nozze si celebrassero, perturbarle, vedendo messer Buondelmonte, che solo veniva verso la sua
casa, scese da basso, e dietro si condusse la figliuola, e nel passare quello, se gli fece incontra,
dicendo: - Io mi rallegro veramente assai dello avere voi preso moglie, ancora che io vi avesse
serbata questa mia figliuola, - e sospinta la porta, gliene fece vedere. Il cavaliere, veduta la bellezza
della fanciulla, la quale era rara, e considerato il sangue e la dote non essere inferiore a quella di
colei ch'egli aveva tolta, si accese in tanto ardore di averla, che, non pensando alla fede data, né alla
ingiuria che faceva a romperla, né ai mali che dalla rotta fede gliene potevano incontrare, disse: -
Poi che voi me la avete serbata, io sarei uno ingrato, sendo ancora a tempo, a rifiutarla; - e senza
mettere tempo in mezzo celebrò le nozze. Questa cosa, come fu intesa, riempié di sdegno la
famiglia degli Amidei e quella degli Uberti, i quali erano loro per parentado congiunti; e convenuti
insieme con molti altri loro parenti, conclusono che questa ingiuria non si poteva sanza vergogna
tollerare, né con altra vendetta che con la morte di messer Buondelmonte vendicare. E benché
alcuni discorressero i mali che da quella potessero seguire, il Mosca Lamberti disse che chi pensava
assai cose non ne concludeva mai alcuna, dicendo quella trita e nota sentenza: «Cosa fatta capo ha».
Dettono pertanto il carico di questo omicidio al Mosca, a Stiatta Uberti, a Lambertuccio Amidei e a
Oderigo Fifanti. Costoro, la mattina della Pasqua di Resurressione, si rinchiusono nelle case degli
Amidei, poste intra il Ponte Vecchio e Santo Stefano; e passando messer Buondelmonte il fiume
sopra uno caval bianco, pensando che fusse così facil cosa sdimenticare una ingiuria come
rinunziare ad uno parentado, fu da loro a piè del ponte, sotto una statua di Marte, assaltato e morto.
Questo omicidio divise tutta la città, e una parte si accostò a' Buondelmonti, l'altra agli Uberti; e
perché queste famiglie erano forti di case e di torri e di uomini, combatterono molti anni insieme
sanza cacciare l'una l'altra; e le inimicizie loro, ancora che le non finissero per pace, si
componevano per triegue; e per questa via, secondo i nuovi accidenti, ora si quietavano e ora si
accendevano.
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E stette Florenzia in questi travagli infino al tempo di Federigo II; il quale, per essere re di Napoli,
potere contro alla Chiesa le forze sue accrescere si persuase; e per ridurre più ferma la potenza sua
in Toscana, favorì gli Uberti e i loro seguaci; i quali, con il suo favore, cacciorono i Buondelmonti,
e così la nostra città ancora, come tutta Italia più tempo era divisa, in Guelfi e Ghibellini si divise.
Né mi pare superfluo fare memoria delle famiglie che l'una e l'altra setta seguirono. Quelli adunque
che seguirono le parti guelfe furono: Buondelmonti, Nerli, Rossi, Frescobaldi, Mozzi, Bardi, Pulci,
Gherardini, Foraboschi, Bagnesi, Guidalotti, Sacchetti, Manieri, Lucardesi, Chiaramontesi,
Compiobbesi, Cavalcanti, Giandonati, Gianfigliazzi, Scali, Gualterotti, Importuni, Bostichi,
Tornaquinci, Vecchietti, Tosinghi, Arrigucci, Agli, Sizi, Adimari, Visdomini, Donati, Pazzi, Della
Bella, Ardinghi, Tedaldi, Cerchi. Per la parte ghibellina furono: Uberti, Mannegli, Ubriachi, Fifanti,
Amidei, Infangati, Malespini, Scolari, Guidi, Galli, Cappiardi, Lamberti, Soldanieri, Cipriani,
Toschi, Amieri, Palermini, Migliorelli, Pigli, Barucci, Cattani, Agolanti, Brunelleschi, Caponsacchi,
Elisei, Abati, Tedaldini, Giuochi, Galigai. Oltra di questo all'una e all'altra parte di queste famiglie
nobili si aggiunsono molte delle popolari; in modo che quasi tutta la città fu da questa divisione
corrotta. I Guelfi adunque, cacciati, per le terre del Valdarno di sopra, dove avevano gran parte
delle fortezze loro, si ridussero; e in quel modo potevano migliore contro alle forze delli nimici loro