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TITOLO: I diversi apparecchi col mezzo dei quali le orchidee vengono fecondate dagli insetti
AUTORE: Darwin, Charles
TRADUTTORI: Canestrini, Giovanni
Moschen, Lamberto
CURATORE:
NOTE:
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/
TRATTO DA: I diversi apparecchi col mezzo dei quali
le orchidee vengono fecondate dagli
insetti / Carlo Darwin;
prima traduzione italiana col consenso
dell'autore di Giovanni Canestrini e
Lamberto Moschen;
Unione tipografico-editrice;
Torino, 1883
CODICE ISBN: informazione non disponibile
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 20 agosto 2005
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
Alberto Mello, [email protected]
REVISIONE:
Elena Macciocu, elena_672002@yahoo.it
PUBBLICATO DA:
Catia Righi [email protected]
Alberto Barberi, [email protected]
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CARLO DARWIN
I
DIVERSI APPARECCHI
COL MEZZO DEI QUALI
LE ORCHIDEE VENGONO FECONDATE
DAGLI INSETTI
PRIMA TRADUZIONE ITALIANA COL CONSENSO DELL’AUTORE
DI
GIOVANNI CANESTRINI
PROFESSORE DI ZOOLOGIA ED ANATOMIA COMPARATA
NELLA R. UNIVERSITÀ DI PADOVA
E
LAMBERTO MOSCHEN
DOTTORE IN SCIENZE NATURALI
OPERA ADORNA DI INCISIONI INTERCALATE NEL TESTO
TORINO
UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE
VIA CARLO ALBERTO, 33
1883
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PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE
(I N G L E S E )
La prima edizione di questo libro venne alla luce al principiar dell’anno 1862 e fu in breve esaurita.
Nei due o tre anni successivi alla pubblicazione di essa mi furono cortesemente inviate numerose
lettere da diversi corrispondenti di varie parti della terra, e specialmente da Fritz Müller dal Brasile,
da cui appresi molti e mirabili fatti e fui reso accorto di alcuni errori. Dopo quel tempo vennero
anche alla luce diversi trattati sulla fecondazione delle Orchidee, ed io stesso ho osservato parecchie
nuove forme assai interessanti. Con ciò si è accumulato una grande quantità di materiale; ma questo
libro sarebbe riuscito troppo voluminoso, se avessi voluto comprendervi tutto. Scelsi per ciò solo i
fatti più interessanti e diedi un breve compendio delle diverse pubblicazioni; per cui fu necessario
rifare il libro. Vi ho anche aggiunto in serie cronologica i titoli delle pubblicazioni venute alla luce
dopo la prima edizione di questo libro. Infine voglio ancora osservare che il lettore il quale desideri
soltanto vedere quanto siano mirabilmente complicati e perfetti gli adattamenti in ordine alla
fecondazione di queste piante, lo potrà più facilmente desumere, leggendo il capitolo VII sulle
Catasetidee. La descrizione della struttura e della funzione delle diverse parti gli risulterà, come
io penso, chiara, quando voglia dar uno sguardo alla spiegazione dei termini tecnici che sta in
coda alla introduzione.
PS. – Esprimo la mia obbligazione al sig. G.B. Sowerby per la cura impiegata nel rendere i disegni
più intelligibili che sia possibile.
INDICe CROnOLOgICO
degli Scri tti e delle Ope re r elative al la f econdaz ione delle Orchid ee,
venute alla luce dopo la prima edizione d el present e l ibro, 1862.
BRONN, H.G. – Charles Darwin, über die Einrichtungen zur Befruchtung britischer und ausländischer
Orchideen. Con un’appendice del traduttore sulla Stanhopea devoniensis. Stuttgart, 1862.
GRAY, ASA. – On Platanthera (Habenaria) and Gymnademia in Enumeration of Plants of the Rocky
Mountains. – American Journal of Science and Arts, Second Series, vol. XXXIV, N. 101, Sept. 1862, p.
33.
– On Platanthera Hookeri, in un avviso della prima edizione della presente opera. – American Journal of
Science and Arts, vol. XXXIV, July 1862, p. 143.
ANDERSON, J. – Fertilisation of Orchids. – Journal of Horticulture and Cottage Gardener, April 21, 1863, p.
287.
GOSSE, P.H. – Microscopic Observation on some Seeds of Orchids. – Journal of Horticulture and Cottage
Gardener, April 21, 1863, p. 287.
GRAY, ASA. – On Platanthera (Habernaria) flava and Gymnademia tridentata. – American Journal of
Science and Arts, vol. XXXVI, Sept. 1863, p. 292.
JOURNAL OF HORTICOLTURE AND COTTAGE GARDENER, – March 17, 1863, p. 206. On Orchid Cultivation, Cros-
breeding, and Hybridising.
SCUDDER, J.H. – On Pogonia ophioglossoides. – Proceedings of the Boston Society of Natural History, vol.
IX, April 1863.
TREVIRANUS. – Ueber Dichogamio nach C.C. Sprengel und Ch. Darwin, § 3, Orchideen. – Botanische Zeitung,
N° 2, 1863, p. 9.
– Nachträgliche Bemerkungen über die Befruchtung einiger Orchideen. – Bot. Zeitung, N
o
32, 1863, p.
241.
TRIMEN, R. – On the Fertilisation of Disa grandiflora, Linn. – Journal of Linnean Society Botany, vol. VII,
1863, p. 144.
WEST OF SCOTLAND HORTICULTURAL MAGAZINE. – Fertilisation of Orchids, Sept. 1863, p. 65.
CGER. – A few Notes on the Fecundation of Orchids, and their Morphology. – Journal of Linnean Society,
Botany, vol. III, N
o
31, 1864, p. 127.
SCOTT, J. – On the Individual Sterility and Cross-impregnation of certain Species of Oncidium. – Journal of
Linnean Society, vol. VIII, N
o
31, 1864, p. 162.
MOGGRIDGE, J. TRAHERNE. – Observations on some Orchids of the South of France. – Journal of Linnean
Society, Botany, vol. VII, N
o
32, 1865, p. 256.
TRIMEN, R. – On the Structure of Bonatea speciosa, Linn., with reference to its Fertilisation. – Journal of
Linnean Society, vol. IX, 1865, p. 156.
ROHRBACH, P. – Ueber Epipogium Gmelini. – Gekrönte Preisschrift, Gottingen, 1866.
DELPINO. – Sugli Apparecchi della Fecondazione nelle piante antocarpee, Firenze, 1867.
HILDEBRAND, F. – Die Geschlechter-Vertheilung bei den Pflanzen, ecc., Leipzig, 1867, p. 51, et seq.
– Federico Delpino’s Beobachtungen über die Bestäubungsvorrichtungen bei den Phanerogamen. –
Botanische Zeitung, N
o
34, 1867, p. 265.
MOGGRIDCE, J. TRAHERNE, on Ophrys. – Flora of Mentone, 1867 (?) p. 43, 44, 45.
WEALE, J.P. MANSEL. – Notes on the Structure and Fertilisation of the Genus Bonatea, with a special
description of a Species found at Bedford, South Africa. – Journal of Linnean Society, Botany, vol. X,
1867, p. 470.
HILDEBRAND. — Notizen über die Geschlechtsverhältnisse brasilianischer Pflanzen. Aus einem Briefe von
Fritz Müller. – Botanische Zeitung, N
o
8, 1868, p. 113.
MÜLLER, FRITZ. – Ueber einige Befruchtungserscheinungen bei Orchideen. — Botanische Zeitung, N
o
39,
1868, p. 629.
– HERMANN. – Beobachtungen an westfälischen Orchideen. – Verhandlungen des nat. Vereins für Pr.
Rheinl. u. Westf. 1868 e 1869.
DARWIN, CHARLES. Notes on the Fertilisation of Orchids. Annals and Magazine of Natural History,
Sept. 1869.
DELFINO. – Ulteriori osservazioni sulla Dicogamia nel regno vegetale. Parte prima. Milano 1868-69, p. 175-
78.
MOGGRIDGE, J. TRAHERNE, – Ueber Ophrys insectifera, L. (part). – Verhandl. der kaiserl. Leop. Carol. Akad.
(Nova Acta), tom. XXXV, 1869.
MÜLLER, FRITZ. – Ueber einige Befruchtungserscheinungen. – Botanische Zeitung, N
o
14, 1869, p. 224.
– Umwandlung von Staubgefässen in Stempel bei Begonia. Uebergang von Zwitterblüthigkeit in
Getrenntblüthigkeit bei Chamissoa. Triandrische Varietät eines monandrischen Epidendrum. –
Botanische Zeitung, N
o
10, 1870, p. 149.
WEALE, J.P. MANSEL. – Note on a Species of Disperis found on the Kageberg, South Africa – Journal of
Linnean Society, Botany, vol. XIII, 1871, p. 42.
– Some Observations on the Fertilisation of Disa macrantha. – Journal of Linnean Society, vol. XIII,
1871, p. 45.
– Notes on some Species of Habenaria found in South Africa. – Journal of Linnean Society, vol. XIII, p.
47.
CHEESEMAN, T.F. – On the Fertilisation of the New-Zealand Species of Pterostylis. – Transact. of the New-
Zealand Institute, vol. V, 1873, p. 352.
MÜLLER, HERMANN. – Die Befruchtung der Blumen durch Insekten, ecc. Leipzig, 1873 pag. 74
.-
86.
CHEESEMAN, T.F. – On the Fertilisation of Acianthus cyrtostylis. – Transact. of the New-Zealand Institute, vol.
VII, 1874 (issued 1875), p. 349.
MÜLLER, HERMANN. Alpine Orchids adapted to Cross-fertilisation by Butterflies. Nature, Dec. 31,
1874.
DELFINO. –Ulteriori osservazioni sulla Dicogamia nel Regno vegetale. Parte seconda, fasc. II, Milano, 1875, p.
149, 150.
LUBBOCK, Sir J. – British Wild Flowers. London, 1875, p. 162-175.
FITZGERALD, R.D. – Australian Orchids. Part I, 1875, Part II, 1876, Sydney, New South, Wales.
INTRODUZIONE
Lo scopo del presente libro si è di dimostrare che gli apparecchi, col mezzo dei quali vengono
fecondate le Orchidee, sono altrettanto varii e quasi egualmente perfetti come qualsiasi dei più belli
adattamenti del regno animale; e in secondo luogo tende a dimostrare che lo scopo principale di
questi apparecchi è la fecondazione dei fiori con polline trasportato dagli insetti da un’altra pianta.
Nel mio libro Sulla Origine delle specie ho esposto solo delle idee generali in sostegno della
opinione che gli organismi superiori abbisognano, in virtù di una legge generale, di tratto in tratto
d’un incrociamento con un altro individuo; oppure, ciò che vale lo stesso, che nessun ermafrodita si
feconda da sè per una lunga serie di generazioni. Poichè sono stato biasimato per avere stabilito un
tal principio senza fatti dimostrativi, per l’esposizione dei quali io non aveva in quella opera lo
spazio necessario, desidero dimostrare in questo luogo che non ho espresso quel principio senza
accurate e dettagliate indagini.
Ho creduto opportuno di pubblicare questo piccolo trattato a parte, essendo troppo grande per essere
incorporato ad un altro soggetto. Essendo da tutti ammesso che le Orchidee comprendono forme fra
le più singolari e complicate del regno vegetale, ho pensato che i fatti da me esposti possano indurre
qualche osservatore ad indagare più esattamente le abitudini delle diverse specie nostrane. Inoltre lo
studio dei meravigliosi apparecchi di cui sono fornite potrebbe far concepire a certe persone un’idea
più elevata dell’intiero regno vegetale. Io temo però che le necessarie particolarità siano troppo
sottili e troppo complicate per coloro che non trovano grande diletto nella storia naturale. Questo
scritto mi offre anche l’occasione di dimostrare, che lo studio degli esseri organici può essere
altrettanto interessante per un osservatore perfettamente convinto che la struttura di ogni organismo
è soggetta alle leggi naturali, come per colui che vede in ogni piccola particolarità di struttura il
risultato d’un intervento immediato del creatore.
Devo premettere che Christian Konrad Sprengel ha dato un buon prospetto delle disposizioni delle
varie parti del fiore delle Orchidee, nella sua mirabile e assai pregiata opera: Das entdeckte
Geheimniss der Natur, pubblicata nel 1793; poiché egli conobbe assai bene la posizione dello
stigma e scoprì che gl’insetti sono necessarii pel trasporto delle masse polliniche.
