timido e rispettoso, in cuor suo ti battezza subito per imbecille e comincia a farti la lezione. Hai
da far la bocca rotonda, atteggiarti a grand’uomo, animare il gesto e la voce, tenerti in serbo tre o
quattro paradossi, il piú efficace solletico dell’attenzione, e sputarli fuori a tempo in modi brevi e
imperatorii. Poi, oggi la donna vuol esser tenuta una persona di spirito, anzi uno spirito forte, e ti
fa l’atea, come un tempo faceva la divota. Vuol anche lei poter filosofare e teologizzare; e come
si fa? Mettile avanti Hegel e gli altri sofisti, ed errando tra quelle formole e quelle astrazioni, si
vede mancar sotto i piè il terreno e le viene il capogiro. Vuole la scienza, ma la vuole a buon
mercato, e ci vuol mettere del suo il meno che si possa.
A. Ed ha ragione. E credo che anche per noi uomini sarebbe meglio cosí. Ti par egli che un povero
galantuomo debba sudar mezza la vita con questi filosofi? E ci fosse almeno certezza di cavarne
qualcosa! Ne leggi uno, e quando cacci un grosso sospiro e dici:- finito -, ne prendi un altro, e ti
trovi da capo: nuovo linguaggio, nuove formole, nuovo metodo, nuove opinioni; sicché ti par
d’avanzare e stai sempre lí. Una filosofia dovrebbe farsi leggere volentieri fino dalle donne.
D. Che è il caso di Schopenhauer. Il quale, avendo fatti frequenti viaggi, e tenutosi lontano
dall’insegnamento, non ha niente di professorale e scolastico. Scrive alla buona, bandite le
formole ed ogni apparato scientifico, con linguaggio corrente e popolare. Come vi è di quelli che
hanno l’intendimento duro, ti ripete la stessa cosa a sazietá. Dopo d’aver filosofato un poco, per
non ti stancare, varia lo spettacolo, come se volesse dirti:- Andiamo ora a prendere il thè -.
Allora, in luogo di ragionare, ti fa un po’ di conversazione, ed esce in contumelie, invettive,
paragoni, aneddoti, citazioni spagnuole, greche, latine, italiane, inglesi, francesi, che sono come
la salsa della scienza. Sicché è un piacere a leggere, soprattutto per i dilettanti e le dilettanti di
filosofia. Si vanta di chiarezza e di originalitá, e, se non te ne accorgi, te lo annunzia lui a suon di
tromba. Non si contenta d’esser chiaro, ma vuole che tu lo sappia, e perciò ha la civetteria della
chiarezza, girando e rigirando la stessa cosa in molti modi. Dice delle cose spesso piú vecchie di
Adamo, ma le pensa col suo capo, le dice alla sua maniera; l’originalitá è nell’abbigliamento. Di
sotto al mantello del filosofo trasparisce l’uomo bilioso, appassionato, sicuro di sé, provocatore,
dispettoso, sicché ti par di vederlo con una mano occupato a dare dei pugni e con l’altra a
lisciarsi e ammirarsi. Ti solletica, ti diverte, ti riscalda. Pensa, dunque, quanti dovranno essere i
seguaci, soprattutto in Italia, dove questa volta non potranno ripetere la vecchia canzone delle
nebbie germaniche. Questa filosofia è cosa solida, tutta carne ed ossa.
A. E che è piú, nemica dell’idea. Sarebbe un gran bene a tradurla fra noi. Ma son curioso di sapere
in che modo ha potuto formare il mondo senza l’idea; perché l’idea mi fa paura, e ben vorrei
cacciarla via, e non so.
D. Schopenhauer l’ha cacciata via con un tratto di penna: cosa facilissima. Senti un po’. Kant avea
detto che tutto è ideale, un fenomeno del cervello. Il mondo è la mia immagine: io non conosco il
sole, né la terra, ma solo un occhio che vede il sole, una mano che sente la terra; tutto quello che
io conosco, l’intero mondo, non è per sé, ma per un altro; è un oggetto per il soggetto, la visione
di colui che vede; in una parola, immagine, fenomeno. È il diventare di Eraclito, le ombre di
Platone, l’accidente di Spinoza, il velo ingannevole di Maia degl’indiani, simile ad un sogno, o a
quella luce di sole sull’arena che di lontano si scambia per acqua. Togliete il soggetto, colui che
vede, e il mondo non esisterebbe piú.
A. A questo modo noi siamo de’ burattini, ed il mondo è una commedia.
D. Certo; ma dietro le scene c’è il vero reale, la cosa in sé, fuori de’ nostri occhi. Ora, come gli
uomini non si contentano d’essere chiamati burattini, anche quelli che sono, e vanno pescando la
scienza da molti secoli, era cosa troppo crudele dir loro:- La scienza è dietro le scene, e non la
vedrete mai; ciò che vedete è apparenza. I tre sofisti, volendo contentare il genere umano,
dissero:- Consolatevi; l’apparenza è il medesimo che l’essenza; dietro le scene non c’è nulla -. E
andarono scribacchiando volumi, quando dopo Kant non restava a fare che la cosa piú semplice
del mondo.
A. Cosa?
D. Spingere un’occhiatina dietro le scene. Ecco la gloria di Schopenhauer. Ha schiusa la porta e ci
ha trovato il reale, la cosa in sé, il “Wille”.
A. Cosa vuol dir “Wille”?
D. Il volere.