interne, le quali doppiamente soddisfanno al quesito.
Questo è quel che a’ mesi passati, per saziar la nobil curiosità di questo
SERENISSIMO PRINCIPE FERDINANDO, spiegai all’A. S. con altre varie
maniere, da me già tenute per dimostrar questa ammirabile quadratura di Vela,
con altro, che qui pure dirò poco appresso.
Ma or frattanto vi dico, e voi stessi, dal dettovi, ritroverete, che su questa
medesima Vela Fiorentina si posson assegnare altre Vele infinite, ed altre parti di
essa, le quali sien tutte quadrabili, quali per esemplo sarebbono col mantener
all’intera Vela una delle due sue larghezze da’ piedi, cioè uno de’ due assi
orizzontali dell’Emisfero fra loro a squadra, che congiungono le cocche, o pur le
punte, o i lembi estremi della Vela intera, e collo scorciar l’altra larghezza, o
distanza fra i rimanenti due lembi opposti, col fargli terminare sull’arco di quel
mezzo cerchio verticale (il qual passa per gli altri lembi dell’intera) per distanze
eguali dal polo, o vertice di tal arco: poichè in tal maniera ciascuna di quest’altre
infinite Vele, più strette per un verso, che per l’altro, si può ridurre in quadrato
con esattezza geometrica, e far , che questa, alla Vela intera abbia qualunque
data proporzione di minoranza, e che perciò ella sia eguale a qualsisia dato
quadrato minor di quello dell’asse, a cui è uguale la Vela intera: essendochè la più
stretta, o secondaria, che voglia dirsi, alla primaria sta sempre come la retta
congiugnente le cocche più corte (che restan come in aria staccate dalla base di
tutta la primaria) alla retta congiugnente le cocche più lunghe, ci all’asse di
quella Sfera, ec. Siccome altre infinite Vele si posson considerare sulla stessa
(*)
superficie emisferica, quadrabili ne’ lor tutti, e nelle lor parti, ec. Proprietadi in
vero, non men rimarcabili di quante sieno state fin’ora estratte dall’indeficiente
miniera della Geometria, delle quali sole, sull’esempio d’altri Inventori, avrei
potuto far subito gran fracasso: e se l’ambizione mi avesse predominato, pregiarmi
ancora (com’essi han fatto) più d’Archimede primo riduttore della superficie
sferica in piano, allorachè, quarantasei, o più anni sono io mi fossi considerato per
iscopritore d’un metodo così vasto, ed universale stato ignoto agli Antecessori, e
propagabile in infinito a cose non men belle, che nuove, e col quale, in questo
particolare, trovai nel medesimo tempo non solamente l’estensione delle parti della
superficie sferica in piani non ancora quadrabili, come fece Archimede, ma di più
le sopradette estensioni di parti infinite, e per più versi considerate, di simiglianti
Vele, con ridurle a noti quadrati, o rettangoli. Contuttociò io non ne feci, ne so
farne tanto romore, e non mi presumo tanto, perchè io conosco me stesso. Godo
bensì, e mi appago di queste, e di altre non men degne scoperte; ma non resto però
di ceder il campo ad ogniuno, come sempre il cedei: anzi or risolvo di non
intraprender più in avvenire nuove speculazioni, contento di queste, e dell’altre
(*)
Nota a margine: In breve, poichè le parti della Vela primaria, e di qualunque di queste
secondarie, tagliate da archi di mezzi cerchi massimi, che passano per E, B, C (punti
opposti de’ fori) si posson ridurre in tanti quadrati, o rettangoli, ec.
12
già fatte, tali quali si sieno; se non per altro, almeno pel numero, trascendente
l’immaginativa, e la credenza degl’Informati delle tante, e varie mie distrazioni
in continua agitazione del corpo, e dell’animo, troppo repugnanti alla tranquillità,
che in fatti studj, la mente mia stanchissima richiedeva. Ma rimettianci alla
Vela.
Se voi desideraste di veder in opera di rilievo il Modello di questa
Vela quadrabile (essendochè riesca assai malagevole il traforar con un
trapano stesso un globo digià tornito, ed in guisa, che i trafori si tocchino
per tutta la lunghezza dell’asse del globo, senza intersegarsi fra loro, ed il
far sì, che tal’asse si adatti appunto, e si unisca co’ due lati de’ fori
cilindrici, che passan per E) vi darò questa regola sicura e facile per la
pratica.
Ordinate farsi di legno duro due perfetti paralellepipedi eguali su
basi eguali, e simili rettangole spianatissime A B, C D, di questa prima
Figura, alte circa al doppio della larghezza, ed i solidi sieno d’egual
lunghezza non minore dell’altezza, o grossezza loro. Ciascun di questi
traforategli in diritto per la lunghezza con un trapano, quanto vi piace più
stretto di questi legni, col porre la punta di esso ne’ centri E, G, delle basi,
per farla riuscire per li centri delle opposte. Dipoi, fate piallare a poco a
poco due delle facce loro più larghe, come le B R, P S, tantochè, in levar via
que’ sottilissimi brucioli, i piani arrivino a toccare precisamente i lati de’
fori cilindrici, che passano per li colmi F, H, e per gli altri, che terminano
sulle circonfereze de’ cerchi opposti.