(
1
)
Ma gli
sfuggirono molte mirabili disposizioni probabilmente in conseguenza dell’idea preconcetta che lo
stigma riceva normalmente il polline dallo stesso fiore. Così pure Sprengel ha descritto in parte la
struttura del genere Epipactis, ma ha affatto frainteso la stupenda disposizione, assai caratteristica
per questo genere, descritta così bene dal dottor Hooker nelle Philosophical Transactions dell’anno
1854. Il dottor Hooker ha dato una completa ed esatta descrizione della struttura delle parti
accompagnata da disegni; ma non avendo egli tenuto conto dell’azione degli insetti, non ha
perfettamente compreso i fatti osservati. Roberto Brown nella sua rinomata Memoria inserita nelle
Linnean Transactions
(
2
)
esprime la convinzione che gl’insetti siano necessarii per la fecondazione
del maggior numero delle Orchidee; ma soggiunge essere difficile mettere in armonia con questa
opinione il fatto che non di rado tutte le capsule d’una fitta spica producono semi: noi vedremo in
seguito che questo dubbio non è giustificato. Molti altri autori hanno citato dei fatti ed espresso la
loro convinzione più o meno ferma che l’azione degli insetti sia necessaria per la fecondazione delle
Orchidee.
Nel corso del presente libro avrò il piacere di esprimere la mia profonda obbligazione a molti
signori per la cortesia con cui mi inviarono freschi esemplari; senza questi aiuti il mio libro sarebbe
stato impossibile. La cura che si diedero parecchi dei miei coadiutori è stata veramente
straordinaria; io non ho mai espresso un desiderio, per aver aiuti od istruzioni, senza che sia stato
soddisfatto, per quanto era possibile, nel modo più liberale.
Spiegazione dei termini tecnici.
Pel caso che qualcuno profano della scienza botanica volesse imparar a conoscere questo libro,
trovo opportuno di spiegare il significato dei termini più usati. Nella massima parte dei fiori gli
organi maschili o stami circondano, disposti in cicli, uno o più organi femminili detti pistilli. In tutte
le comuni Orchidee esiste un solo stame ben sviluppato, il quale si salda al pistillo e forma con esso
la colonnetta (columna). Gli stami sono formati di solito dal filamento (di rado visibile nelle specie
inglesi), il quale porta l’antera, che contiene nel suo interno il polline o l’elemento maschile.
L’antera è divisa in due logge che si vedono assai distintamente nella massima parte delle Orchidee,
di modo che in alcune specie sembrano esistere due antere diverse. Il polline consta in tutte le piante
ordinarie d’una fina polvere granulare; ma nella maggior parte delle Orchidee i granelli si uniscono
a formare delle piccole masse, le quali sono spesso portate da un’appendice particolare detta
picciuolo o caudicola. Questa parte e tutti gli altri organi saranno meglio descritti e figurati là dove
si parlerà della prima specie, Orchis mascula. Le masse formate dai granelli del polline unitamente
al picciuolo (caudicula) e ad altre appendici si dicono «masse polliniche» o pollinii (pollinia).
Le Orchidee possedono in realtà tre pistilli o organi femminili saldati assieme; le faccie superiori ed
anteriori di due di essi costituiscono i due stigmi, i quali sono spesso completamente fusi in modo
da parere uno solo. Nell’atto della fecondazione penetrano entro lo stigma dei lunghi tubi
provenienti dai granelli del polline, e il loro contenuto arriva fino all’ovulo o ai giovani semi
nell’ovario.
Lo stigma superiore è trasformato in un organo straordinario detto rostello (rostellum), il quale in
molte Orchidee non ha somiglianza alcuna con un vero stigma. Contiene, quando è maturo, della
sostanza viscosa, oppure è formato solamente di essa. In molte Orchidee le masse polliniche
1
()
DELPINO (Ult. Osservazioni sulla Dicogamia, parte II, 1875, p. 150) ha trovato una memoria di WAETCHER pubblicata nell’anno
1801 nel Roemer’s Archiv für die Botanik, t. 2, p. 11, la quale sembra essere stata ignota ad ognuno. In questa memoria Waetcher, il
quale sembra non conoscesse l’opera di Sprengel, dimostra che gli insetti sono necessarii alla fecondazione di certe Orchidee e
descrive assai bene la meravigliosa struttura della Neottia.
2
()
Linnean Transactions, vol. XVI, 1833, p. 704.
aderiscono fortemente ad una parte della sua superficie esterna, la quale vien portata via assieme
alle masse polliniche aderenti dagli insetti che visitano quei fiori. Questa parte trasportabile
consiste, nella maggior parte delle Orchidee inglesi, di una piccola porzione della epidermide e
d’uno strato o globo della sottoposta massa viscosa; io la chiamerò «disco adesivo». Ma in molte
specie esotiche la parte rimossa è tanto grande e di tale significato che il nome di disco adesivo deve
essere dato solo ad una parte analoga alla suaccennata; l’altra porzione alle cui estremità sono
attaccate le masse polliniche dicesi «stilo del rostello». Alcuni autori hanno chiamato retinacolo la
porzione del rostello che viene allontanata a motivo dello scopo evidente che ha di tener attaccate al
loro posto le masse polliniche. Lo stilo o l’appendice del rostello a cui sono fissate le masse
polliniche in parecchie Orchidee esotiche sembra essere stato spesso confuso col picciuolo o
caudicola delle masse polliniche, quantunque per la loro natura ed origine sieno affatto diversi.
Quella parte del rostello che rimane dopo l’allontanamento dei dischi e della sostanza viscosa vien
denominata talvolta bursicula o fovea. Ma sarà meglio evitare tutti questi termini e chiamare lo
stigma modificato semplicemente rostello, e aggiungervi un aggettivo solo allorquando interessi
determinarne più da vicino la forma; quella parte del rostello che viene asportata assieme al polline
è chiamata in modo generale «disco adesivo», sotto il qual nome si comprende talora anche lo stilo.
Le tre parti più esterne del fiore si dicono sepali e formano il calice; ma invece d’essere verdi, come
nella maggior parte dei fiori comuni, sono per lo più colorati nello stesso modo che le tre parti della
corolla o petali. In quasi tutti i generi uno dei petali, che è in realtà il superiore, è più grande degli
altri: esso sta nella parte inferiore del fiore, dove esso forma una stazione per gl’insetti, e vi è
portato probabilmente dalla torsione dell’ovario. Si chiama labbretto o labello e presenta spesso
forme assai singolari. Esso secerne nettare per adescare gli insetti e si prolunga sovente in un
nettario speroniforme.
Capitolo I.
OPHRYDEæ
Struttura del fiore di Orchis mascula. – Movimenti delle masse polliniche. – Perfetto adattamento delle parti nella
Orchis pyramidalis. – Altre specie di Orchis e di alcuni generi affini. – Degli insetti che visitano le diverse specie e
frequenza delle loro visite. – Della fecondità e sterilità di diverse Orchidee. – Della secrezione del nettare, e degli insetti
che sono a bella posta soffermati per raggiungerlo.
Nel presente libro io ho seguito, per quanto mi fu possibile, la classificazione delle Orchidee data da
Lindley. Le specie dell’Inghilterra appartengono a cinque de’ suoi gruppi, vale a dire a quelli delle
Ophrydeæ, Neottieæ, Arethuseæ, Malaxeæ e Cypripedeæ; i due ultimi gruppi comprendono pe
ciascuno un unico genere. Nei primi otto capitoli descriverò diverse specie inglesi e straniere,
appartenenti ai diversi gruppi. L’ottavo comprenderà inoltre la discussione sulle omologie dei fiori
delle orchidee. Il nono capitolo sarà consacrato a diverse considerazioni generali.
Le Ophrydeæ comprendono la maggior parte delle specie brilanniche comuni, e noi comincieremo
col genere Orchis. Il lettore troverà forse qualche difficoltà a comprendere le particolarità che
seguono; ma io posso assicurarlo, che, se avrà la pazienza di ben chiarirsi il primo caso, potrà poi
assai facilmente comprendere gli altri. Gli schizzi che seguono (v. fig. 1) illustrano la posizione
reciproca degli organi più importanti del fiore di Orchis mascula. I sepali ed i petali, ad eccezione
del labello col suo nettario, sono allontanati. Il nettario è visibile solo da un lato (fig. An), poichè il
suo ingresso allargato è quasi intieramente nascosto nell’ombra, nel prospetto (B). Lo stigma (s) è
bilobo e consta di due stimmi quasi completamente saldati assieme; sta sotto al rostello (r) che ha la
forma d’una borsa. L’antera (a, in A e B) è formata da due logge mediocremente distanti l’una
dall’altra, le quali sono aperte sul davanti nella direzione della loro lunghezza e contengono
ciascuna una massa pollinica.
La fig. C rappresenta una di queste masse polliniche, levata dalla sua loggia dell’antera. È formata
da una quantità di piccole masse coniche di granelli pollinici, riuniti fra loro da esili filamenti assai
elastici (v. fig. F, che rappresenta queste piccole masse allontanate a forza). Questi filamenti
convergono assieme all’estremità inferiore di ogni massa pollinica e formano il picciuolo o
caudicola (C c), che è diritto ed elastico. L’estremità del picciuolo aderisce fortemente al disco
adesivo (C d), il quale (come si può vedere nello spaccato trasversale del rostello, fig. E) consta di
una piccola porzione ovale della epidermide con una pallottola di sostanza viscosa aderente alla sua
faccia inferiore. Ogni massa pollinica o pollinio ha un suo proprio disco adesivo; e le due palle di
sostanza viscosa stanno assieme rinchiuse nel rostello (fig. D).
Fig. 1. – ORCHIS MASCULA.
a. antéra, composta di due logge – r. rostello – s. stigmal. labello – n.
nettario – p. masse polliniche – c. picciuolo delle masse polliniche – d.
disco adesivo delle masse polliniche.
A. Fiore di profilo; tutti i sepali ed i petali sono allontanati ad eccezione del
labello, del quale si è troncata la metà rivolta verso lo spettatore, come
pure la porzione superiore del nettario dalla stessa parte.
B. Fiore di prospetto; tutti i sepali ed i petali ad eccezione del labello sono
allontanati.
C. Massa pollinica; si vedono le masse dei granelli pollinici, il picciuolo o
caudicola e il disco adesivo.
D. Prospetto dei picciuoli delle due masse polliniche; i dischi sono entro il
rostello, il di cui labbro è depresso.
E. Spaccato di una parte laterale del rostello col disco in esso racchiuso e la
caudicola d’una massa pollinica; il labbro non è depresso.
F. Massa di granelli pollinici, riuniti da filamenti elastici, allontanati nella
figura (Bauer).
Il rostello è un’appendice quasi sferica e un po’ appuntita (Ar, Br), che sormonta i due stigmi saldati
assieme e abbisogna d’una descrizione dettagliata, poiché, ogni particolarità della sua struttura è di
alta importanza. La fig. E rappresenta uno spaccato longitudinale di uno dei dischi colla sua palla di
sostanza viscosa, e la fig. D un prospetto dei due dischi adesivi nella loro posizione entro il rostello.
Questa ultima figura (D) mi sembra essere la più adatta per illustrare la struttura del rostello;
tuttavia si deve osservare, che il labbro anteriore è in essa fortemente depresso. La porzione
inferiore dell’antera è, come si vede nella fig. B, confusa col dorso del rostello. In uno stadio
anteriore di sviluppo il rostello è formato da una gran quantità di cellule poligonali ripiene d’una
sostanza bruna, le quali presto si trasformano in due masse di una sostanza semiliquida, molto
viscosa e senza struttura. Queste masse viscose sono oblunghe, quasi piane superiormente e
inferiormente convesse. Esse sono (circondate solo da liquido) quasi affatto libere nel rostello, ad
eccezione della loro porzione inferiore, la quale aderisce ad una piccola porzione o dischetto della
membrana esterna del rostello. Le estremità dei due picciuoli sono fissate a questi due piccoli dischi
membranosi.
La membrana che ricopre tutta la superficie esterna del rostello è dapprincipio continua; ma appena
si apre il fiore, basta il più leggero contatto per farla scoppiare lungo una linea trasversale curva e
situata davanti alle due logge dell’antera e alla piccola cresta formata da una piega della membrana
fra di esse (v. fig. D). Questa fessura non muta la forma generale del rostello, ma ne trasforma
tuttavia la porzione anteriore in un labbro, il quale può essere facilmente depresso. Questo labbro è
rappresentato molto abbassato nella fig. D, mentre nella fig. B si vede il suo margine di prospettiva.
Se si abbassa totalmente il labbro, si vedono libere le due masse di sostanza viscosa; ma tostochè
questa pressione cessa, il labbro si solleva nuovamente, per virtù dell’elasticità della sua porzione
posteriore, e racchiude nuovamente le due masse.
Io non voglio asserire, che la membrana esterna del rostello non possa mai scoppiare da sè, e non
v’ha dubbio, ch’essa a ciò non si prepari coll’indebolirsi lungo linee determinate; però io vidi
spesso formarsi questa spaccatura in conseguenza d’un leggero contatto, tanto leggero, che non si
può considerare questo processo come puramente meccanico, ma, in mancanza d’una migliore
espressione, si potrà chiamare un atto vitale. Noi vedremo in seguito ancora altri fatti, in cui il più
leggero contatto, oppure l’azione del vapore di cloroformio, basta a provocare la spaccatura della
membrana esterna del rostello lungo linee determinate.
