vedendo la bambina con le mani e le braccia impacciate da tante cose, scatolini, ventagli,
portamonete, porta-fazzoletti. Pensava che forse, anzi senza forse, la figlia e la nuora, il figlio e il
genero non le avrebbero regalato quegli oggetti d'oro chiusi negli scatolini, se non avessero saputo
che ella conserverebbe tutti i regali ricevuti da anni, e che nel suo testamento avrebbe stabilito che
ogni cosa fosse restituita a chi la aveva data, secondo le indicazioni scrittevi di sua mano. Per ciò
sorrideva, con un che di malizia; pensava che nè la figlia, nè il figlio nè il genero, nè la nuora
sarebbero stati contenti di vedere i regali di quel giorno in mano di Ada. Ma avevano da scontare
qualcosa anche loro per la sorella; erano stati crudeli anche loro contro di essa! E poichè non si
poteva più dare nessuna sodisfazione alla povera morta, doveva riparare il proprio e l'altrui torto
nella persona dell'orfanella.
— Sei contenta, Ada, di aver questi regali? sei contenta? — le domandava,
accompagnandola nella cameretta, quella stessa dove aveva dormito la sua mamma da bambina.
— Sì, nonna; grazie!
— E non dir niente a nessuno; neppure ai cuginetti — le avvertì. — Ripónili nell'ultimo
cassetto, in fondo, così. Hai sonno, carina? —
Non era sonno, ma sbalordimento che durava da parecchi giorni. Si era trovata, tutt'a un
tratto, sbalestrata da una situazione all'altra, da un paese all'altro, senza la mamma con cui era
vissuta fino allora, tra persone delle quali la mamma le aveva spesso parlato, ma che non aveva mai
viste: e la sua povera testina si era confusa, e il suo povero cuoricino turbato. Le pareva proprio di
sognare a occhi aperti. Dalla meschina cameretta, dove la sua cara mamma era morta, si trovava
trasportata, come per incanto, in quella cameretta pulita, ben arredata, di cui la mamma le aveva
parlato tante volte. Da quel villaggio svizzero, così triste, così freddo d'inverno, si vedeva
trasportata in Roma, sotto quel cielo così bello, e con quel sole così caldo, che le pareva la
vivificasse. Dalla miseria e dalla solitudine si vedeva nell'agiatezza, tra bambini suoi pari, ai quali
ella già voleva bene e che, pensava, le avrebbero voluto bene perchè avrebbe fatto ogni sforzo per
meritarselo.... Come non doveva sembrarle un sogno tutto questo? E ricordava spesso le fiabe
narratele dalla mamma durante le lunghe giornate, quando voleva tenerla tranquilla per terminare un
lavoro, che doveva darle da vivere o meglio da sfamarsi; ricordava le fate in sembianze di vecchine,
che poi si rivelavano giovani e belle, tutte raggianti; e in certi momenti si aspettava di veder la
nonna trasformarsi nello stesso modo. E la guardava, la guardava sbalordita, ansiosa, di assistere a
tal miracolo, battendo le palpebre con quel movimento che alla nonna era sembrato sintomo di
sonno.
III
— Ti ho regalato sette cuginetti — aveva detto la nonna. Infatti i suoi nipotini eran sette;
quattro, Gabriele, Andreotta, Gina e Rino, figli di Roberto; tre, Matilde, Riccardo e Lalla, figli del
signor Falconi che aveva sposato la bella Alessandrina; com'era chiamata quand'era ragazza, ed era
stata bella davvero.
Ora un po' ingrassata e impigrita, si mostrava trascurata alquanto della persona; ma era
orgogliosa che Matilde si avviasse già a riprodurre la mamma di mano in mano che cresceva con gli
anni, come le dicevano tutti. Per questo non invidiava al fratello quel bel ragazzo di Gabriele che
veniva su alto, asciutto, ben fatto, vivacissimo, impertinente. Quando faceva dei confronti, e li
faceva spesso, conchiudeva:
— Va'! Riccardo e Lalla valgono quanto Andreotta e Gina; non sono nè belli nè brutti: Rino
non conta, così piccino come ora è, e poi non promette di riuscire migliore degli altri. Ma Gabriele,
anche come maschio, non vale neppure metà della mia Matilde. —
E una volta che la cognata si lasciò scappar di bocca:
— Paiono fatti apposta l'uno per l'altra — ella rispose sùbito, quasi con stizza:
— Sono di caratteri così opposti! —
Infatti Matilde era la bontà in persona e Gabriele invece un soverchiatore arrogante. Matilde
però non cedeva mai quando il cugino voleva imporle i propri capricci nei giuochi che facevano
assieme. Se non poteva indurre gli altri a resistere, si tirava da parte, senza broncio, senza
ostentazione. Così qualche volta era riuscita a vincere l'ostinatezza di Gabriele, che perciò le aveva