13
Fatto ciò, incollate sottilmente questi due piani insieme, talmentechè le
basi A B, C D compongano un sol piano rettangolo A D della seconda
Figura, e che i medesimi colmi F, H, di essi fori, si tocchino, siccome gli
altri de’ cerchj opposti, e in conseguenza, i lati de’ cilindri voti, che
passano per F, H, diventino un lato solo. Finalmente mettete sul vostro
torno questo composto di legni, sicchè una delle punte entri in F, unito con
H, e l’altra nel suo corrispondente punto dell’altra testata: e con la
vostr’arte di tornir su le punte (se però non vi volete valere del torno in
aria sulla coppella) formatevi un Globo, il cui asse sia eguale appunto alla
retta L N composta de’ diametri de’ due fori; il che vi accorgerete di aver
conseguito allora, che nel tornire in tondo, sarete arrivati a quasi sfondar
dentro a’ fori; che in quell’atto vedrete, con vostro sommo diletto, d’aver
ultimato il lavoro del modello desiderato, anzi pure di due della Vela
quadrabile Fiorentina.
PROBLEMA SECONDO.
Trovar un solido, ed un Trapano, col quale, forando quello
fuor fuori, l’interna superficie rotonda, che vi si crea, sia eguale
al dato quadrato A B C D.
ongiugnete i diametri A C, D B, e compite il quadrato A E D F.
Tornitevi poi un cilindro retto all’altezza di A E, grosso altrettanto ne’
diametri delle basi A F, E D. Dipoi con un trapano, la cui massima
ampiezza sia quant’è l’altezza, o la grossezza del cilindro, foratelo banda
banda secondo la direzione centrale della retta G H, la qual congiugne i
punti di mezzo G, H, de’ lati opposti F D, A E.
Dico, che così rimane sciolto il Problema: cioè che la superficie
rotonda interna fatta dal trapano dentro al cilindro è per appunto uguale
al dato quadrato A B C D.
C
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PROBLEMA TERZO.
Tornire un solido, la cui intera superficie curva rotonda sia
eguale al dato quadrato A B C D.
al centro del quadrato congiugnete le E A, E B; compite il secondo
quadrato A E B F: congiugnete la E F segante l’A B in G, e formate
il terzo quadrato A G F H.
Tornitevi poi un cilindro retto che sia alto, e grosso quanto F G,
sicchè, per esempio, i diametri delle basi sieno i lati A G, H F; e questo
stesso cilindro, che torniste intorno a’ centri delle basi A G, H F, ponetevi
di nuovo a tornirlo per l’altro verso in croce, cacciando le punte del vostro
torno ne’ punti di mezzo L, M de’ lati opposti A H, G F del terzo quadrato;
ed in far questo lavoro valetevi d’uno scarpello di taglio perfettamente
diritto, e più lungo dell’altezza, grossezza di esso cilindro; con questa
avvertenza però, che il medesimo taglio diritto dello scarpello si stia
sempre paralello a se stesso, e a’ diametri A G, H F delle basi del cilindro
fatto a principio, e con tal invariabil politura del ferro andate il suo taglio
spignendo a poco a poco più innanzi fin che, nel portar via quella
sottilissima tornitura, egli arrivi appunto a radere dall’una parte, e
dall’altra i poli I degli archi delle metà di quel cerchio, il quale segnato sul
cilindro, ha per diametro la retta M L; e qui subito date fine a quest’altra
tornitura; che io dico aver voi così, perfettamente sciolto il Problema.
Cioè, che tutta la superficie curva di questo solido, per due versi
cilindrica, è eguale al dato primo quadrato A B C D.
Or perchè, come voi vedete, il quadrato A H F G divide in due parti
uguali tutta la superficie curva di questo solido così tornito in croce, e
ciascuna di tali metà forma giusto un modello del Cielo di quella Volta
detta comunemente Schifo alla Romana, di qui potrete concludere, che
D
15
qualunque di questi Cieli è doppio del proprio quadrato A G F H su i lati
del quale sta esso impostato. E perciò da qui avanti questo Cielo, e questa
Volta potrà dirsi Schifo alla Romana quadrabile; di cui avremo la giusta, e
vera quadratura col moltiplicare il perimetro, o giro del quadrato sua base
nella sua altezza, o sfogo, ovvero nel cateto, che dal centro di esso
quadrato cade sopra uno de’ lati.
Ma la quadratura di questo Cielo s’estende ancora ad ogni altro degl’infiniti
Cieli, che si facessero sopra qualunque altra base poligona regolare; quando, cioè,
da ciascun de’ lati si staccasse una quarta di superficie di cilindro generata da esso
lato, nel rivolgerlo, ed alzarlo paralello a se stesso fin al vertice, come base di quel
triangolo equicrure, che ha la sua cima nel centro del poligono: poichè da’ comuni
segamenti di queste eguali quarte di circonferenze di Elissi, che hanno per
semiasse maggiore il raggio del poligono, e per minore il suo cateto; e fra l’una, e
l’altra quarta d’Elisse si conterrebbe uno spicchio di superficie curva cilindrica, e
tutti insieme questi spicchj formerebbono un Cielo di Volta, che pur si potrebbe
dir a schifo alla Romana quadrabile, sopra base pentagona, essagona, o altra
qual’ella si fosse delle regolari.
Conciossiecosachè ciascuno di tali Cieli, è eguale al rettangolo fatto dal giro
del poligono base della Stanza, o del Tempio, e dal cateto del medesimo poligono,
cioè, al rettangolo d’uno de’ lati nel cateto moltiplicato pel numero de’ lati.
In oltre, ed è cosa ammirabile, se tutto questo Cielo si segasse con un piano
paralello alla base per cavar nel colmo una apertura per pigliare il lume; anche del
Cielo, che rimane fra essi piani, si avrebbe speditamente la giusta riquadratura in
piano; perchè tutto ‘l Cielo a quella porzione levatane sta sempre come tutto lo
sfogo dello schifo allo sfogo del Ciel levato; in quella guisa appunto, che la
superficie curva di tutto un Emisfero alla curva d’una porzione circonpolare, sta
come lo sfogo dell’Emisfero allo sfogo della medesima porzione.