Nello stesso tempo che il rostello scoppia longitudinalmente sulla sua faccia anteriore, sembra
probabile (quantunque sia impossibile osservarlo a cagione della posizione delle parti), che esso si
fenda anche posteriormente in due linee ovali, e così si separino e si distacchino dal resto della
superficie esterna i due piccoli dischi membranosi, a cui aderiscono esternamente le due caudicole
ed internamente le due masse viscose. In tal modo la linea, secondo la quale avviene la spaccatura, è
molto complicata, ma ben determinata.
Poiché le due logge dell’antera si aprono anteriormente nella direzione della lunghezza già prima
del completo sviluppo del fiore, il labbro del rostello può, tostochè si è prodotta in esso una fessura
in conseguenza d’un leggero contatto, essere facilmente abbassato, ed essendo i due dischi della
membrana già separati, le due masse polliniche giacciono perfettamente libere, sebbene ancora
trattenute al loro posto. Perciò le masse polliniche e i picciuoli stanno ancora entro le logge
dell’antera; i dischi fanno parte ancora del rostello, ma ne sono separati, e le masse viscose stanno
ancora nascoste nell’interno del rostello.
Noi vogliamo ora vedere (fig. 1) come funzioni nell’Orchis mascula questo complicato
meccanismo. Supponiamo che un insetto venga ad appoggiarsi sul labello, il quale costituisce una
comoda stazione, e introduca il suo capo nella cavità (v. il profilo A, o il prospetto B), sulla di cui
parte dorsale è collocato lo stigma (s), per giungere colla sua proboscide al nettario; oppure, ciò che
serve egualmente per dimostrare il processo, introduciamo una matita comune con punta assai
sottile e con molta precauzione nel nettario. Poiché il rostello forma una prominenza sulla via che
conduce al nettario, è quasi impossibile introdurre in quest’ultimo un oggetto, senza toccare il
rostello. La membrana esterna di esso scoppierà per questo contatto lungo la linea indicata, e il
labbro verrà facilmente abbassato. Avvenendo ciò, una o tutte due le masse viscose verranno
inevitabilmente a contatto col corpo introdotto, e queste masse sono così attaccaticcie, che
aderiscono quasi ad ogni oggetto con cui vengono in contatto. Oltrecciò questa sostanza vischiosa
ha la proprietà chimica di disseccarsi e di indurirsi in pochi minuti come un cemento. Ora, essendo
aperte anteriormente le logge delle antere, quando l’insetto tirerà fuori il suo capo o noi ritiriamo la
matita, una od ambedue le masse polliniche saranno tirate fuori attaccate all’oggetto, a somiglianza
di corni eretti, come è rappresentato dalla fig. A (fig. 2).
Questa forte aderenza del cemento è assolutamente necessaria, poiché se le masse polliniche
cadessero ai lati o all’indietro, non potrebbero più fecondare il fiore. In causa della posizione che le
due masse occupano entro le logge, conservano anche sull’oggetto a cui aderiscono direzioni
alquanto divergenti. Supponiamo ora che il nostro insetto vada a posarsi sopra un altro fiore, oppure
proviamo ad introdurre la nostra matita (fig. 2, A), colla aderente massa pollinica, nello stesso o in
un altro nettario, allora avverrà, come si può chiaramente vedere, gettando uno sguardo sulla figura
1, A, che la massa pollinica sarà semplicemente premuta contro od entro la sua primiera posizione,
vale a dire nella loggia dell’antera. Ora si domanda, come può aver luogo la fecondazione del fiore?
Ciò avviene col mezzo d’una mirabile disposizione; poiché se la superficie viscosa aderisce
fortemente ed immobilmente, altrettanto non avviene del disco membranoso, apparentemente di
nessuna importanza, a cui aderisce la caudicola o picciuolo; ma è dotato d’una meravigliosa forza di
contrazione (di cui si parlerà più estesamente in altro luogo), per virtù della quale le masse
polliniche si curvano, in media entro lo spazio di 30 secondi, sempre nella stessa direzione, vale a
dire verso la punta della
,
matita o della proboscide, descrivendo un arco di 90°. La posizione della
massa pollinica dopo questo movimento è rappresentata nella fig. 2, B. Dopo questo movimento, il
quale si compie in uno spazio di tempo tale da permettere all’insetto di portarsi su un’altra pianta,
(
3
)
si potrà vedere, osservando la fig. 1, A, che introducendo la matita o la proboscide nel nettario,
l’estremità ingrossata dalla massa pollinica viene esattamente a contatto colla superficie dello
stimma.
Qui viene in giuoco anche un’altra bella disposizione, descritta già da molto tempo da Robert
Brown.
(
4
)
Lo stimma è assai vischioso, non tanto però da produrre col contatto la completa
lacerazione della massa pollinica portata dal capo dell’insetto o dalla matita, ma tuttavia lo è
abbastanza per lacerare i filamenti elastici (fig. 1, F) che tengono unite le masse di granelli pollinici
e per far cadere alcuni di essi sullo stimma. Per la qual cosa una massa pollinica che si trovi sopra il
capo di un insetto o su di una matita può venir successivamente in contatto con molti stigmi e
fecondarli tutti. Così io ho osservato sulla proboscide d’una sfinge i resti dei picciuoli delle masse
polliniche di Orchis pyramidalis, dopo che tutte le masse di granelli pollinici erano già state deposte
sugli stigmi dei fiori successivamente visitati dall’insetto.
3
()
Il Dr. H. MÜLLER (Die Befruchtung der Blumen durch Insekten, 1873, p. 84) ha osservato dei pecchioni sulle spiche fiorali di
Orchis moscula, e trovò essere vero il modo di vedere qui accennato.
4
()
Transactions of the Linnean Society, vol. XVI, p. 731.
Fig. 2.
A. Polline coperto di O. mascula appena attaccato.
B. Polline coperto di O. mascula dopo che fu staccato.
Una o due altre piccole circostanze sono degne ancora della nostra osservazione. Le masse di
sostanza vischiosa sono circondate entro il rostello borsiforme da un liquido, il qual fatto è di
grande importanza per ciò, che questa sostanza, come fu già accennato, all’aria si dissecca e si
indurisce in breve tempo. Ho cavato fuori queste masse dalle loro borse ed ho osservato che esse
perdettero dopo pochi minuti la loro proprietà adesiva. Inoltre i piccoli dischi membranosi, la di cui
contrazione è causa del movimento delle masse polliniche tanto necessario affinché la fecondazione
abbia luogo, sono collocati sulla faccia superiore e posteriore del rostello e circondati dalla base
delle logge dell’antera, in modo da essere conservati sempre umidi nel loro interno; ciò che è
assolutamente necessario, poichè la esposizione all’aria di circa 30 secondi è sufficiente a produrre
lo abbassamento, mentre all’opposto la massa pollinica conserva l’attitudine a funzionare finché è
trasportata da un insetto, se il disco è conservato umido.
Infine, come ho già mostrato, la borsa ritorna al suo posto, dopo la depressione, e ciò è pure di
grande utilità; poiché se questo non avvenisse, quando un insetto abbassasse il labello e non
trasportasse alcuna o una soltanto delle due masse viscose, resterebbero esposte all’aria, nel primo
caso ambedue le masse e nel secondo una di esse; in conseguenza di ciò una di esse od ambedue
perderebbero la loro facoltà adesiva e le masse polliniche diverrebbero in tal modo assolutamente
inutili. Ora è certo, che in molte specie d’Orchidee gl’insetti portano via una alla volta le masse
polliniche, anzi è probabile che nel maggior numero dei casi ne prendano una alla volta, poiché nei
fiori più vecchi ed inferiori mancano quasi sempre ambedue le masse polliniche, mentre i più
giovani che stanno presso i bottoni, essendo stati senza dubbio meno frequentemente visitati,
contengono spesso ancora una massa pollinica. In una spica fiorale di Orchis mascula trovai, che in
dieci fiori quasi tutti fra i superiori, una sola massa pollinica era stata allontanata; l’altra stava
ancora al suo posto, e il labbro del rostello era perfettamente chiuso; l’intero meccanismo era
dunque perfettamente in ordine per un posteriore trasporto della massa pollinica per mezzo d’un
insetto.
Quando venne alla luce la prima edizione di questo libro, non aveva ancora visto alcun insetto
visitare i fiori nel modo anzidetto; ma un mio amico osservò alcune piante e vide come esse fossero
visitate da parecchi Bombus, che sembravano appartenere alla specie Bombus muscorum; e il dott.
H. Müller
(
5
)
ha veduto in questa visita quattro altre specie. Egli s’impadronì di novantasette
esemplari, dei quali trentadue portavano le masse polliniche attaccate al loro capo.
La precedente descrizione dell’attività degli organi della Orchis mascula vale anche per le specie O.
morio, O. fusca, O. maculata, O. latifolia. Queste specie presentano delle piccole differenze,
apparentemente in correlazione fra loro e relative alla lunghezza del picciuolo, alla direzione del
nettario, alla forma e lunghezza dello stigma, le quali però non abbisognano d’una dettagliata
descrizione. In tutte queste specie le masse polliniche presentano, quando vengono allontanate dalle
logge dell’antera, quel movimento particolare di abbassamento tanto necessario per portarle nella
posizione opportuna sul capo dell’insetto e perché vengano a contatto collo stimma d’un altro fiore.
Sei specie di pecchioni e tre specie di api furono osservate, da H. Müller e da me, visitare i fiori di
Orchis morio. Ad alcune api furono visti aderire da dieci a sedici masse polliniche; undici al capo
d’una Eucera longicornis, e parecchie al capo d’una Osmia rufa, e molte alla superficie nuda che
osservai sulle mandibole del Bombus muscorum. H. Müller ha osservato, che dieci specie diverse di
api visitavano i fiori di O. latifolia, i quali vengono anche visitati dai ditteri. Mio figlio Giorgio
osservò per un certo tempo alcune piante di O. maculata, e vide molti individui di Empis livida
introdurre il loro rostro nel nettario; e più tardi potei io stesso osservare il medesimo fatto. Egli
portò a casa sei esemplari di questa Empis, i di cui occhi sferici, al livello della base delle antenne,
portavano delle masse polliniche. Queste avevano già eseguito il movimento di depressione e
stavano un po’ sopra o parallele alla proboscide; esse avevano quindi una posizione assai adatta per
giungere a contatto dello stigma. Un esemplare portava sei masse polliniche disposte in tal modo,
un altro tre. Mio figlio osservò, che anche un’altra piccola specie di Empis introduceva la sua
5
()
Die Befruchtung. ecc., p. 84.
proboscide nel nettario; ma questa specie non agiva così bene, nè tanto regolarmente, come l’altra,
nella fecondazione dei fiori. Un esemplare di quest’ultima Empis portava cinque masse polliniche, e
un secondo ne portava tre sulla faccia dorsale del torace convesso. H. Müller ha osservato due altri
generi di ditteri visitare questa Orchis, e le masse polliniche aderivano alla porzione anteriore del
loro corpo; egli vide una volta anche un pecchione che visitava questi fiori.
(
6
)
Possiamo ora parlare della Orchis pyramidalis (sottogenere Anacamptis), una delle specie più
elevate per organizzazione, che io abbia esaminato, e della quale alcuni botanici fecero un genere
separato. La reciproca posizione delle parti è qui considerevolmente diversa da quella presentata
dalla Orchis mascula e dalle specie affini. Esistono due lobi dello stigma rotondi e perfettamente
divisi (fig. 3, A, s, s), ognuno dei quali sta dalla sua parte presso il rostello borsiforme. Quest’ultimo
organo non trovasi più alquanto sopra il nettario, ma di tanto più basso da coprire e chiudere
parzialmente l’ingresso dello stesso (v. prospetto fig. 3 B). La camera che sta avanti l’ingresso nel
nettario, formata dal saldarsi dei margini del labello colla colonnetta, mentre è spaziosa nella O.
mascula e nelle specie affini, è, in questo caso, piccola. Il rostello borsiforme ha una incavatura
ripiena di liquido nel mezzo della sua faccia inferiore. Il disco adesivo è semplice e presenta la
forma d’una sella (Fig. 3, C ed E), la quale porta sulla sua parte dorsale quasi piana i due picciuoli
delle masse polliniche fissati saldamente colle loro estremità. Fino a che la membrana del rostello
non è lacerata, si può distintamente vedere che il disco è un’appendice continua del resto della
superficie. Il disco sta parzialmente nascosto ed è conservato umido (ciò che è assai importante) fra
le pieghe delle parti basali delle due logge dell’antera. Il disco è formato da parecchi strati di piccole
cellule ed è quindi abbastanza grosso; inferiormente è rivestito da uno strato di sostanza assai
attaccaticcia che ha la sua origine nell’interno del rostello. Questo strato corrisponde esattamente ai
due piccoli dischi membranosi ed ovali, a cui si fissano i due picciuoli nella Orchis mascula e
specie affini.
