era già vescovo, e sarebbe forse stato assunto all'onore del cappello cardinalizio, senza quel po' di
giansenismo ch'era rimasto nella sua dottrina, e che dovea dispiacere alla Curia Romana quanto
piaceva, invece, al Manzoni. Ciascuno che rilegga que' capitoli de' Promessi Sposi, e li confronti
con la diligente biografia che di Luigi Tosi scrisse il professor Magenta, si persuaderà facilmente
che il Manzoni innestò la figura del cardinal Federigo sopra quella del proprio santo confessore.
Ma ciò che da principio doveva essere l'intiero libro, diventò poi un semplice episodio di
esso. Il Manzoni, riuscito, di giorno in giorno più, realista o verista nell'arte sua, desideroso di fare
sopra il suo tempo, sopra la gioventù che doveva educarsi per mezzo della lettura, una impressione
durevole e profonda, dopo aver concepito un alto e vasto poema, disegnò di scriverlo in prosa. Nel
tempo in cui l'amico suo Tommaso Grossi venuto con lui a Brusuglio si provava a vestire di forme
più popolari l'ottava epica, scrivendo il poema de' Lombardi alla prima Crociata, il Manzoni
grave e vivace, la fronte serena e pensierosa; con la canizie nel pallore, tra i segni dell'astinenza, della meditazione, della
fatica, una specie di floridezza verginale; tutte le forme del volto indicavano che, in altra età, c'era stata quella che più
propriamente si chiama bellezza; l'abitudine de' pensieri solenni e benevoli, la pace interna d'una lunga vita, l'amore
degli uomini, la gioia continua d'una speranza ineffabile, vi avevano sostituita una, direi quasi, bellezza senile, che
spiccava ancor più in quella magnifica semplicità della porpora.
Tenne anche lui, qualche momento, fisso nell'aspetto dell'Innominato il suo sguardo penetrante; ed esercitato da lungo
tempo a ritrarre dai sembianti i pensieri; e, sotto a quel fosco e a quel turbato, parendogli di scoprire sempre più
qualcosa di conforme alla speranza da lui concepita al primo annunzio d'una tal visita, tutt'animato; «Oh!» disse, «che
preziosa visita è questa! e quanto vi devo esser grato d'una sì buona risoluzione: quantunque per me abbia un po' del
rimprovero!»
«Rimprovero!» esclamò il signore maravigliato, ma raddolcito da quelle parole e quel fare, e contento che il Cardinale
avesse rotto il ghiaccio, e avviato un discorso qualunque.
«Certo, m'è un rimprovero,» riprese questo, «ch'io mi sia lasciato prevenir da voi; quando, da tanto tempo, tante volte,
avrei dovuto venir da voi io.»
«Da me voi! sapete chi sono? V'han detto bene il mio nome?»
«E questa consolazione ch'io sento, e che, certo, vi si manifesta nel mio aspetto, vi par egli ch'io dovessi provarla
all'annunzio, alla vista d'uno sconosciuto? Siete voi che me la fate provare; voi, dico, che avrei dovuto cercare; voi, che
almeno ho tanto amato e pianto, per cui ho tanto pregato; voi de' miei figli, che pure amo tutti e di cuore, quello che
avrei più desiderato d'accogliere e d'abbracciare, se avessi creduto di poterlo sperare. Ma Dio sa fare Egli solo le
meraviglie, e supplisce alla debolezza, alla lentezza, de' suoi poveri servi.»
L'Innominato stava attonito a quel dire così infiammato, a quelle parole, che rispondevano tanto risolutamente a ciò che
non aveva ancor detto, nè era ben determinato di dire; e commosso, ma sbalordito, stava in silenzio. «E che?» riprese
ancor più affettuosamente Federigo: «voi avete una buona nuova da darmi, e me la fate tanto sospirare?»
«Una buona nuova, io? Ho l'inferno nel cuore; e vi darò una buona nuova? Ditemi voi, se lo sapete, qual'è questa buona
nuova che aspettate da un par mio.»
«Che Dio v'ha toccato il cuore e vuol farvi suo,» rispose pacatamente il Cardinale.
«Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov'è questo Dio?»
«Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l'ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v'opprime, che v'agita, che non
vi lascia stare, e nello stesso tempo v'attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d'una consolazione
che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l'imploriate?»
«Oh, certo! ho qui qualche cosa che mi opprime, che mi rode! Ma Dio! Se c'è questo Dio, se è quello che dicono, cosa
volete che faccia di me?»
Queste parole furon dette con un accento disperato; ma Federigo, con un tono solenne, come di
placida ispirazione, rispose; «Cosa può far Dio di voi? cosa vuol farne? Un segno della sua potenza
e della sua bontà: vuol cavar da voi una gloria che nessun altro gli potrebbe dare. Che il mondo gridi
da tanto tempo contro di voi, che mille e mille voci detestino le vostre opere....» (l'Innominato si
scosse, e rimase stupefatto un momento nel sentir quel linguaggio così insolito, più stupefatto
ancora di non provare sdegno, anzi quasi un sollievo): «Che gloria,» proseguiva Federigo, «ne viene
a Dio? Son voci di terrore, son voci d'interesse, voci forse anche di giustizia, ma d'una giustizia così
facile, così naturale! Alcune forse, pur troppo, d'invidia di codesta vostra sciagurata potenza, di
codesta, fino ad oggi, deplorabile sicurezza d'animo. Ma quando voi stesso sorgerete a condannare
la vostra vita, ad accusar voi stesso, allora.... Allora Dio sarà glorificato! E voi domandate cosa Dio
possa far di voi? Chi son io, pover'uomo, che sappia dirvi fin d'ora che profitto possa ricavar da voi
un tal signore? Cosa possa fare di codesta volontà impetuosa, di codesta imperturbata costanza,
quando l'abbia animata, infiammata d'amore, di speranza, di sentimento? Chi siete voi, pover'uomo,
che vi pensiate d'aver saputo da voi immaginare e fare cose più grandi nel male, che Dio non possa
farvene volere e operare nel bene? Cosa può Dio far di voi? E perdonarvi? e farvi salvo? e compiere
in voi l'opera della redenzione? Non son cose magnifiche e degne di Lui? O pensate! se io