Di più, questo medesimo solido tornito per due versi a cilindro, se punto
punto vi penserete, lo troverete esser due terzi del cubo, che lo circoscrive, cioè del
fatto sul quadrato A H F G.
16
PROBLEMA QUARTO.
Trovar un solido, ed un trapano, col quale, traforandolo, il
voto che vi si farà, sì rispetto alla solidità, che rispetto alla
superficie, sia proporzionalmente analogo ad un globo.
ornitevi qualunque cilindro retto, il quale sia alto appunto
quant’egli è grosso, e per esemplo A B C D sia uno de’ suoi
rettangoli quadrati per l’asse, e A D, B C sieno i lati opposti
dell’altezza. Prendete poi un trapano,
la cui massima ampiezza sia precisamente eguale alla grossezza, o altezza
di tal cilindro, e con esso traforatelo secondo la direzione centrale della
retta E F, la qual congiugne i punti di mezzo E, F de’ lati.
Ciò fatto, dico, che avete sciolto il Problema: cioè, che riempiendo il
voto, che si sarà fatto dentro al cilindro, la figura di tal ripieno, tanto nella
solidità, che nella superficie rotonda, è proporzionalmente analoga ad una
Sfera.
Anzi di più, che questo tal solido, che ristaura il cilindro, è anch’esso
due terzi del cubo, che lo circoscrive, cioè di quello che si fa sul quadrato
A B C D: nella guisa che il cilindro circoscrivente una Sfera è sesquialtero
della medesima Sfera.
PROBLEMA QUINTO.
Trovar un solido rotondo, ed un Trapano, o Succhiello, col
quale forandolo banda banda, la superficie curva rotonda, che
vi lascia dentro creata di nuovo il ferro, sia eguale alla curva
superficie rotonda esterna, che il medesimo ferro avrà alla fine
T
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consumato di sul solido da ambe le parti, e tanto l’interna, che
l’esterna sia eguale al dato quadrato C G H I.
irate i diametri C H, G I segantisi in L, e compite il quadrato C L G
B.
Tornitevi poi un cilindro retto, del cui rettangolo per l’asse A B C D il
lato, ovvero altezza A B non sia minor del diametro B C della base, e con
un trapano, la cui massima ampiezza sia precisamente eguale ad esso
diametro B C, passatelo fuor fuori secondo la direzione centrale della retta
E F, dividente pel mezzo i lati A B, D C.
In tal maniera operato, dice essere sciolto il Problema: cioè, che la
superficie curva interna formata dal ferro è eguale al composto delle due
superficie, che dall’una, e dall’altra parte ha consumato il ferro stesso di
sul cilindro: e che tanto l’interna, che l’esterna è uguale al quadrato C G H
I.
PROBLEMA SESTO.
Trovar un solido contenuto da due superficie, una piana,
ed una curva, e trovar un trapano, col quale traforando la
superficie curva pel traverso, l’altra curva superficie rotonda,
che si forma dentro al solido, sia eguale non già, come nel
passato Problema, a quella superficie curva, che esso trapano
averà consumato di sul solido da ambe le parti, ma a quella
T
18
curva, che sul medesimo solido sarà rimasta dopo la
traforazione; e sì, che tanto l’una, che l’altra sia eguale al
quadrato della data retta A C.
ornitevi un globo, di cui l’asse sia quanto A C linea data, nella metà
del qual globo sia B A D uno de’
mezzi cerchi massimi, di cui il polo sia A, centro E, diametro B D, e preso
un trapano di massima larghezza, o grossezza eguale al mezz’asse A E,
con esso traforate il detto mezzo globo secondo la direzione centrale della
retta F G, la qual, passando per H punto di mezzo della A E, sia
perpendicolare al piano del medesimo mezzo cerchio B A D.
Dico, che, terminata questa operazione, avete sciolto il Problema,
cioè, che tanto la superficie curva interna generata dal trapano nella mezza
Sfera, quanto la superficie curva esterna, che rimane su quella, intatta dal
ferro, è ugual appunto al quadrato della data retta A C.
Laonde, fatta una simile traforazione per di sotto nell’altra metà di
Sfera, ne vien per Corollario, che di questa così traforata a doppio,
l’universal superficie composta dall’interno de’ fori, e dell’esterna
rimanente alla Sfera, è quadrupla dell’istesso quadrato dell’asse A C della
Sfera.
T
19
E che l’universal superficie del cubo di A C ad essa Sfera circoscritto
è sesquialtera dell’universal superficie, interna, ed esterna di detta Sfera
inscrittagli, e traforata a doppio, come sopra: nella guisa che l’universal
superficie del cilindro circoscritto alla Sfera è sesquialtera dell’universale
della medesima Sfera.
Anzi di più vi dico che, aiutati da questa costruzione, e da tali notizie,
troverete, e dimostrerete, che il solido, che qui rimane alla mezza palla,
dopo fattole quel traforo, è la sesta parte del cubo dell’asse A C della palla
tornitavi.
Donde proverete appresso, come un altro Corollario, che, fatta una
stessa traforazione dentro l’altro emisfero di sotto B C D, quel solido, che
rimane all’intera Sfera; toltone i solidi de’ due fori, è la terza parte
dell’istesso cubo, il qual poi è quello, che circoscrive la medesima Sfera.
E perciò d’ogni residuo di Sfera così traforata a doppio (che divien un
solido contenuto dentro da due parti di due superficie cilindriche, e fuori
da parte della superficie sferica) il cubo che la circoscrive, è triplo; e quel
residuo traforato così bizzarro, sferico cilindrico, geometricamente si
riduce in un paralellepipedo noto.