Quando il fiore è aperto e il rostello, sia in conseguenza di un urto o spontaneamente (non so in
quale dei due modi), è simmetricamente scoppiato, basta il più leggero contatto per abbassare il
labbro, vale a dire la porzione inferiore biloba dell’esterna membrana del rostello, che sporge
nell’ingresso del nettario. Colla depressione del labbro la faccia inferiore e vischiosa del disco, pur
rimanendo al suo posto, vien messa allo scoperto e posta in istato di poter aderire certamente ad un
corpo che la tocchi. Perfino un capello umano introdotto nel nettario è abbastanza forte per
deprimere il labbro, e il disco vi si attacca col mezzo della sua faccia vischiosa. Se il labbro viene
depresso solo debolmente ritorna nuovamente al suo posto e copre di nuovo la faccia inferiore del
disco.
Fig. 3. – ORCHIS PYRAMIDALIS.
a. antera – s, s. stigma – r. rostello – l. labello – l’. lista guidatrice del labello
n. nettario.
A. Prospetto; i sepali e i petali sono allontanati, ad eccezione del labello.
B. Profilo; i sepali e i petali sono allontanati, il labello è tagliato nella
direzione della sua lunghezza insieme a quella parte del nettario che sta di
fronte allo spettatore.
C. Le due masse polliniche fissate al disco vischioso, che ha forma di sella.
D. Il disco dopo il primo atto di contrazione senza essere fissato ad un
oggetto.
E. Il disco visto dall’alto e appiattito meccanicamente, una massa pollinica è
allontanata; si può vedere un’incavatura sulla sua superficie, col mezzo
della quale si eseguisce il secondo movimento della massa pollinica.
F. Le masse polliniche allontanate coll’introduzione di un ago nel nettario,
dopo che la sella ha racchiuso l’ago in virtù del primo atto di contrazione.
G. Le stesse masse polliniche dopo il secondo movimento e la depressione
che ne dipende.
L’adattamento perfetto delle parti si fa evidente, se si toglie l’estremità del nettario e per essa
s’introduce una setola che ha necessariamente una direzione opposta a quella in cui i lepidotteri
notturni introducono la loro proboscide. In questo caso il rostello è facilmente lacerato o perforato,
mentre di rado o mai si giunge a toccare il disco. Se il disco viene asportato assieme alle masse
6
()
Il sig. M. GIRARD prese un coleottero longicorne, Strangalia atra, il quale portava davanti la bocca un fascio di masse polliniche
di questa Orchidea: Annales de la Société Entomol. de France, tom. IX, 1869, p. XXXI.
polliniche con una setola a cui aderisce, ha luogo una involuzione del labbro inferiore, e l’ingresso
del nettario diventa più aperto di prima; tuttavia io non ardisco pronunciarmi, se ciò sia di grande
vantaggio per i lepidotteri notturni, che tanto frequentemente visitano i fiori, e quindi per le piante
stesse.
Infine il labello è provveduto di due liste prominenti (alBl’), le quali vanno obliquamente a finire
nel mezzo e si distendono all’esterno. Queste liste servono a guidare un corpo flessibile, come una
esile setola o un capello, nell’apertura rotonda del nettario, che è assai piccola e per di più
parzialmente chiusa dal rostello; questa disposizione delle liste convergenti si può paragonare a quel
piccolo istrumento che talvolta s’impiega per infilare un ago assai sottile.
Passiamo ora a vedere come funzionino queste parti. Se una farfalla notturna (noi vedremo ben
presto quanto frequentemente i fiori vengano visitati dalle farfalle) introduce la sua proboscide,
oppure noi introduciamo un’esile setola fra le linee guidatrici del labello, essa giungerà certamente
nella piccola imboccatura del nettario e si potrà difficilmente evitare la depressione del rostello. Se
ciò avviene, la setola verrà a contatto colla faccia inferiore nuda e viscosa del disco; e allorchè la
setola verrà ritirata, essa porterà seco il disco colle masse polliniche che ad esso sono attaccate.
Appena il disco viene esposto all’aria, ha luogo quasi istantaneamente un rapido movimento di esso,
consistente nella involuzione dei suoi due lobi laterali attorno alla setola che viene da essi
abbracciata. Io ho fatto l’esperienza di estrarre le masse polliniche coi loro picciuoli col mezzo di
una pinzetta, così da non offrire nulla da abbracciare ai lobi del disco, e potei osservare in questo
caso i due lobi curvarsi all’indentro così rapidamente, che in nove secondi giunsero a toccarsi (fig.
3, D), e dopo altri nove secondi la sella era trasformata in seguito ad una continua e forte
involuzione in una sfera apparentemente solida. La proboscide delle molte farfalle portanti le masse
polliniche di questa orchidea, che io ebbi occasione di esaminare, è così esile che le estremità dei
due lobi laterali della sella vengono nuovamente ad incontrarsi e precisamente sulla faccia inferiore.
Ciò indusse in errore un naturalista, il quale mi spedì una farfalla sulla di cui proboscide aderivano
parecchi di questi dischi in forma di sella; egli, ignorando questo movimento, venne assai
naturalmente alla strana conclusione, che la farfalla abbia molto abilmente perforato il centro
preciso del così detto retinacolo di una qualche Orchidea.
Questo celere abbracciamento contribuisce naturalmente a fissare la sella in posizione eretta sulla
proboscide, il che è di essenziale importanza. Ma poiché la sostanza vischiosa s’indurisce assai
prontamente, essa potrebbe bastare probabilmente a conseguire lo scopo anzidetto, e il movimento
d’involuzione servirebbe solo ad ottenere la divergenza delle due masse polliniche. Essendo queste
fissate sulla faccia dorsale piana della sella, esse sono dapprincipio erette e quasi parallele; ma a
misura che il dorso piano della sella si curva intorno alla sottile proboscide cilindrica o intorno alla
setola, le due masse polliniche devono necessariamente prendere una direzione divergente. Tosto
che la sella ha abbracciato la setola e le masse polliniche sono diventate divergenti, incomincia un
secondo movimento, il quale pure come il primo è unicamente determinato dalla contrazione del
disco membranoso che ha forma di sella, come si dirà più diffusamente nel nono capitolo. Questo
secondo movimento è affatto identico a quello che avviene nella O. mascula e nelle specie affini e
che fu già descritto; esso è causa che le masse polliniche divergenti, le quali dapprima sono
perpendicolari all’ago o alla setola (fig. 3, F), si abbassano sotto un angolo di quasi novanta gradi
verso la punta dell’ago (fig. 3, G), finché deprimendosi giungono allo stesso livello dell’ago. In tre
casi io vidi compiersi questo secondo movimento nello spazio di trenta a trentaquattro secondi dopo
l’allontanamento delle masse polliniche dalle logge dell’antera e quindi circa cinquanta secondi
dopo che la sella aveva abbracciato la setola.
L’utilità di questo doppio movimento si fa evidente, introducendo una setola portante le due masse
polliniche già divergenti ed abbassate fra le liste guidatrici del labello nel nettario del medesimo o
d’un altro fiore (vedi fig. 3, A e G); perocchè le estremità delle due masse polliniche hanno
esattamente una tale posizione, che, mentre una di esse viene a contatto collo stigma d’un lato,
l’altra va a raggiungere nello stesso momento lo stigma del lato opposto. Il secreto dello stigma è
così attaccaticcio, che i filamenti elastici che tengono unite le masse dei granelli pollinici si lacerano
quando le masse polliniche vengono ritirate; ed anche ad occhio nudo si possono vedere alcuni
granelli d’un colore verde-scuro restare addietro sulle due bianche faccie dello stigma. Io ho fatto
questo piccolo esperimento alla presenza di parecchie persone, le quali tutte manifestarono la più
viva ammirazione per la perfezione di questo apparecchio che ha per iscopo la fecondazione delle
Orchidee.
Non trovandosi in nessun’altra pianta e difficilmente anche in nessun animale adattamenti più
perfetti d’un organo agli altri e dell’intiero organismo ad altri organismi tanto lontani nella scala
della natura, di questi presentati dalle Orchidee, è prezzo dell’opera che si faccia ancora una breve
ricapitolazione. Poiché questi fiori vengono visitati tanto da lepidotteri diurni come da notturni, non
credo essere infondata o fantastica l’opinione, che il vivace colore purpureo (sia esso o no
sviluppato espressamente a questo scopo) attiri i lepidotteri diurni come l’intenso loro odore i
notturni. Il sepalo superiore e i due petali superiori formano una cuffia per la protezione dell’antera
e delle faccie dello stigma contro le intemperie. Il labello si sviluppa in un lungo nettario allo scopo
di adescare gl’insetti, e noi esporremo tosto i motivi, i quali giustificano la supposizione, che il
nettare sia a bella posta conservato in modo, che esso (ciò che differisce da quello che si osserva
nella maggior parte delle altre piante) non possa essere succhiato se non lentamente, affine di dar
tempo alla sostanza vischiosa, che sta sulla faccia inferiore del disco, di disseccarsi e d’indurirsi. A
chi faccia l’esperimento d’introdurre una esile e flessibile setola nell’imboccatura del fiore fra le
liste convergenti disposte sul labello, non gli resterà dubbio alcuno, che lo scopo di esse non sia
quello di servire di guida e d’impedire che la setola o la proboscide possa penetrare obliquamente
nel nettario. Quest’ultima circostanza è d’una importanza palmare; poiché, se la proboscide potesse
penetrare obliquamente, il disco verrebbe ad aderire ad essa pure obliquamente e dopo l’esecuzione
dei suoi due movimenti, le masse polliniche non potrebbero più venire a contatto colle due faccie
laterali dello stigma.
Noi vediamo inoltre che il rostello chiude parzialmente la bocca del nettario, in un modo pressoché
eguale a quello d’una trappola tesa a selvaggina, e questa trappola è così complicata e perfetta nelle
sue linee simmetriche di rottura, delle quali è formato superiormente il disco in forma di sella e
inferiormente il labbro della borsa, e questo labbro è tanto facile ad essere depresso, che una
proboscide di lepidottero la quale venga introdotta non può evitare di scoprire il disco vischioso e di
appiccicarselo. Se tuttavia ciò non avvenisse, il labbro elastico si solleverebbe di nuovo per ricoprire
la faccia vischiosa e mantenerla umida. Noi vediamo inoltre che la sostanza vischiosa aderisce solo
al disco del rostello ed è circondata da un liquido, per modo che essa non può indurirsi, finché il
disco non ne è allontanato. Così pure la faccia superiore del disco col picciuolo che vi sta sopra è
conservata umida dalla base delle logge dell’antera, finchè non sia cavato fuori, dopo di che
comincia tosto quel particolare movimento involutivo, che è la causa della divergenza delle masse
polliniche, a cui succede poi il movimento di abbassamento; ambedue i movimenti sono
esattamente adattati allo scopo che le estremità delle due masse polliniche vengano a toccare le due
faccie dello stigma. Queste due faccie non sono abbastanza vischiose per distaccare l’intera massa
pollinica dalla proboscide della farfalla, ma lo sono abbastanza per lacerare i filamenti elastici e
trattenere alcune masse di granelli pollinici, mentre molte di esse rimangono addietro per altri fiori.
(
7
)
Si deve però osservare, che, se anche l’insetto impiega probabilmente un certo tempo a succhiare il
nettare, tuttavia il movimento dell’abbassamento dei pollini, come risulta da esperimenti da me fatti,
non comincia prima che essi sieno completamente cavati fuori delle logge dell’antera; così che il
loro movimento non sarà compiuto, nè perverranno nella posizione opportuna, per giungere a
contatto delle faccie dello stigma, prima che sia trascorso all’incirca mezzo minuto, quanto basta per
lasciar tempo all’insetto di portarsi sopra un’altra pianta e produrre così l’incrociamento di due
diversi individui.
La Orchis ustulata
(
8
)
concorda in molte particolarità importanti colla O. pyramidalis, e ne differisce
in altre. Il labello è profondamente incavato a forma di doccia, la quale corrisponde alle liste
guidatrici delle O. pyramidalis e conduce al piccolo ingresso triangolare del breve nettario.
L’angolo superiore del triangolo è sormontato dal rostello, la di cui borsa termina inferiormente un
po’ in punta. A questa posizione del rostello assai vicina all’ingresso del nettario corrisponde uno
7
()
Il defunto prof. Treviranus (Botanische Zeitung, 1863, p. 241) ha confermato tutte le mie osservazioni, ma constata due piccole
inesattezze nei disegni da me dati.
8
()
Io devo molta obbligazione al sig. G. Chichester Oxenden del Broome Park per i freschi esemplari di questa Orchidea speditimi,
come pure per la grande sua cortesia con cui mi ha favorito esemplari viventi e pei fatti comunicatimi relativamente a molte Orchidee
britanniche rare.
stigma doppio e laterale. Questa specie mostra nel modo più interessante, quanto facilmente due
stigmi separati, come quelli dell’O. pyramidalis, possono essere trasformati in uno solo, che è
dapprincipio leggermente lobato, come quello dell’O. mascula, e raggiunge poi la sua presente
struttura. Poichè precisamente al disotto del rostello vi è una debole doccia trasversale formata da
vero tessuto stigmatico, la quale congiunge assieme i due stigmi laterali, in modo che col dilatarsi
della doccia i due stigmi verrebbero trasformati in uno unico trasversale. Avvenendo l’opposto, un
unico stigma potrebbe essere facilmente trasformato in due. Le masse polliniche presentano i soliti
movimenti di abbassamento, in virtù dei quali diventano alquanto divergenti, per porsi in istato di
venir a contatto coi due stigmi laterali.
