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del quale dire cosa alcuna iudico al tutto superfluo, perché sono notissimi i gesti del
magno Cosmo e di Piero, suo figliuolo, e di Lorenzo, suo nipote. La madre si chiamò
Alfonsina, di casa Orsina, figliuola del cavaliere Orsino, che fu figliuolo di Nipoleone e
fratello di Virginio. Ma della nobiltà di casa Orsina, e così di quella de’ Medici, sono state
dette e scritte cose assai, perché, in verità, possono non solo compararsi a qualunque
nobilissima casa d’Italia, ma ancora esserli superiori.
Aveva poco più che anni dua, quando Piero suo padre, dubitando che nella venuta
del re Carlo ottavo di Francia in Firenze non seguissi tumulto, lo dette a Piero da Bibbiena,
suto secretario del magnifico Lorenzo, che lo conducessi a Venezia. Et essendo dipoi
venuto detto re Carlo in Firenze, e parendo a Piero et al Cardinale, suo fratello, di cedere
alla fortuna e partirsi della città acciò che quella avessi manco a patire, detto Lorenzo
ordinorono stessi a Venezia. E fu allevato in casa e’ Lippomanni, gentili uomini, antiqui
amici insino di Cosimo, dove stette insino all’età di sei anni. Dipoi, per ordine del padre,
fu condotto a Roma e fattoli insegnare, secondo l’età, e lettere latine e greche, nelle quali
fece tanto profitto, che l’una e l’altra lingua intendeva molto bene, e la latina scriveva e
parlava. Andando dipoi Piero suo padre a Monte Casino, nel Regno di Napoli, a servire e’
Franzesi, egli, benché fanciullo, andò [59v] seco. E quando Piero annegò nel Garigliano per
salvare l’artiglieria de’ Franzesi, egli era in Gaeta con la madre e sorella. E poco dipoi, per
ordine del Cardinale suo zio, con loro se ne tornò a Roma et attese di nuovo agli studi. Et
alla madre portava tanta riverenzia, che sarebbe impossibile a scriverlo, e così al Cardinale
et a Giuliano et a messer Iulio, suoi zii, né mai usciva della volontà loro.
Mutossi lo stato in Firenze di settembre nel dodici. E li zii e lui tornorono nella città,
dove usò tanta umanità e modestia, che, in pochi mesi, tirò a sé l’animo della maggior
parte de’ giovani fiorentini, co’ quali familiarmente conversava.
Seguì, nella fine del dodici, che, sendo morto Iulio pontefice massimo, fu assunto al
pontificato il rev.mo Cardinale suo zio, el quale si chiamò Lione decimo. Il che come
Lorenzo intese, subito corse a Roma, pregando il Papa che fussi contento tenerlo appresso
di sé, perché conosceva essere conveniente che Giuliano, suo zio, governassi lo stato di
Firenze. Acconsentì il Papa a questa sua dimanda ma, venendo poco dopo Giuliano a
Roma e non si contentando in questo modo, si mutò e volle che Lorenzo fussi quello che
tornassi in Firenze e Giuliano rimanessi a Roma.
Acconsentì Lorenzo a quello piacque al Papa, e se ne tornò in Firenze per ordinare
nella città un modo di vivere come quello che era a tempo di Lorenzo, suo avolo, e Piero,
suo padre. E già ne aveva cominciato a gittare ottimi fondamenti e durava tanta fatica in
dare audienzia, in comporre differenzie tra cittadini, in volere che le pecunie del Comune
fussino amministrate rettamente, in dare opera che si facessi severa iustizia al povero, al
ricco, al piccolo, al grande, che pareva maraviglia che uno giovane come lui volessi tanta
subiezione e servitù. E la madre, che era avezza in terra di Roma e nel Regno, spesso lo
riprendeva, monstrandoli che non teneva il grado suo, e che a’ cittadini fiorentini pareva
essere suoi compagni, e che non era conveniente fussi così, e che, se egli voleva vivere in
quel modo, ella voleva tornarsene a Roma a pregare il Papa che dessi al figliuolo stato nel
quale [60r] avessi sudditi e non compagni. Lorenzo, ancora che alla madre portassi
riverenzia assai, per queste parole non si moveva punto dallo instituto suo. Non poteva
già fare che, facciendo ella molte cose che non erano convenienti in una città come Firenze,