Di più. I due perimetri, o giri, od orli, che chiamar gli vogliate, de’
due occhi interi scavati dal trapano dentro la superficie curva
dell’Emisfero B A D nella parte davanti, e nell’opposta, contuttochè e’ non
sieno circonferenze di cerchj, ne di Elissi, ne di altre figure note, anzi sieno
linee assai sghembe, e non distese in piano, contuttociò, prese insieme, son
uguali alla circonferenza piana di quell’Elisse, di cui l’asse minore sia
l’asse A C della Sfera intera, ed il maggiore possa il doppio del minore.
Di più. Ma io non la finire’ mai. Cercate un po’ da voi, che per queste
aperture, e con questi occhi scorgerete cose non più vedute, e tutte
singolari, e mirabili della Sfera, e di altre sue parti superficiali, e solide non
ancora, a notizia mia, state scoperte da altri, ne men forse in altri solidi
rotondi.
Ma seguitiamo a contemplar i Cieli delle nostre Volte; ed acciò che più
francamente ci sortisca di penetrargli, e di meglio concepir la struttura loro,
facendomi più da lontano, premetto, che
Oltre alle varie maniere inventate dagli Architetti d’impalcar con legnami le
Stanze, cinque sorte di Cieli semplici, o coperte sopra basi regolari di quadrato, o
di cerchio (alle quali diedero nome di Volte) più comunemente si ordinano da essi
Architetti per gli Edifizj, da mettersi in opera con muraglia, ed abbellirsi o con
ricchi musaici, o con pitture di Artefici più singolari.
La prima, è chiamata da quegli, Volta a mezza botte, la qual è forse la più
antica; come che dalla Natura medesima l’imparassero nell’osservare, che,
godendo essa della forma circolare, fin la sottile scorza, che circonda ‘l fusto d’un
albero segato pel lungo nel mezzo, e me ssa a diacere col concavo per di sotto, è
valevole a sostener grandissimi pesi posati sul convesso, o schiena di tale scorza.
20
Se voi dunque volete farvi il modello di questo Cielo, tornitevi un cilindro
grosso quanto alto, e segatelo in due secondo, che va la retta congiugnente i centri
delle sue basi; che di ciascuna di queste parti il convesso, vi mostrerà quello del
Cielo della mezza botte.
Per fabbricar questa Volta costumano gli Architetti di far alzare sopra le
mura opposte, e fra loro più prossime della Stanza, s’ell’è di base quadrilunga, più
centine gagliarde composte di tavole ben confitte, ed erette fra loro paralelle, e a
squadra a i muri già messi in piano, e dintornate in arco di mezzo cerchio, tanto
minor raggio di quel che sia la metà della larghezza di detta Stanza, quanto
importa la grossezza de’ correnti, e degli asserelli, o cannucce, che sopra loro si
fermano, e s’intraversano dall’una centina all’altra. Sopra questa coperta poi, con
ismalto, o con muro a mano, di lavoro cotto, ben collegato a filo per filo fra lor
paralelli, fanno da’ fianchi in su alzar unitamente la fabbrica attorno attorno
sopra quell’armadura, e gli ultimi filari prossimi al maggior colmo, gl’inconiano a
stretta con lavoro stracotto, e con leghe di pietra cacciatevi di concordia a forza di
colpi discreti; e già basso, ne’ fianchi, sin’a due terzi in circa dell’altezza, la fanno
fare il doppio più grossa, affinchè il rimanente dell’arco in mezzo, che gravando
spigne alle bande, trovi quivi maggior resistenza, e contrasto.
In tal guisa operato, è certo che la superficie curva, o il Cielo di sotto prende
la forma arcuata di quella d’un mezzo cilindro, o d’una mezza botte. Ma perc
questo Cielo, dopo dipinto che sia, dovendosi misurare per soddisfare il Pittor della
sua mercede (col quale è solito di convenir del prezzo a un tanto il braccio quadro)
non si sa ridurre in piano giustamente quadrato, se non col paragonarlo al mezzo
cerchio, che fa base a quel mezzo cilindro; ed il cerchio non è stato per ancora
quadrato con precisa costruzione geometrica da valersene per la presente pratica
(se però questa precisione non ci verrà data dal soprumano ingegno del Sig. G. G.
Leibnizio, che già enunciò quella sua mirabilissima quadratura esatta arimmetica
per indefiniti numeri rotti, ec.) però anche il Cielo della mezza botte non lo
sappiamo precisamente quadrare, e solo (in relazione ad un noto quadrato) in
termini per altro noti pronunziarne la sua quantità, ed esprimerla poi in numeri
prossimi.
La seconda Volta è quella, che qua da alcuni si chiama Tribuna, ed i Latini,
anzi i Greci dissero Tholus. Questa per avventura fu ritrovata dall’osservar, che,
eziandio un sottilissimo mezzo guscio d’uovo rivolto all’ingiù, resiste ad immensa
forza, che se gli faccia sopra. Ed anche a fabbricar questa diedero forse lume le
forme rotonde scavate de’ Nidj, e delle Tane, che col natural istinto si fabbricano
varj Animali privi della ragione.
Per farsene il modello, già voi sapete, e vedete, che, segata pel centro una
palla, ciascuna delle superficie curve di tali parti è un perfettissimo Cielo della
Tribuna serrata.
Per costruirla, il nostro immortal Filippo di Ser Brunellesco Lapi fece veder
in opera colla stupenda Cupola di questo Duomo, che ogni gran mole arcuata si
può sollevar da terra a qualunque altezza, senza sottoporle centine, od armadure; e
che, questa Emisferica in particolare, si perfeziona coll’andar a suolo per suolo in
21
giro collegatamente murandola legata da un semplice filo, o asta fermata con un
de’ suoi estremi nel centro del cerchio, sul quale s’alza la Tribuna, e lunga
appunto quanto ‘l mezzo diametro di quel cerchio.
