con queste voci lo sospira e chiama;
voi, rive, che l'udite, ditel voi.
Tu, che volando vai di rama in rama,
consorte amata e fida tortorella,
e sai quanto si tema e quanto s'ama,
quando, volando in questa parte e 'n quella,
sei vicina al mio ben, mostragli aperto
in note, ch'abbian voce di favella:
digli quant'è 'l mio stato aspro ed incerto,
or che, lassa, da lui mi trovo lunge
per ria fortuna mia e non per merto.
E tu, che 'n cave e solitarie grotte,
Eco, soggiorni, il suon de' miei lamenti
rendi a l'orecchie sue con voci rotte.
E voi, dolci aure ed amorosi venti,
i miei sospir accolti in lunga schiera
deh fate al signor mio tutti presenti.
E voi, che lunga e dolce primavera
serbate, ombrose selve, e sète spesso
fido soggiorno a questa e a quella fèra,
mostrate tutte al mio signore espresso
che non pur i diletti mi son noia,
ma la vita m'è morte anco senz'esso.
Ei si portò, partendo, ogni mia gioia,
e, se, tornando omai, non la rimena,
per forza converrà tosto ch'io moia.
La speme sola al viver mio dà lena,
la qual, non tornand'ei, non può durare,
da soverchio disio vinta e da pena.
Quell'ore, ch'io solea tutte passare
liete e tranquille, mentre er'ei presente,
or ch'egli è lunge son tornate amare.
Ma, lassa, a torto del suo mal si pente,
a torto chiama il suo destin crudele,
chi volontario al suo morir consente.
Lassa, io devea con mie giuste querele
far che non andasse, o far ch'andando
non desse al vento senza me le vele;
ch'or non m'andrei dolente lamentando,
né temenza d'oblio, né gelosia
non m'avrebber di me mandata in bando.
Emendate, signor, la colpa mia
voi, ritornando ove 'l vostro ritorno
più che la propria vita si disia.
E, se rimena il sole un dì quel giorno,
non pensate mai più da me partire,
ch'io non vi sia da presso notte e giorno,
poi ch'io mi veggo senza voi morire.
CCXLV
Musa mia, che sì pronta e sì cortese
a pianger fosti meco ed a cantare