Orchis (Sottog. Himantoglossum) hircina. – Il sig. Oxenden mi inviò un bell’esemplare di questa
pianta estremamente rara nella Bretagna, la «Lizard Orchis» col suo labretto allungato in un modo
singolare. Le due masse polliniche stanno sopra un disco semplice quasi quadrangolare; allontanate
dalle loro logge, non divergono, ma si deprimono, percorrendo nello spazio di circa trenta secondi
un arco di novanta gradi. Esse si trovano dopo questo movimento nella posizione adatta per toccare
l’unico e grande stigma, situato sotto il rostello. Nell’O. pyramidalis abbiamo veduto, che
l’abbassamento dei due pollini è causato dalla contrazione della parte anteriore del disco che sta
innanzi a ciascuno di essi, per cui si formano in questo caso due solchi o valli, mentre nella specie
in questione si contrae o si deprime tutta la faccia anteriore del disco, per cui essa viene ad essere
divisa dalla posteriore da un salto improvviso.
Aceras
(
9
)
(Orchis) anthropophora. – I picciuoli delle masse polliniche sono più brevi dell’ordinario;
il nettario consta di due piccole e rotonde cavità del labello; lo stigma è allungato nella direzione
trasversale, e in fine i due dischi adesivi stanno entro il rostello tanto avvicinati l’uno all’altro che si
toccano alla periferia. Quest’ultimo fatto è degno d’attenzione, poichè è un passaggio alla loro
assoluta fusione, che si osserva nella seguente specie di Aceras, nell’O. pyramidalis e nella O.
hircina. Ad onta di ciò, viene talvolta trasportata dagli insetti un’unica massa pollinica, sebbene più
raramente che nelle altre specie di Orchis.
Aceras (Orchis) longibracteata. – Il sig. Moggridge ha scritto una bella memoria accompagnata da
un disegno, su questa pianta propria della Francia meridionale.
(
10
)
Le masse polliniche aderiscono ad
un solo disco adesivo. Se vengono allontanate, non divergono, come nell’O. pyramidalis, ma
convergono ed eseguiscono poi il movimento di abbassarsi. Il fatto più degno d’attenzione offerto
da questa pianta si è, che gl’insetti sembrano succhiare il nettare da piccole cellule aperte che si
trovano disposte a guisa d’un favo sulla superficie del labello. I fiori sono visitati da diversi
imenotteri e ditteri, e l’autore vide le masse polliniche aderenti alla fronte di una grande vespa,
Xylocopa violacea.
Neotinea (Orchis) intacta. – Il sig. Moggridge mi ha spedito degli esemplari viventi di questa
pianta, assai rara nella Bretagna, dall’Italia Superiore, la quale, come mi fece sapere, è degna di nota
per ciò che produce semi senza il concorso degli insetti. Avendo io accuratamente impedita la visita
degli insetti, vidi che quasi tutti i fiori portavano tuttavia delle cassule. La sua fecondazione avviene
per la caduta spontanea del polline, che è straordinariamente incoerente, sullo stigma. Ciò non
ostante esiste un breve nettario, le masse polliniche sono fornite di piccoli dischi adesivi, e tutte le
parti sono così disposte, che, nel caso d’una visita degli insetti, le masse polliniche vengono
certamente allontanate e portate sopra un altro fiore, ma non in modo così efficace, come nella
maggior parte delle altre Orchidee.
La Serapias cordigera, indigena della Francia meridionale, fu descritta dal sig. Moggridge nella
memoria anzidetta. Le masse polliniche aderiscono ad un unico disco adesivo; quando vengono
allontanate si piegano nel primo momento all’indietro, ma presto eseguiscono i soliti movimenti
all’innanzi ed in basso. Essendo la cavità stigmatica ristretta, le masse polliniche vi vengono
introdotte da due lamine guidatrici.
Nigritella angustifolia. – Questa specie alpina è descritta dal dottore H. Müller
(
11
)
come diversa
9
()
Questo genere è evidentemente artificiale. Esso concorda esattamente col genere Orchis, da cui differisce solo per un nettario
brevissimo. Il Dr. Weddell (Annales des Sciences Nat., 3 ser. Botan., tom. 18, p. 6) ha descritti molti ibridi, formatisi naturalmente
fra questo Aceras e la Orchis galeata.
10
()
Journ. Linn. Soc. Botan., vol. VIII, 1815, p. 256. Vi si trova anche un disegno della Orchis hircina.
11
()
Nature, 31 dicembre 1874, p. 169.
dalle comuni Orchidee, poiché l’ovario non fu soggetto alla solita torsione, per cui il labello viene
ad occupare la parte superiore del fiore, e gl’insetti vengono a posarsi sui sepali e petali opposti. Da
ciò ne segue, che i dischi adesivi, quando una farfalla introduce il suo succhiatoio nello stretto
ingresso del nettario, si attaccano alla faccia inferiore della tromba e le masse polliniche, invece di
muoversi come in tutte le altre Orchidee all’ingiù, si muovono all’insù. E in tal modo assumono una
posizione adatta per giungere a contatto dello stigma d’un fiore, che venga successivamente visitato.
Il dottor Müller osserva, che i fiori vengono visitati da un numero straordinario di lepidotteri.
Ho descritto fin qui la struttura del maggior numero delle Orchidee inglesi, e di alcune poche specie
straniere del genere Orchis e di altri assai affini. Tutte queste specie, ad eccezione della Neotinea,
hanno bisogno dell’aiuto degl’insetti per la loro fecondazione. Ciò risulta dal fatto, che le masse
polliniche stanno così fermamente fissate entro le logge dell’antera e le masse di sostanza vischiosa
dentro il rostello borsiforme, che collo scuoterle non si possono cacciar fuori. Abbiamo veduto
inoltre, che le masse polliniche non assumono una posizione adatta al contatto collo stigma, se non
dopo alcun tempo, ciò che dimostra il loro adattamento alla fecondazione dei fiori d’una pianta
diversa e non della propria. Ma per dimostrare, che gl’insetti sono necessarii alla fecondazione dei
fiori, ho coperto una pianta di Orchis morio con una campana di vetro, prima che sia avvenuto
l’allontanamento di una delle sue masse polliniche, e vi collocai vicino tre altre piante scoperte della
stessa specie; io osservai ogni mattina queste ultime, e vidi che ogni giorno mancava qualcuna delle
masse polliniche, così che infine rimanevano ancora quelle d’un unico fiore collocato affatto al
basso di una delle spiche e quelle di uno o due fiori posti all’estremità di tutte le spiche, le quali
pure non furono mai portate via. Si deve tuttavia osservare, che, quando solo pochi fiori stanno
aperti all’estremità delle spiche, questi non risaltano più all’occhio, e conseguentemente vengono
visitati solo di rado dagli insetti. Esaminai quindi la pianta perfettamente sana che stava sotto la
campana di vetro, ed essa teneva naturalmente ancora nelle logge delle sue antere tutte le masse
polliniche. Io feci un esperimento analogo su individui dell’O. mascula, ed ebbi lo stesso risultato.
È degno d’osservazione, che le masse polliniche delle spiche che erano state coperte non furono mai
più asportate dagli insetti, neppure lasciandole più tardi scoperte e quindi, come è naturale, non
portarono semi, mentre le piante vicine ne diedero in quantità. Da questo fatto ne consegue, che
ciascuna specie di Orchis ha stabilito il suo tempo, trascorso il quale le visite degl’insetti non hanno
più luogo.
In un grande numero delle specie fin qui descritte e in molte altre
.
specie europee la sterilità dei
fiori, che si verifica quando vengono preservate dalle visite degl’insetti, dipende da ciò, che le
masse polliniche non vengono a contatto dello stigma. Che questo sia il caso, fu dimostrato dal dott.
Hermann Müller, il quale, come mi fece noto, portò le masse polliniche di Orchis pyramidalis (44),
fusca (6), militaris (14), variegata (3), coriophora (6), morio (4), maculata (18), mascula (6),
latifolia (8), incarnata (3), Ophrys muscifera (8), Gymnadenia conopsea (14), albida (8),
Herminium monorchis (6), Epipogon aphyllus (2), Epipactis latifolia (14), palustris (4), Listera
ovata (5) e Cypripedium calceolus (2) sui loro proprii stigmi, e in seguito a ciò si svilupparono delle
cassule di perfetta grandezza, le quali all’aspetto contenevano buoni semi. I numeri che stanno dopo
i nomi delle specie, indicano il numero dei fiori che furono sottoposti in ciascun caso
all’esperimento. Questi fatti sono notevoli, poiché i signori Scott e Fritz Müller
(
12
)
hanno
dimostrato, che diverse specie esotiche, tanto qui in Inghilterra che nella loro patria, sono senza
eccezione nell’impossibilità di produrre semi, se i loro fiori vengono fecondati col proprio polline.
Dai fatti già esposti e da quelli che si esporranno quando si parlerà delle specie di Gymnadenia,
Habenaria e di parecchie altre ancora, si può ritenere come regola generale,
(
13
)
che le specie dotate
d’un nettario breve o fornito d’un ingresso non molto stretto vengono fecondate da api
(
14
)
o da
12
()
Un compendio delle loro osservazioni trovasi nel mio libro Variazione degli animali delle piante allo stato
domestico, trad. ital. del prof. Canestrini, cap. XVII, p. 495.
13
()
Alcune osservazioni su questo punto furono da me comunicate nelle mie Notes on the Fertilisation of Orchids, negli
Annals and Mag. of Nat. Hist., sept. 1869, p. 2.
14
()
Il sig. MÉNIÈRE (Bull. Soc. Botan. de France, tom. I, 1854, p. 370) dice d’aver veduto nella collezione di Saumur del
Dr. Guépin delle api, le quali portavano delle masse polliniche di orchidee aderenti al loro capo; e constata che una
persona la quale teneva api nelle vicinanze del «Jardin de la Faculté» (in Toulouse?) si lagnava perché le sue api che
ritornavano dal giardino portavano aderenti al loro capo una quantità, di corpuscoli gialli, di cui non potevansi liberare.
Questo prova chiaramente quanto fortemente aderiscano le masse polliniche. Non consta se le masse polliniche
mosche, mentre quelle fornite d’un nettario molto lungo o provveduto d’un ingresso assai stretto
sono fecondate da lepidotteri diurni o notturni, come quelli che possedono proboscidi lunghe e
sottili. Da ciò si rileva, che la struttura dei fiori delle Orchidee e quella degli insetti che
comunemente le visitano, stanno in un mirabile rapporto fra loro, un fatto, la di cui verità fu
diffusamente dimostrata nelle Orchidee e in molte altre piante dal dott. H. Müller.
Riguardo all’Orchis pyramidalis, la quale, come abbiamo veduto, è provveduta d’un lungo nettario,
il sig. Bond mi usò la cortesia di spedirmi un gran numero di farfalle, fra cui io potei scegliere
ventitre specie, le quali portavano aderenti alla loro proboscide le masse polliniche di questa
orchidea che si possono facilmente riconoscere.
Ecco la lista delle specie:
Polyommatus alexis. Agrotis cataleuca.
Lycæna phlæas. Eubolia mensuraria (2 esemplari).
Arge galathea. Hudena dentina.
Hesperia sylvanus. Heliothis marginata (2 esemplari).
” linea. Xylophasia sublustris (2 esemplari).
Syrichthus alveolus. Euclidia glyphica.
Authrocera filipendulæ. Toxocampa pastinum.
” trifolii
(
15
)
.
Melanippe rivaria.
Lithosia complana. Spilodes palealis.
Leucania lithargyria (2 esemplari). ” cinctalis.
Caradrina blanda. Acontia luctuosa.
” alsines.
Nel maggior numero di questi lepidotteri diurni e notturni aderivano due o tre paia di masse
polliniche, e tutte senza eccezione alla proboscide. La Acontia ne aveva sette paia (fig. 4) e la
Caradrina non meno di undici paia! La proboscide di questa farfalla assume per ciò un aspetto
singolare simile a quello d’una ramificazione. I dischi adesivi, ciascuno dei quali portava un paio di
masse polliniche, erano disposti uno dopo l’altro in perfetta simmetria sulla proboscide; ciò dipende
dal fatto, che la farfalla aveva introdotto la sua proboscide ogni volta nello stesso modo, in causa
delle liste guidatrici esistenti sul labello. La sventurata Caradrina non avrebbe potuto raggiungere
se non difficilmente il fondo del nettario colla sua proboscide tanto sopracarica, e avrebbe dovuto
morire di fame. Ma le due farfalle dovevano aver succhiato il nettare d’un numero maggiore di sette
o di undici fiori, di cui portavano ancora i trofei; poiché le masse polliniche che per le prime
aderirono, avevano perduto gran parte del loro polline, ciò che dimostra, che esse erano venute a
contatto con numerosi stigmi vischiosi.