Ma, avendoci avanti dimostrato Archimede, che questo cerchio è la metà
della superficie curva della sua mezza palla, è chiaro, che il doppio del prossimo
riquadrato di tal cerchio sarà la prossima riquadratura del suo Cielo dipinto.
Delle rimanenti tre Volte osservai, che la terza, e la quarta le composero di
parti della prima e mezza botte, e che la quinta la formarono d’una sola parte della
seconda a Tribuna serrata. Mi dichiaro.
La terza, alla quale continuai il suo nome di Volta a schifo alla Romana
coll’aggiunta di quadrabile, è serrata anch’essa attorno attorno come la seconda a
Tribuna, ma è creata dall’incrociamento a squadra di due Cieli della prima Volta a
mezza botte voltati su i lati opposti d’un medesimo quadrato, formandosi que’
quattro spicchj, come vi ho significato seguire nel terzo Problema, nel quale vi
mostrai la maniera di farsene il Modello sul Torno.
La pratica del fabbricarla si è col far due centine eguali a mezz’ovato,
segnato al solito dal filo, che si gira attorno a’ suoi estremi fissi, ec. le quali
abbiano per diametro la diagonale della stanza quadrata, che s’intenda coprir in
Volta, ed abbiano di sfogo, o rigoglio la metà appunto del lato di tal quadrato, cioè
il cateto su quello. Tali due centine si ereggono diagonalmente sugli angoli opposti
della Stanza; che una intera, l’altra divisa in due, così scorciate ne’ colmi, che
coll’intera congiunte, formino in mezzo una croce a squadra perfetta. Dipoi
s’incorrentano in traverso orizzontalmente per diritture paralelle que’ quattro
spicchj trangolari, e sopra vi si fa l’incannucciatura in arco, secondo che va la
piega degli spicchj, che sono porzioni uguali, e simili di superficie curva di quella
mezza botte, che si gettasse sopra la medesima stanza quadrata, formandosi così
nel Cielo di sotto quattro spigoli incavati per insu all’indentro, e che s’incrociano
nel colmo ad angoli retti: mentre pe non vi si voglia creare qualche spazio
quadrato, o d’altra figura, che più aggradisca per farlo dipignere.
Nel murarla poi, come ho detto nell’altre, si va da’ quattro lati
dell’impostature unitamente alzando attorno filar per filare ben collegato, fin che
si arrivi al suo colmo, o serraglio.
Lo spazio di questo Cielo a Schifo quadrabile alla Romana, già vi dissi esser
doppio della propria pianta quadrata, siccome quello dell’altro a Vela alla
Fiorentina. E voi stessi con somma facilità, dalla certezza di ciò, dimostrerete esser
vero il tutto fin qui enunziato, poichè, il solo saper la esistenza, o la possibilità
d’una conclusione geometrica, agli acuti ingegni inventivi (i quali dal nostro
saggio SERENISSIMO FERDINANDO, con più che Platonico detto chiamansi
Ingegni creatori) di sommo aiuto si è il ridurre all’atto questa potenza, nella guisa
che, il saper, per esemplo, darsi triangoli sulla stessa base, in ciascun de’ quali il
quadrato di questa è eguale alla somma de’ quadrati de’ lati loro, sarebbe di grande
aiuto a dire, e dimostrare qual sia la spezie di questi triangoli, senza che Pittagora
l’insegnasse: siccome s’io affermassi, darsi d’un cerchio non ancor riquadrato,
infinite parti geometricamente quadrabili. Se dunque tal pura notizia è di aiuto,
22
tanto più lo sarà coll’indicazione di quali sien quegli spazzj, e que’ solidi,
quadrabili, o cubabili, ed a’ quali spazzj o cubi sien quegli uguali.
La quarta Volta nominata a Crociera, è parimente composta di quattro
spicchj eguali, e simili del Cielo della mezza botte; con questa differenza però, che
laddove, per formar lo Schifo, passano pel punto del colmo gli archi verticali de’
due Cieli a mezza botte, che vi s’incrociano, in questa poi a Crociera passano i lati
diritti de’ due medesimi Cieli, ma paralelli alla pianta, e quivi parimente
s’incrociano.
La centinatura di tal Crociera richiede pur quegli stessi mezzi ovati posti per
diagonale, siccome l’armadura, tessitura, e coperta va fatta coll’ordine già detto, e
‘l muramento per paralelle al piano della stanza; che così vien poi creato per di
sotto il Cielo di questa Volta con quattro spigoli, che s’incrociano a squadra nel
colmo come gli altri, ma però che risaltano in fuori verso ‘l pavimento, ed il Cielo
riesce aperto da quattro lati con eguali semicircoli verticali.
La misura quadrata di questo Cielo non si può esprimer esatta, per richieder
anch’essa la cognizione della quadratura del cerchio, ma bensì in numeri assai
vicini, ec.
Restavi la quinta, ed ultima delle Volte poste in opera fin’ad oggi, chiamata
comunemente Volta a Vela, che a distinzione della mia nuova Vela, dicola Vela
antica.
Il Cielo di questa, altro non è che una parte di quella Tribuna chiusa, che si
farebbe sopra il cerchio circoscrivente il quadrato della medesima stanza.
