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Se frugo nei più intimi ripostigli della mia coscienza, non ci trovo nulla che mi chiami
all'onore degli altari. In quel quarto d'ora di notorietà cui, come tanti altri, soggiacqui, non fui
precisamente lodato come continuatore delle virtù di S. Luigi Gonzaga o come emulo di Giuseppe
servo di Putifar. Tempi, ahimè, troppo lontani e che volentieri rivivrei; parole e versi che, potendo,
ridirei senza rimorso e senza rossore; ma tempi, ahimè, troppo lontani!
Dico questo, non per balorda libidine di parlare de' fatti miei, ma perchè si creda che,
disapprovando senza restrizioni queste scelleraggini, scrivo per convinzione e non per affettazione.
Allora ed oggi mi persuadeva e mi persuade la teoria della immacolatezza dell'arte, purchè sia arte
e sia bella. Venere Anadiomene e Cristo Crocifisso sono rappresentati ignudi tutti e due e nessuno
dei due nella rappresentazione artistica è immorale. Onorato di Balzac, che non è poi il primo
capitato, nell'Avant--propos de la Comédie Humaine, diceva--"Le reproche d'immoralité qui n'a
jamais failli à l'écrivain courageux, est d'ailleurs le dernier qui reste à faire quand on n'a plus rien
a dire a un poète. Si vous étes vrai dans vos peintures, si à force de travaux diurnes et nocturnes
vous parvenez à écrire la langue la plus difficile du monde, on vous jette alors le mot immoral à la
face"--Solo il brutto è immorale.
È perciò che questa studiata ricerca del brutto, del triviale, dell'imbecille, mi irrita. Questa
non è più arte, è laidezza, è turpiloquio spregievole; ed ho appunto voluto ricordare il quarto d'ora
di notorietà che ebbi in passato perchè si vegga che la disapprovazione non viene da bigotta
ipocrisia, ma da convinzione salda intorno alla ragion d'essere dell'arte. E che cosa ha da fare l'arte
con queste cretinerie pediculose che s'intitolano romanze, favolette etc.? Anzi è bestemmia solo il
ricordare il nome santo dell'arte a questo proposito e il criterio non corrotto del pubblico italiano
condannerà senza dubbio e senz'appello queste stolte sconcezze all'obbrobrio ed all'oblio che
meritano.
Mi duole di dover parlare così acerbamente, ma era, lo sento, mio stretto dovere.
Più avanti la poetessa (chiamiamola così, poichè lo vuole) lascia lo sterquilinio in che si
compiaceva e si innalza, per quanto glielo permettono le deboli penne, ad una forma un po' più
elevata. C'è per esempio un "Inno a Venere" che, se nel concetto è della più abietta pornografia,
nella esecuzione si può dire più conforme ai canoni della lirica; ed io, appunto per quel che ho detto
di sopra, non lo disapprovo affatto. Qui si potrà parlare d'arte, ma nella prima parte del volumetto,
no, mai. Tutt'al più ci potremmo rifugiare nella caricatura, nella rimeria giocosa, negli scherzi più o
meno piacevoli, ma il giudizio, anche il più indulgente, sarà sempre di riprovazione. La stupidità
può muoverci alla compassione, ma l'affettazione, la caricatura della stupidità, specie se oscena,
potrà muoverci al riso per un momento, ma non mai all'applauso sincero.
Nè vale sfoderare illustri esempi. Ma chi oserebbe parlare del Berni, del Burchiello od
anche dei poeti maccheronici o fidenziani a questo proposito? Certo, in quei capitoli e in quei
sonetti c'è il doppio senso, l'allusione mal velata, la forma volutamente pedestre: ma il punto di
partenza è proprio diametralmente opposto a quello da cui parte la nostra poetessa. Il Folengo, per
esempio, par che voglia rifare (almeno nella Zanitonella), il contadino che si sforza di parlare come
il cittadino, l'idiota che si sforza di parlar colto. Qui invece è la persona colta che si sforza di parere
abietta. Là c'è uno che vuoi uscire, come il Vallera della Nencia, dal dialetto e dalla rusticità e cerca
il comico nel tentativo di elevarsi alla dignità dell'arte; qui, al contrario, abbiamo la ricerca del
comico intervertita, la rappresentazione di una persona colta che, per far ridere, si abbassa e si
infanga in tutti i letamai che trova per via. Là c'è una caricatura del tentativo di salire, qui del
discendere. Là c'è il pagliaccio che esce dal circo e s'ingegna di far intendere che, uomo anch'egli,
soffre ed ama; qui abbiamo invece la persona per bene (almeno lo spero!) che s'incanaglia e si fa
pagliaccio per far ridere colle smorfie e le contorsioni del viso infarinato. È perciò che male si
potrebbero addurre gli esempi come scusa, perchè gli esempi non calzano.