Questa lista dimostra inoltre, quanto sia grande il numero delle specie di lepidotteri che visitano
un’unica specie di Orchis. La Hadena dentina visita anche la Habenaria. Probabilmente tutte le
orchidee provvedute di nettariosperoniforme vengono visitate indistintamente da molte specie di
lepidotteri. Se ognuna delle orchidee inglesi sia fecondata esclusivamente da insetti determinati e
limitati a certe località, è dubbioso assai; ma noi vedremo in seguito, che la Epipactis latifolia
sembra essere fecondata solo dalle vespe. Io ho visto due volte delle piante di Gymnadenia
conopsea perdere quasi tutte le loro masse polliniche, quantunque siano siate trapiantate in un
giardino distante molte miglia dalla loro stazione naturale. Il sig. Marshall von Ely
(
16
)
ha fatto la
stessa osservazione rispetto ad esemplari di O. maculata, trapiantati in modo analogo. D’altro canto
quindici esemplari di Ophrys muscifera non perdettero alcuna delle loro masse polliniche. La
Malaxis paludosa fu trasportata a circa due leghe di distanza dalla palude, dove ordinariamente
viveva, e perdette la maggior parte delle sue masse polliniche.
appartenessero in questo caso al genere Orchis o ad altri generi di questa famiglia.
15
()
Io lo debbo alla cortesia del sig. PARFITT, se ho potuto studiare questa farfalla, che è citata in The Entomologist’s
Weckly Intelligencer, vol. II, p. 182 e vol. III, p. 3, oct. 3, 1857. Le masse polliniche furono credute erroneamente
appartenere alla Ophrys apifera. Il polline aveva perduto il suo colore verde naturale ed era divenuto giallo; dopo levato
e asciugato riprese però il suo colore verde.
16
()
Gardener’s Chronicle 1861, p. 73. Il sig. MARSHALL pubblicò la sua nota in risposta ad alcune osservazioni da me
inserite antecedentemente in Gardener’s Chronicle 1860, p. 528, su questo punto.
Fig. 4.
Capo e proboscide di un’Acontia luctuosa, con sette paja di masse polliniche
di Orchis pyramidalis aderenti alla proboscide.
Il seguente elenco serve a dimostrare, che nel maggior numero dei casi gl’insetti eseguiscono con
successo l’opera della fecondazione; ma non può dare menomamente un’idea della sua efficacia. Io
ho per vero osservato frequentemente l’allontanamento di quasi tutte le masse polliniche, ma non ho
dato notizia di ciò se non in casi eccezionali, come si può vedere dalle osservazioni che
accompagnano l’elenco. Per di più quelle masse polliniche, che non furono trasportate, si trovavano
nella maggior parte dei casi nei fiori superiori immediatamente sottostanti alle gemme e molte di
esse sarebbero state asportate probabilmente più tardi. Io ho trovato spesso polline in quantità sugli
stigmi di fiori, le di cui masse polliniche non erano state portate via, ciò che dimostra, che erano
stati visitati dagli insetti. In molti altri casi all’opposto le masse polliniche erano state asportate, ma
nessuna traccia di polline era rimasta sugli stigmi.
Numero
dei fiori
da cui
furono
trasport
ate una
o due
masse
pollinich
e. I fiori
aperti di
recente
sono
esclusi
Numero
dei fiori
da cui fu
allontan
ata una
sola
massa
pollinica
. Qusti
fiori
sono
compres
i nella
prima
colonna.
Numero
dei fiori
da cui
non fu
allontan
ata
nessuna
massa
pollinica
.
Orchis morio. Tre piccoli esemplari, Kent settentrionale... 22 2 6
Orchis morio. Trentotto esemplari. Kent settentrionale.
Questi esemplari furono esaminati dopo quasi quattro
settimane di tempo freddo ed umido nel 1860, e quindi
in circostanze assai sfavorevoli...
110 23 193
Orchis pyramidalis. Due piante. Kent settentrionale e
Devonshire
39 8
Orchis pyramidalis. Sei piante di due valli ben difese.
Devonshire
102 66
Orchis pyramidalis. Sei piante di una località assai esposta.
Devonshire…
57 166
Orchis maculata. Una pianta. Staffordshire. Dei dodici fiori
da cui non furono asportate le masse polliniche, erano la
maggior parte giovani e collocati immediatamente sotto
le gemme...
32 6 12
Orchis maculata. Una pianta. Surrey... 21 5 7
Orchis maculata. Due piante. Kent mer. e sett.... 28 17 50
Orchis latifolia. Nove piante del Kent meridionale,
speditemi dal sig. B.S. Malden. I fiori erano tutti
maturi...
50 27 119
Orchis fusca. Due piante. Kent meridionale. I fiori
completamente maturi presso ad appassire...
8 5 54
Aceras anthropophora. Quattro piante. Kent meridionale... 63 6 34
Nella seconda linea di O. morio del presente elenco noi vediamo le dannose influenze della stagione
straordinariamente fredda ed umida dell’anno 1860 sulle visite degli insetti, e conseguentemente
anche sulla fecondazione di questa orchidea, nel fatto che solo pochissimi semi si svilupparono.
Io ho esaminato delle spiche di Orchis pyramidalis, i cui fiori aperti avevano tutti perduto le loro
masse polliniche. I quarantanove fiori inferiori di una spica di Folkestone (speditami da sir Charles
Lyell) produssero in realtà quarantotto belle cassule; e di sessantanove fiori inferiori di tre altre
infiorescenze di questa specie solo sette non portarono semi. Questi fatti dimostrano abbastanza,
quanto efficacemente compiono il loro ufficio nella fecondazione i lepidotteri diurni e notturni.
(
17
)
L’Orchis pyramidalis a cui si riferisce la terza fila nella tabella precedente, vegetò sopra una ripida
costa erbosa del mare presso Torquay, priva di cespugli o d’altre protezioni per i lepidotteri.
17
()
Nell’estate del 1875, che fu assai umido, raccolsi sei bellissime infiorescenze di Orchis pyramidalis. Queste
portavano 302 fiori, esclusi quattordici fiori ancora perfettamente aperti ed atti alla fecondazione; e di questi solo 119
produssero semi, mentre 183 non ne produssero. Sei infiorescenze di O. maculata portavano 187 fiori, di cui 82
produssero semi, e 105 sbagliarono.
Sorpreso dal numero piccolissimo delle masse polliniche asportate dai fiori già vecchi e che
andavano appassendo dal basso all’alto, raccolsi in via di paragone sei altre infiorescenze da due
valli coperte da cespugli e difese, distanti mezza lega ai due lati della costa esposta; queste specie
erano più giovani, e avrebbero probabilmente perduto ancora alcuna delle loro masse polliniche; ma
anche in quel loro stadio si poteva osservare, quanto più frequentemente siano state visitate dagli
insetti e conseguentemente fecondate, di quelle della costa esposta. La Ophrys apifera e la O.
pyramidalis crescono confuse assieme in varie contrade dell’Inghilterra, così succede anche qui, ma
mentre suole essere molto più rara la Oph. apifera, qui essa era molto più frequente della O.
pyramidalis. Nessuno probabilmente avrebbe mai immaginato, che una delle cause principali fosse
questa, che una libera esposizione essendo sfavorevole alla dimora dei lepidotteri, lo fosse anche
alla fecondazione dell’O. pyramidalis, mentre la Ophrys apifera, come in appresso verrà
dimostrato, è affatto indipendente dagli insetti.
Io ho esaminato molte infiorescenze di O. latifolia, perché in base alle mie esatte conoscenze dello
stato ordinario della O. maculata, che le è molto affine restai sorpreso al veder mancare solo poche
masse polliniche in nove infiorescenze già quasi appassite (come si può vedere dall’elenco). Una
volta però osservai la O. maculala ancora peggio fecondata; poiché sette spiche con 315 fiori
portarono solo quarantanove cassule con semi, vale a dire in media solo sette cassule per spiga. In
questo caso le piante erano riunite in aiuole maggiori di quante ne avessi prima mai veduto; e io
penso che troppi fiori siano stati riuniti per poter essere tutti visitati e fecondati dagli insetti. In
alcune altre piante di O. maculata poco distanti dalle prime, potei osservare oltre trenta cassule per
spica.
La Orchis fusca presenta un fatto ancora più singolare di fecondazione incompleta. Io esaminai
dieci belle infiorescenze appartenenti a due diverse località del Kent meridionale, che ebbi in dono
dai signori Oxenden e Molden; la maggior parte dei fiori di queste infiorescenze erano già in parte
appassiti, e il polline già ammuffito persino nei fiori superiori; noi possiamo quindi ritenere che
nessuna massa pollinica sarebbe stata più asportata. In causa delle difficoltà offerte dal loro stato
appassito, esaminai solo i fiori di due spiche, ed ottenni un risultato eguale a quello citato nella
tabella pretendente, vale a dire cinquantaquattro fiori conservavano ancora al loro posto tutte e due
le masse polliniche e solo otto di essi ne avevano perduto una o due di esse. In questa come
nell’Orchis latifolia, che erano state ambedue insufficientemente visitate dagli insetti, era maggiore
il numero dei fiori che avevano perduto una sola massa pollinica di quelli che le avevano perdute
ambedue. Io esaminai qua e là ancora molti altri fiori delle altre infiorescenze di O. fusca e il
rapporto delle masse polliniche mancanti non fu maggiore di quello osservato nelle due spiche citate
nell’elenco. Le dieci spiche comprendevano in tutto 358 fiori, e in conformità al piccolo numero
delle masse polliniche allontanate, portarono solo undici cassule con semi; cinque delle dieci
infiorescenze non produssero neppure una cassula, due ne portarono una, ed una spica portò fin
quattro cassule. A conferma di quanto ho antecedentemente affermato, che si trova spesso polline
sullo stigma di fiori, i quali conservano al loro posto le proprie masse polliniche, posso aggiungere
che di quei undici fiori portanti frutto, cinque conservavano ancora ambedue le masse polliniche
entro le loggie già avvizzite dell’antera.
Da questi fatti consegue naturalmente la supposizione, che la O. fusca sia una specie tanto rara nella
Gran Bretagna solo perché non attira sufficientemente gl’insetti e quindi porta anche solo pochi
semi. C.K. Sprengel
(
18
)
osservò che in Germania la O. militaris (ritenuta da Bentham per una specie
identica alla O. fusca) viene pure solo incompletamente fecondata, sempre però più completamente
della nostra O. fusca; poiché egli osservò cinque vecchie spiche con 138 fiori, i quali portarono 31
cassule; ed egli oppone questo risultato a quello offerto delle infiorescenze di Gimnadenia
conopsea, in cui quasi ogni fiore porta un frutto.
Resta ancora a parlare d’un punto importante intimamente connesso a quanto precede. La presenza
d’un nettario calcarato ben sviluppato sembra includere la secrezione di nettare. E tuttavia Sprengel,
che fu osservatore assai accurato, esaminando esattamente molti fiori di O. latifolia e di O. morio,
non vi potè trovare mai una sola goccia di nettare; così pure lo cercò invano Krünitz
(
19
)
nel nettario
18
()
Das entdeckte Geheimniss, ecc., p. 404.
19
()
Citato da KURR nelle sue Untersuchungen über die Bedeutung der Nektarien, 1833, p. 28. Vedi pure: Das entdeckte
Geheimniss, p. 403.
come nel labello di O. morio, fusca, militaris, maculala e lalifolia. Io stesso ho esaminato tutte le
nostre specie comuni di orchidee inglesi, senza aver mai trovato neppure una traccia di nettare; io
esaminai, per esempio, undici fiori di O. maculata di diverse piante viventi in località diverse, tolti
dal punto più favorevole d’ogni infiorescenza e non potei rintracciare sotto il microscopio la più
piccola traccia di nettare. Sprengel chiama questi fiori «pseudonettarici» perchè crede, che queste
piante, alla di cui fecondazione sapeva essere necessaria la visita degli insetti, possano sussistere
solo mediante un tranello. Se noi pertanto consideriamo il numero incalcolabile di piante, le quali
tutte sono vissute nel corso di lunghe epoche, e non potevano fare a meno dell’azione degl’insetti
per il trasporto del polline da un fiore all’altro in ciascuna generazione, – e se consideriamo inoltre,
che gli stessi insetti visitano un gran numero di fiori, come sappiamo dal numero di masse
polliniche attaccate alle loro proboscidi, noi possiamo difficilmente credere ad un inganno così
grandioso. Chi accetta l’idea di Sprengel, deve stimare molto poco il senso e le facoltà istintive di
tanti insetti e delle stesse api. Per mettere alla prova l’intelligenza dei lepidotteri diurni e notturni,
feci il seguente piccolo esperimento, che avrei dovuto ripetere su più vasta scala. Io allontanai da
una infiorescenza di O. pyramidalis alcuni fiori già perfettamente aperti, e troncai circa la metà dei
nettarii dai sei fiori più vicini non peranco aperti. Dopo la quasi completa fine dell’antesi di questi
fiori, trovai che dei quindici fiori superiori provveduti dei loro nettarii perfetti, tredici avevano
perduto le loro masse polliniche e solo in due di esse queste rimanevano ancora nelle logge delle
antere; mentre dei sei fiori coi nettarii troncati, tre avevano perduto le loro masse polliniche e tre le
conservavano ancora; il qual fatto indica che i lepidotteri non vanno all’opera del tutto a caso.