Imperciocchè, dando al Cielo di questa Tribuna chiusa, quattro tagli a piombo per
i lati di esso quadrato, vi nascono quattro mezzi cerchi, che portano via all’intorno
dalla mezza palla, o Tribuna quattro mezze porzioni eguali della di lei superficie
curva, e tutto quel che rimane di tal superficie fra gli archi di detti mezzi cerchi, è
quel Cielo, detto ora da me Vela antica, con le quattro aperture attorno de’
medesimi mezzi cerchi, posando questo Cielo co’ suoi petti, o piedi su gli angoli
del medesimo quadrato inscritto al cerchio base del Cielo della Tribuna.
Per la centinatura di questa Vela servono i detti archi di mezzi cerchi ben
collegati insieme; che, del rimanente a murarla basta cominciar di fondo in que’
piedi, con andar su su sempre in giro obbligato dal termine d’un’asta o filo fisso
dall’altra parte nel centro del cerchio, o del quadrato, sul quale sta la Vela, ed il
qual filo sia lungo quanto ‘l mezzo diametro di tal cerchio, o ‘l raggio del quadrato:
che per tal guisa il concavo di sotto diventa il Cielo di detta Vela antica.
Questo Cielo similmente non è quadrabile per appunto, per le ragioni già
dette, ma per numeri ve gli accosta.
Or a compire il primo de’ numeri perfetti in genere di Cieli di Volte
semplici, quali sono l’altre cinque su base regolare, vi mancava il sesto Cielo: ma
di già nel primo di questi Problemi imparaste la regola di farvene il modello in
quel Ciel della Vela quadrabile alla Fiorentina.
E quanto al riquadrarlo sentiste, che egli è doppio del quadrato, su gli angoli
del quale posano i piedi di questa Vela.
23
Similmente della Volta a Schifo, della a mezza botte, e della Tribuna serrata
ve ne ho dato il modo.
Sicchè de’ sei Cieli di Volte avete la maniera di farvi il modello di quattro.
Riman ch’io vi mostri come far possiate quegli ancora della Vela antica, e della
Crociera. L’uno, e l’altro v’insegneranno i due seguenti Problemi.
PROBLEMA SETTIMO.
Trovar un solido, ed un Trapano, o Succhiello, e con esso
traforar quello, sicchè la superficie interna, che vi si crea, sia
modello del Ciel della Volta nominata a Crociera impostata
sopra un quadrato.
rendete pur qualunque solido, che vi dia alle mani, e con un trapano
di qual grossezza volete non maggior di quella del solido,
traforatelo dirittamente tutto, e poi tornate a traforarlo a diritto col
medesimo ferro, ma in croce, in modo, che gli assi di questi due fori
s’interseghino ad angoli retti.
Dico che il Problema è già sciolto, cioè che dall’incrociamento delle
due superficie cilindriche de’ fori, si saranno formati non che uno, due de’
modelli desiderati; l’uno opposto all’altro, e sulla stessa base quadrata.
E se il solido preso a principio sarà un perfetto dado di qualche
notabil grandezza, siccome il trapano, e gli assi de’ due fori cilindrici
passeranno per li centri delle coppie de’ quadrati opposti, che circondano
il dado, qui dentro con vostro gusto vedrete formati due modelli di Volta a
Crociera di quattro spicchi a diacere senza ricaschi ne’ lor rigogli, e color
quattro spigoli terminatissimi, risaltati in fuori, che diagonalmente
s’incrociano a squadra, e formano due perfettissimi mezzi ovati, ovvero
Elissi, gli assi maggiori de’ quali possono il doppio de’ minori, ec.
PROBLEMA OTTAVO.
Trovar un solido, ed un Trapano, o Succhiello, col quale,
traforato quello, se ne formi il modello del Cielo della Vela
antica impostata sopra un quadrato.
ornitevi una Palla, grande quanto vi piace, ed il suo asse, per
esempio, sia d’un sesto di braccio, intorno al qual’asse, come
diametro, descrivete il quadrato; e dipoi con un trapano, che nel più
P
T
24
largo sia grosso appunto quanto il lato di esso quadrato, traforate la vostra
palla in croce talmente che gli assi de’ fori cilindrici passino pel centro
della Palla, e fra loro si seghino ad angoli retti.
Dico, che fatto ciò avete sciolto il Problema: cioè, che quel della
superficie sferica sarà rimasto illeso dal trapano, vi rappresenta, non uno,
ma due modelli del Cielo della Vela antica sopra uno stesso quadrato
inscritto ad un cerchio massimo della medesima Sfera.
Anzi di più vedrete d’aver fatto nel tempo stesso, e senza cercarlo,
con la stessa trapanatura, il doppio modello ancora della sopradetta
Crociera; cioè la prima coppia, evidente sulla superficie della Sfera, e la
seconda nascosta dentro la medesima, e l’una, e l’altra coppia risedere con
graziosissimo garbo sopra uno stesso quadrato di lati uguali alla massima
larghezza del trapano.
E questo è quanto ho voluto dirvi intorno a questi sei Cieli.
Circa poi al misurar quegli della Tribuna chiusa emisferica, dello Schifo
quadrabile alla Romana, e della Vela quadrabile Fiorentina, se alcun di voi
bramasse di saper qualcosa di più, conducente, colle costruzioni qui poste, a
trovarsene più failmente le dimostrazioni; sappia, che in quella mia fresca età,
quando gli spiriti non erano così sopiti come son oggi, il principal fondamento
dimostrativo dell’esser vere le conclusioni ammirabili sopra accennate, lo ridussi
ad un solo, semplice, e comune a tutte: e quantunque tal fondamento di
speculazione sia uno di quegli, che altri, in oggi, per la sua dignità, saria geloso, e
guardingo di esporre al pubblico, io però; che non sono della setta de’ Pittagorici, i
quali riputando gran misterio i loro trovati, giuravano di non propalargli, voglio
pur alla buona comunicarvelo.
Dicovi dunque essermi accorto allora: che la superficie curva di
qualunque spicchio polare, tanto della Tribuna, che della a Schifo, e delle
lor parti ancora, o alte, o basse, e quanto si siano angustissime, comprese
da piani paralelli alle basi, è sempre eguale al rettangolo fatto dall’arco
della Tribuna preso sul cerchio della base, o pur dalla retta base dello
spicchio, nella perpendicolare all’orizzonte contenuta fra i piani
comprendenti o lo spicchio trilineare, o la parte quadrilinea in qualunque
luogo questa sia presa, e su qualsisia de’ Cieli di dette Volte. E tutto trovai
senza Archimede, per doppia posizione, ed anche direttamente. Su questo
tal fondamento stabilij la quadratura esatta, e geometrica del tutto, e delle
parti, prese per varj versi, del Cielo a Schifo Romano su base poligona
regolare, e con rigoglio, o sfogo eguale al cateto della stessa base;
moltiplicando, come dissi, la somma de’ lati del poligono coll’altezza
perpendicolare del tutto, o delle parti di questo Cielo a Schifo.
Di più, colle debite cautele, superflue a ricordarsi a’ Possessori della
vera Geometria, potrete saper ancora la misura prossima, se non la precisa
quadratura degl’interi, e delle parti de’ Cieli della Tribuna, e dello Schifo,
allor ch’e’ saran formati, come diconsi, a sesto acuto.
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In somma, voi medesimi, col dettovi ultimamente, e colle costruzioni
spiegatevi ne’ Problemi, riconoscerete per vere queste, ed altre infinite belle
notizie, ed anche intorno alle solidità, sì delle figure da voi tornite, e traforate colle
regole da me prescrittevi, come ancora d’innumerabili altre, ec. Frattanto
permettetemi il dire con Archimede: Huiusmodi symptomata, natura ipsa
inerant quidem priùs circa dictas figuras, sed non fuerant superioribus
cognita, qui ante nos.
Ma lasciate da parte così fatte Teoriche da pochi gradite, perchè da pochi
intese: a requisizione, ed in servizio de’ puri Pratici voglio ridur loro in ristretto la
proporzione, che ha uno stesso quadrato A B C D a ciascuno de’ sopraddetti Cieli
impostati su gli angoli dello stesso quadrato;
affinchè in una occhiata vedano o le giuste, o le prossime quadrature delle
superficie curve de’ medesimi Cieli, per poter poi conteggiare a dovere la valuta
delle Pitture fatte, o da farvisi.
Dico pertanto, che
Posto, secondo Cristiano Ugenio, il raggio del cerchio A G B C H D
circoscritto al quadrato A B C D, pianta de’ Cieli delle Volte esser parti
N. 10000000000.
E la sua circonferenza intera esser parti — N. 62831853070.
La pianta del quadrato medesimo A B C D.
Al Cielo della sua mezza botte sta precisamente
Come il raggio O D dello stesso cerchio alla quarta parte della sua
circonferenza — Cioè prossimamente
Come ——— 10000000000. ——— a 15707963267 —
Al Ciel della Tribuna antica sul cerchio A G B C H D circoscrivente il
quadrato A B C D sta precisamente
Come il raggio O D alla metà della sua circonferenza,
—————————— Cioè prossimamente
Come ————— 10000000000. — a 31415926535.
Al Ciel della Vela quadrabile alla Fiorentina sull’istesso quadrato A B
C D inscritto al cerchio A G B C H D base del Cielo della Tribuna, del qual
è parte la detta Vela, sta precisamente
Come il raggio O D al diametro B D — Cioè appunto
26
Come ————— 10000000000. —— a 20000000000.
Al Ciel del suo Schifo quadrabile alla Romana sta parimente appunto
Come il raggio O D al diametro B D — Cioè precisamente
Come ————— 10000000000. — a 20000000000.
Al Ciel della sua Vela antica (tirato il diametro O H perpendicolare a’
lati opposti A B, D C, segante questo D C in I, e presa I L eguale ad I H, e
O M alla metà del raggio O D) sta precisamente
Come esso quadrato A B C D al rettangolo della O L differenza fra il
raggio O H, e H L, doppia dell’H I saetta dell’arco del quadrante D H C, in
tutta la circonferenza A G B C H D —— Cioè prossimamente
Come ———— 10000000000. — a 13012896963.
Al Ciel della sua Crociera senza ricaschi, sta precisamente
Come il raggio O D al doppio della differenza fra l’arco D H C del
quadrante, ed esso raggio — Cioè prossimamente
Come ———— 10000000000. — a 11415926535.
E riducendo in termini minimi queste sei proporzioni, che ha l’istesso
quadrato A B C D a ciascuno de’ sopraddetti Cieli, si potrà dire, che
Posto il lato A B del quadrato d’una Stanza, esser, per esempio, lungo parti
uguali
N. 10.
La superficie del suo quadrato A B C D sarà appunto parti quadre N. 100.
La superficie del cerchio circoscritto A G B C H D parti quadre poco più di N. 157.
E, notando i Cieli coll’ordine del loro agumento,
Quando il quadrato A B C D è parti quadre
N. 100.
Il Cielo della sua Crociera è parti quadre poco più di N. 114.
Il Ciel della sua Vela antica è parti quadre poco più di N. 130.
Il Ciel della sua mezza botte è parti quadre poco più di N. 157.
Il Ciel del suo Schifo quadrabile alla Romana è parti quadre appunto N. 200.
Il Ciel della Vela quadrabile alla Fiorentina è parti quadre appunto N. 200.