(
20
)
Si potrebbe dire, che la natura fa talvolta lo stesso esperimento, ma meno generosamente, perchè
essa, come ha dimostrato Bentham,
(
21
)
produce spesso fiori mostruosi di Orchis pyramidalis privi di
nettario o con nettario breve ed imperfetto. Sir Charles Lyell mi inviò da Folkestone parecchie
infiorescenze con fiori in tal modo incompleti; fra essi ve ne erano sei privi d’ogni traccia di nettario
e tutti conservavano ancora le loro masse polliniche. In circa una dozzina d’altri fiori, in cui i
nettarii erano brevi ed i labelli imperfetti per la mancanza delle linee di guida, oppure per aver esse
assunto una forma fogliacea in causa d’un troppo rigoglioso sviluppo, fu osservata la mancanza
d’una sola massa pollinica in un fiore e solo in un altro di essi l’ovario era leggermente gonfio.
Eppure in tutti questi diciotto fiori io trovai che i dischi adesivi erano perfetti e avvolgevano tosto
un ago introdotto nel punto opportuno. I lepidotteri notturni avevano portato via le masse polliniche
dei fiori completi delle stesse infiorescenze, e li avevano regolarmente fecondati, così che dovevano
avere trascurato i fiori mostruosi, oppure avrebbero trovato un impedimento al trasporto delle masse
polliniche ed alla fecondazione dei fiori nel turbamento del complicato meccanismo delle parti, nel
caso che gli avessero visitati.
Ad onta di questi fatti diversi, ho però sempre ritenuto, che debba aver luogo una secrezione di
nettare nelle nostre comuni orchidee, e ho deciso di esaminare attentamente la O. morio.
Incominciai tosto che molti fiori si erano aperti e continuai le mie osservazioni per ventitre giorni.
Li osservai mentre il sole splendeva, dopo la pioggia e a tutte le ore del giorno; immersi le
infiorescenze nell’acqua e le esaminai a mezzanotte e ai primi albori del mattino; irritai i nettarii
con una setola e li esposi a vapori irritanti; scelsi quei fiori, i quali avevano già perduto le loro
masse polliniche, in seguito alla visita degli insetti, di che ebbi la prova certa nella presenza di
granelli di polline straniero entro il nettario di uno di essi, ne eseminai di quelli che per la posizione
che tenevano nella infiorescenza, avrebbero presto lasciate andare le loro masse polliniche; ma il
nettario era invariabilmente sempre affatto asciutto. Dopo la pubblicazione della prima edizione di
questo libro, osservai un giorno diverse specie di api, le quali visitavano ripetutamente i fiori di
questa stessa orchidea, per cui questo era evidentemente il tempo più opportuno per esaminare i loro
nettarii; ma neppure sotto il microscopio potei scoprire la più piccola traccia di nettare. La stessa
cosa avvenne dei nettarii dell’O. maculata in un tempo, in cui io aveva ripetutamente osservato dei
20
()
KURR (Bedeutung der Nektarien, 1833, p. 123) levò i nettarli a quindici fiori di Gymnadenia conopsea, ed essi non
produssero alcun frutto; trattò pure in egual modo quindici fiori di Platanthera o Habenaria bifolia e questi portarono
solo cinque frutti; si deve però osservare che i nettarii di queste due orchidee contengono nettare libero. Asportò pure la
corolla a quaranta fiori di Orchis morio e lasciò intatti i nettarii e questi fiori non portarono alcun frutto; questo fatto
dimostra, che gli insetti vengono attirati sui fiori dalla corolla. Sedici fiori di Platanthera trattati nello stesso modo
portarono un’unica cassula. Altre simili esperienze da lui fatte sulla Gymnadenia mi sembrano dubbiose..
21
()
Handbook of the British Flora, 1858, p. 501.
ditteri del genere Empis introdurre in essi la loro proboscide e tenervela per qualche tempo. La
Orchis pyramidalis fu esaminata colla stessa cura e si ebbe lo stesso risultato, poichè i punti lucenti
del nettario erano perfettamente asciutti. Noi possiamo per ciò conchiudere con sicurezza che i
nettarii delle specie anzidette di Orchis nè in Inghilterra nè in Germania non contengono nettare.
Allorchè esaminai i nettarii di O. morio e maculata e specialmente di O. pyramidalis e hircina,
restai sorpreso della grande distanza esistente fra la membrana interna e la esterna, che formano il
tubo o lo sperone, – della delicata struttura della membrana interna assai facilmente perforabile e in
fine della quantità di liquido compreso fra le due membrane. Questo liquido è tanto copioso, che,
avendo io troncate le estremità dei nettarii dell’O. pyramidalis ed avendole debolmente compresse
sotto il vetro del microscopio, sgorgarono dalle estremità troncate goccie tanto grandi di liquido, che
io credetti d’aver alfine trovato dei nettarii contenenti nettare. Ma avendo poi eseguito un taglio,
assai cautamente e senza esercitare pressione di sorta, lungo la faccia superiore del nettario della
stessa pianta, ed essendovi penetrato collo sguardo, trovai di nuovo la superficie interna del nettario
perfettamente asciutta.
Mi rivolsi quindi ai nettarii di Gymnadenia conopsea (la quale è considerata da alcuni botanici
come una vera Orchis) e a quelli della Habenaria bifolia, i quali sono sempre riempiti fino ad uno o
due terzi della loro lunghezza di nettare. La membrana interna in quanto che sembra coperta da
papille, presenta la stessa struttura, come nelle specie antecedenti, mentre queste due ultime specie
differiscono affatto dalle su nominate specie di Orchis, perché la membrana interna e l’esterna sono
strettamente insieme saldate, invece di essere in un certo grado separate e contenere fra loro un
liquido. Ciò fece nascere in me l’idea, che gl’insetti potessero colle loro proboscidi perforare la
lassa membrana interna dei nettarii di quelle specie di Orchis, per succhiare il liquido che in tanta
copia è contenuto fra le due membrane. Questa era un’ardita ipotesi, poiché in quel tempo non era
conosciuto ancora nessun caso d’insetti che perforassero colle loro delicate proboscidi nessuna
membrana neppure fra le più lasse. Ma io ho ora udito dal sig. Trimen, che al Capo di Buona
Speranza i lepidotteri diurni e notturni arrecano gravi danni ai peschi e ai prugni perforando le loro
membrane. In Queensland nell’Australia, una farfalla, Ophideres fullonica, introduce la sua
proboscide munita di robusti denti nella grossa corteccia dell’arancio.
(
22
)
Per cui non v’ha nessuna
difficoltà a credere, che le farfalle possano forare facilmente colle loro esili proboscidi e le api colle
loro proboscidi molto più robuste la delicata interna membrana dei nettarii delle sopra cennate
Orchidee. Il dott. Müller è pure persuaso
(
23
)
che gl’insetti possano forare le basi ingrossate dei pelali
di Laburnum
(
24
)
e forse anche quelli di altri fiori, per succhiarne il liquido rinchiuso.
Le diverse specie di api, che furono da me vedute a visitare i fiori di Orchis morio, introducevano la
loro proboscide nei nettarii asciutti e ve la tenevano per qualche tempo, durante il quale si potevano
osservare evidentemente dei movimenti continui di questi organi. La stessa cosa osservai nelle visite
di Empis alla O. maculata; ed avendo io poco dopo aperti alcuni nettarii, scopersi qua e là delle
minute macchiette brune, che io credo derivassero dalle punture fatte poco prima da quei ditteri. Il
dott. H. Müller, il quale osservò spesso le api nelle visite a parecchie specie di orchidee, prive di
nettare libero, concorda perfettamente con questa mia opinione.
(
25
)
D’altro canto Delpino sostiene
ancora sempre, che Sprengel ha ragione, e che gl’insetti vengono ingannati dalla presenza del
nettario, sebbene non contenga traccia di nettare.
(
26
)
La sua opinione è fondata specialmente sull’idea
di Sprengel, che gl’insetti s’accorgano presto, come sia inutile visitare i nettarii di queste orchidee,
22
()
Mio figlio Francesco ha descritto e figurato questo organo nel Quart. Jounal of Microscopical Science, vol. XV,
1875, p. 385.
23
()
Die Befruchtung, ecc., p. 235.
24
()
TREVIRANUS (Botan. Zeitung, 1863, p. 10) constata l’osservazione fatta da SALISBURY, che, se i filamenti staminali dei
fiori d’un’altra pianta leguminosa, Edwardsia, cadono oppure vengono accuratamente staccati, sgorga dal punto di
divisione una grande copia di liquido dolce; e poiché antecedentemente non esisteva nessuna traccia di questo liquido,
esso deve, come osserva TREVIRANUS, essere contenuto nel tessuto cellulare. Io voglio aggiungere un fatto,
apparentemente simile ma in realtà assai diverso, vale a dire la presenza di nettare in diverse piante monocotiledoni
(vedi AD. BRONGNIART nel Bull. Soc. Botan. de France, tom. I, 1854, p. 75) fra le due pareti che formano i setti
dell’ovario. Ma in questo caso il nettare vien condotto all’esterno mediante un canale, e la superficie secernente è
omologicamente una faccia esterna.
25
()
Die Befruchtung, ecc., p. 84.
26
()
Ult. Osservazioni sulla Dicogamia, ecc., p. 121.
poiché di fatti essi fecondano solo i fiori inferiori che sono i primi a schiudersi. Questo modo di
vedere è però contraddetto completamente dalle mie osservazioni, che ho citato poco fa; infatti
risulta chiaramente da esse, che moltissimi dei fiori superiori vengono fecondati; per es. in una spica
di O. pyramidalis formata di cinquanta a sessanta fiori, non meno di quarantotto di essi furono
privati delle masse polliniche. Ad onta di ciò, vedendo come Delpino ammette ancora l’idea di
Sprengel, cercai durante la stagione sfavorevole dell’anno 1875, sei spighe adulte di O. maculata e
ciascuna di esse la divisi per metà per vedere se le metà inferiori portassero realmente un numero
maggiore di frutti delle metà superiori. Ciò però non avvenne sempre; poiché in alcune spighe non
si potè trovare alcuna differenza fra di esse: altre portavano maggior copia di frutti nelle metà
inferiori ed altre nelle superiori. Una spica di O. pyramidalis, esaminata nello stesso modo, portò un
numero doppio di frutti nella sua metà superiore, di quello che nella inferiore. Considerando ora
questi fatti ed altri ancora che furono già prima esposti, mi sembra incredibile, che un insetto abbia
a continuare la sua visita di fiore in fiore se questi non contenessero mai nettare. Gl’insetti o almeno
le api non sono privi affatto d’intelligenza. Essi distinguono a distanza i fiori della stessa specie e si
trattengono su di essi quanto più possono. Se i pecchioni forano la corolla, come spesso fanno, per
raggiungere più facilmente il nettare, le api sanno discernere ciò che è avvenuto e cercano di
cavarne un vantaggio da quella perforazione. Se fiori provveduti di parecchi nettarii vengono visitati
da molte api, così che il nettare della maggior parte dei nettarii è consumato, le api che visitano più
tardi quei fiori, introducono la loro proboscide solo in un nettario, e se lo trovano vuoto, passano
subito ad un altro fiore. Si può dunque credere, che le api, le quali dimostrano in questi casi tanta
intelligenza, possano continuare a visitare un fiore dopo l’altro delle summentovate Orchidee e a
introdurre la loro proboscide conservandovela per un certo tempo in continuo movimento, nella
speranza di trovare un nettare che mai non esiste? Ciò mi sembra, come dissi, affatto inammissibile.
Noi abbiamo veduto quanto belli e numerosi siano gli apparecchi della fecondazione delle orchidee.
Noi sappiamo essere della più alta importanza, che le masse polliniche aderenti al capo o alla
proboscide di un insetto siano simmetriche, in modo che non si pieghino da un lato o all’indietro.
Noi sappiamo, che nelle specie fin qui descritte la sostanza vischiosa del disco, quando è esposta
all’aria, diventa dura in pochi minuti, per cui sarebbe di grande utilità per la pianta, se gl’insetti nel
succhiare il nettare si soffermassero alquanto lungamente, affinché il disco adesivo possa aver
tempo di fissarsi immobilmente. Una tale fermata sarebbe evidentemente necessaria, se gl’insetti
fossero costretti a perforare in più punti la membrana interna del nettario e a succhiare il nettare
dagli spazi intercellulari; e per ciò noi comprendiamo perché i nettarii delle suddette orchidee non
contengano il nettare libero, ma lo secernino nell’interno fra le due membrane.