Il Ciel della Tribuna antica serrata eretta sul cerchio circoscritto A G B C H
è parti quadre poco più di
N. 314.
Onde operandosi proporzionalmente con questi numeri per la Regola
d’oro, si potrà da ciascun Pratico, saputo in altro numero il quadrato della
27
Pianta d’uno di questi Cieli, saper ancora quanto sia il numero delle parti
quadre del medesimo Cielo.
Queste proporzioni stesse manifestano quelle ancora, che i
soprascritti Cieli anno fra loro, comparandogli co’ numeri soprannotati.
E tutto salvo sempre l’error del calcolo, e qualche scambiamento, che
non sarebbe gran fatto, ch’io avessi fatto nel maneggio delle proporzioni
qui enunziate.
Dalle due precedenti serie di proporzioni in numeri chiaramente apparisce,
che, il Cielo della Crociera, insieme col Cielo dello Schifo Romano sul medesimo
quadrato A B C D, sommano quanto il Cielo della Tribuna serrata eretta sul
cerchio circoscrittogli A G B C H D, o quanto il Ciel della Vela Fiorentina: e così
anche debb’essere, mediante le loro generazioni, ec.
Oltrechè, la metà della circonferenza d’un cerchio, la quale, nelle passate
proporzioni, è il termine rappresentante la Tribuna serrata, è eguale al diametro
(termine esprimente lo Schifo) insieme col doppio della differenza fra l’arco del
quadrante, e ‘l raggio (termine figurante la Crociera) essendochè, presi di questi
termini le metà, pur troppo è evidente, che l’arco del quadrante è eguale al suo
raggio, insieme colla differenza fra l’arco, e l’istesso raggio; per quella ragione
appunto imparata a mio costo, che l’età di un settuagenario è eguale a tutti
insieme gli anni, che la costituiscono. E questo, della presente mia Esercitazione
curiosa, ormai sia
I L F I N E .
Licet Corpora, exercitationum defatigatione ingravescant,
Animi autem, se exercendo, leventur, &c.
Cicero de Senectute.
28
A P P R O V A Z I O N I .
L Molto Rever. Sig. Bernardo Benvenuti Prior di Santa Felicita, si
compiaccia di leggere colla sua solita attenzione questo presente Libro
intitolato Formazione, e Misura di tutti i Cieli, ec. e riconosca se in esso vi
sia cosa alcuna repugnante alla S. Fede Cattolica, ed a’ buoni costumi, e
referisca. Data li 2. Maggio 1691.
Niccolò Castellani Vic. Gen.
Anco questi Cieli narrano la gloria del loro Autore, dimostrano
incognite verità, contengono cosa alcuna repugnante alla nostra Santa
Fede, o a’ buoni costumi. Così attesto a V. S. Illustriss. e le fo reverenza. Li
4. Maggio 1692.
Umilissimo Servo
P. Bernardo Benvenuti.
Attesa la suddetta relazione si stampi.
Niccolò Castellani Vic. Gen.
Il Molto Rever. Pad. Anton Filippo Patriarchi Cherico Regolare delle
Scuole Pie, e Consultore di questo S. Offizio leggerà attentamente il
presente Libro, il di cui titolo è Formazione, e Misura di tutti i Cieli, ec. e
trovandovi cosa repugnante alla S. Fede, e buoni costumi riferisca. Dato
nel S. Ofizio di Firenze questo dì 5. Maggio 1692.
F. Lodovico Petronio Min. Conv. Vic. Gen. del S. Off. di Firenze.
Reverendissimo Padre.
Ho veduto il Libro intitolato Formazione, e Misura di tutti i Cieli, ec. nel
quale non ho trovato cosa repugnante alla S. Fede, e buoni costumi. Che è
quanto devo referire a V. P. Reverendiss. alla quale faccio devotissima
reverenza.
Dal Conv. della Madonna de’ Ricci 8. Maggio 1692.
Devotiss. Serv.
Ant. Filippo Patriarchi Ch. Reg. delle Scuole Pie.
Attesa la retroscritta attestazione si stampi. Dat. S. Offizio di Firenze
questo dì 9. Maggio 1692.
F. Lodovico Petronio da Lodi Min. Conv. Vic. Gen. S. Offizio di Firenze.
Ruberto Pandolfini Senat. Aud. di S.A.S.
I
29
O M M E S S I O N I
Seguite nello stampare, da aggiugnersi
A fac. 6. dopo la Postilla. — Stante che tali parti stieno fra loro come le parti
dell’asse orizzontale, che passa per A, B, determinate da perpendicoli cadenti su
quest’asse da’ colmi, o vertici de’ medesimi archi di mezzi cerchi massimi, che
passano per E, E, seganti le dette infinite Vele, ec.
Onde la superficie della Vela primaria, considerata segarsi con essi mezzi
cerchi massimi, è proporzionalmente analoga alla superficie dell’Emisfero A C B
segata da piani paralelli al cerchio massimo, che passa per C, e sega ad angoli retti
l’A C B; ed i quali piani passino pe’ sopradetti colmi, o vertici de’ medesimi archi
massimi seganti la Vela, ec.
A fac. 17. vers. 2. dopo del cubo dell’asse A C, ec. Di più; che le due
traforazioni della Sfera, le portan via maggior mole di quella, che le rimane, ec.
A fac. 17. vers. 23. dopo del predetto asse minore, ec. Di più:
dall’operato nel Problema, si può risolver quest’altro, di trovare un Cilindro tale, e
tornirlo di nuovo in altro modo, e sì, che della superficie curva, che lo circonda, la
parte, che resta intatta dalla nuova tornitura, sia eguale ad un dato quadrato.
A fac. 25. vers. 8. dopo sopra accennate (tralasciando di dir
poc’altro).
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