Il seguente singolare rapporto conferma questa idea in un modo evidente. Io ho trovato nettare
libero nei nettarii di sole cinque specie di Ophrydeæ inglesi, vale a dire nella Gymnadenia conopsea
e albida, Habenaria bifolia e chlorantha e in Peristylus o Habenaria viridis. Nelle quattro prime
specie il disco adesivo delle masse polliniche è nudo, vale a dire non chiuso nella borsa, e la
sostanza vischiosa esposta all’aria non s’indurisce tanto celermente; poiché se ciò avvenisse
diventerebbe ben presto inutile; e questo dimostra, che la sua costituzione chimica è diversa da
quella delle precedenti specie di Orchis. Ma per ottenere la certezza di questo fatto, presi fuori le
masse polliniche dalle logge dell’antèra per modo che la faccia superiore come l’inferiore del disco
adesivo fossero esposte all’aria libera; nella Gymnadenia conopsea il disco si conservò vischioso
per due ore e nella Habenaria chlorantha più di ventiquattro ore. Nel Peristylus viridis il disco
adesivo è racchiuso da una membrana borsiforme; ma questa è così piccola che sfuggì all’attenzione
dei botanici. Quando esaminai questa specie, ignoravo ancora l’importanza d’una esatta
determinazione del tempo impiegato dalla sostanza vischiosa ad indurirsi; ma io prendo dalle mie
annotazioni di allora l’osservazione: «il disco resta vischioso per un certo tempo, dopo che è preso
fuori dalla sua piccola borsa».
Ora apparisce chiaro il significato di questi fatti. La sostanza vischiosa dei dischi di queste cinque
specie essendo tanto attaccaticcia, che vale a fissare bastantemente le masse polliniche sugli insetti
che visitano il fiore, senza neppure indurirsi, non sarà di alcuna utilità che gl’insetti siano trattenuti
alquanto lungamente, per assorbire il nettare, dalla necessità di forare ripetutamente la membrana
interna del nettario, per cui in queste cinque specie, e in esse soltanto, troviamo un abbondante
deposito di nettare raccolto nel nettario e pronto ad essere assorbito. D’altro canto sarebbe
evidentemente di estrema utilità alla pianta che gl’insetti fossero trattenuti alquanto per raggiungere
il nettare, se la sostanza vischiosa fosse tale da indurirsi prontamente per una breve esposizione
all’aria; e in queste specie il nettare è conservato negli spazii intercellulari, in modo da non potersi
raggiungere se non col mezzo di ripetute perforazioni in più punti dell’interna membrana; e queste
perforazioni richiedono tempo.
Se questo doppio rapporto è accidentale, è questo un accidente assai fortunato per le piante; ma io
non posso credere che lo sia, e sembrami invece essere uno dei casi più meravigliosi di adattamento,
di cui si abbia notizia.
Capitolo II.
OPHRYDEæ (Co n t i nuazi o n e ).
Ophrys muscifera e aranifera. – Ophrys apifera apparentemente adattata ad una continuata autogamia, ma fornita di
apparati singolari per l’incrociamento. – Herminium monorchis, adesione delle masse polliniche alle zampe anteriori
degli insetti. – Peristylus viridis, fecondazione indirettamente favorita dal nettare secreto dai tre lobi del labello. –
Gymnadenia conopsea ed altre specie. – Habenaria o Plathantera chlorantha e bifolia; le loro masse polliniche
aderiscono agli occhi dei lepidotteri.– Altre specie di Habenaria. Bonatea. – Disa. – Ricapitolazione dei movimenti
delle masse polliniche.
Il genere Ophrys si distingue dal genere Orchis specialmente per la presenza di due rostelli divisi e
non confluenti in uno.
(
27
)
La principale differenza caratteristica della Ophrys muscifera sta in ciò che i picciuoli delle masse
polliniche sono doppiamente curvati (B fig. 5). La porzione membranosa quasi circolare, sulla di cui
faccia inferiore aderiscono le masse vischiose, è di grandezza ragguardevole e forma il vertice del
rostello. Essa riesce per ciò esposta all’aria libera, mentre nel genere Orchis è quasi intieramente
nascosta nel fondo delle antere ed è mantenuta umida. Ciò non ostante il picciuolo si curva, quando
una massa pollinica viene allontanata, all’in giù nel periodo di circa sei minuti, in un tempo quindi
assai più lungo dell’ordinario, e nello stesso tempo la sua estremità superiore mantiene sempre la
curvatura. Io ho creduto una volta che esso sia incapace di ogni movimento, ma il signor T.H. Farrer
mi ha convinto del mio errore. La massa vischiosa è accolta nella borsa formata dalla metà inferiore
del rostello e circondata da un liquido, ciò che si rende necessario, perchè la sostanza vischiosa
s’indurisce celerernente all’aria. La borsa non è elastica e non scatta all’in su, allorchè una massa
pollinica è allontanata. Poiché una tale elasticità sarebbe inutile, esistendo in questo caso una borsa
speciale per ogni disco adesivo, mentre nel genere Orchis dopo l’asportazione di una massa
pollinica è necessario che l’altra sia pur sempre difesa e conservata in istato da poter prontamente
agire. La natura appare quindi così economa, da risparmiarsi una superflua elasticità.
Le masse polliniche non cadono fuori delle loro logge in causa di scosse, come ebbi più volte
occasione di osservare. Noi vedremo bentosto che alcuni insetti, quantunque non frequentemente,
visitano i fiori di parecchie specie, e ne allontanano le masse polliniche. Io ho osservato due volte
molta copia di polline sugli stigmi di fiori, che conservavano tuttavia perfettamente le proprie masse
polliniche entro le logge delle antere, e senza dubbio avrei potuto osservare più spesso tale
fenomeno. Il prolungamento del labello offre agli insetti una comoda stazione; alla sua base
precisamente
sotto lo stigma vi è una cavità abbastanza evidente, la quale corrisponde al nettario del genere
Orchis; io però non potei mai osservare dentro essa alcuna traccia di nettare, nè mai un insetto che
si sia anche solo avvicinato a questi fiori poco appariscenti e non privi di profumi, per quanto
frequentemente abbia rivolto ad essi la mia attenzione. Tuttavia si osserva ai due lati, nel fondo del
labello, una piccola prominenza lucente di splendore quasi metallico, la quale somiglia
mirabilmente ad una goccia di liquido o di nettare; e poichè questi fiori vengono visitati solo
occasionalmente dagli insetti, mi sembra in questo caso, più che in qualunque altro, probabile
27
()
Non è esatto parlare di due rostelli; mi si passi l’inesattezza per amore dell’evidenza. Il rostello rigorosamente
parlando è un organo semplice, che ha origine da una modificazione dello stigma dorsale e del pistillo; nel genere
Ophrys sono le due borse, i due dischi adesivi e lo spazio fra essi esistente che costituiscono il rostello destro. Io ho
inoltre, parlando della borsa di Orchis, usato il nome di rostello; ma a rigore il rostello comprende ancora la lista o piega
membranosa esistente nell’Ophrys fra le due borse, e questa piega è dovuta all’avvicinarsi e al saldarsi delle due borse.
Questa modificazione verrà spiegata più diffusamente in un capitolo posteriore.
l’opinione di Sprengel sull’esistenza di pseudo-nettarii. In parecchie occasioni scopersi dei punti
minutissimi su queste prominenze, ma non potei decidere se fossero fatti dagli insetti oppure
dipendessero dallo scoppio spontaneo di cellule superficiali. Simili prominenze lucenti si trovano
anche sui labelli delle altre specie di Ophrys. I due rostelli non distano molto fra loro e si
protendono al di sopra dello stigma. Se si avvicina leggermente un oggetto ad uno di essi, questo
abbassa la borsa, e il disco adesivo unitamente alla massa pollinica si fissa ad esso e può essere
facilmente allontanato.
Questa struttura del fiore mi fa credere, che piccoli insetti (come vedremo anche nel genere Listera)
scivolino lungo il labello fino alla sua base, e che essi, nel mentre piegano in giù il loro capo per
pungere e succhiare la prominenza lucente oppure anche solo per esaminarla, urtino contro la borsa,
e conseguentemente una massa pollinica si fissi al loro capo. Essi si volgono poi verso un altro
fiore, e piegandosi su di esso nello stesso modo, la massa pollinica in forma di doppia curva
aderente al loro capo viene a contatto, dopo il secondo movimento diretto al basso, colla faccia
vischiosa dello stigma e vi depone il polline. Nella specie seguente troveremo, che vi ha una buona
ragione per ammettere, che la naturale doppia curvatura del picciuolo sostituisce la debole facoltà di
movimento di cui è fornito di fronte alla specie di Orchis.
NUMERO DEI FIORI
Ambedue
od una sola
massa pollinica
allontanata
dagli insetti
Ambedue
le
masse polliniche
nelle
loro logge
1858. Furono esaminate 17 piante vicine, le quali
portavano 57 fiori . . . . . . . . . . 30 27
» Altre 25 piante viventi nello stesso luogo,
le quali portavano 65 fiori . . . . . . . 15 50
1860. Si esaminarono 17 piante con 61 fiori . . 28 33
1861. Quattro piante del Kent meridionale con
24 fiori (tutte le precedenti vivevano nel
Kent settentrionale) . . . . . . . . .
. . 15 9
Totale . . .
. 88 119
La prova che gl’insetti visitano i fiori di Ophrys muscifera, e ne asportano le masse polliniche,
sebbene non in modo attivo e sufficiente, risulta dai seguenti fatti. Prima del 1858 esaminai per
parecchi anni ed occasionalmente alcuni fiori, e trovai che fra 102 di essi solo tredici avevano
perduto una o tutte due le masse polliniche. Quantunque nelle mie notizie di allora abbia notato, che
la maggior parte dei fiori avevano già cominciato ad appassire, suppongo tuttavia che fra essi ve ne
siano stati anche molti di giovani e sbocciati di fresco, che potevano forse ancora ottenere delle
visite. Io pongo per ciò fiducia maggiore nelle seguenti osservazioni.
Noi vediamo dal qui unito prospetto, che neppure la metà dei 207 fiori esaminati ebbe la visita degli
insetti. Degli ottantotto fiori che furono visitati, trentuno avevano perduto solo una massa pollinica.
Ma poiché le visite degli insetti sono indispensabili alla fecondazione di questa orchidea, egli è
sorprendente che i loro fiori (come quelli di O. fusca) non sieno stati fatti più seducenti per
gl’insetti. Il numero dei frutti prodotto è, come è naturale, proporzionalmente ancora minore del
numero dei fiori visitati dagli insetti. L’anno 1861 fu straordinariamente favorevole a questa specie
in questa regione del Kent, non avendo altra volta mai veduto una tale quantità di fiori;
conseguentemente io esaminai undici piante, le quali portavano quarantanove fiori; ed esse non
produssero se non sette frutti. Due di queste piante portarono due frutti per ciascuna, e tre altre solo
uno per ciascuna, così che niente meno che sei piante non produssero alcun frutto. Che cosa si deve
conchiudere da questi fatti? Sono tanto sfavorevoli le esterne condizioni di vita di questa specie, la
quale tuttavia nell’anno accennato in alcune località era così frequente, da potersi chiamare
comune? Potrebbe la pianta nutrire maggior numero di semi, potrebbe esserle utile produrne un
numero maggiore? Perché sviluppa essa tanti fiori, se produce semi a sufficienza in tali circostanze?
Sembra esservi qualche cosa in disordine nel suo meccanismo o nelle sue condizioni di vita. Noi
impareremo ben presto a conoscere un mirabile contrapposto nella Ophrys apifera, di cui ogni fiore
produce un frutto.
Ophrys aranifera. – Esprimo la mia obbligazione al signor Oxenden per avermi spedito alcune
infiorescenze di questa specie rara. Finché le masse polliniche restano racchiuse nelle loro logge, la
porzione inferiore del picciuolo si diparte dal disco adesivo elevandosi direttamente all’insù, e
presenta quindi una forma assai diversa dalla corrispondente porzione della O. muscifera; la
porzione superiore al contrario (A fig. 6) è alquanto piegata all’innanzi, vale a dire verso il labello.
Il punto di adesione del picciuolo al disco è nascosto entro la base delle logge dell’antera, e con tal
mezzo conservasi umido; ma subito che le masse polliniche vengono esposte all’aria libera,
subentra il solito movimento di abbassamento per un angolo di circa novanta gradi; in virtù di
questo movimento (supposto che aderiscano al capo d’un insetto) ricevono una tale posizione, che
s’adatta esattamente al contatto colla faccia dello stigma, il quale di fronte ai rostelli foggiati a
borsa, giace nel fiore un po’ più al basso che nella Ophrys muscifera.
Fig. 6. – Pollinii di OPHRYS ARANIFERA
avanti e dopo l’atto di depressione.
Io ho esaminato quattordici fiori di O. aranifera, alcuni dei quali erano già in parte appassiti;
nessuno di essi aveva perduto tutte e due le masse polliniche e tre soli ne avevano perduto una.
Questa specie è dunque, come l’Oph. muscifera, raramente visitata dagli insetti in Inghilterra. In
alcune regioni d’Italia esse vengono visitate ancora più raramente, poiché Delpino
(
28
)
afferma che
nella Liguria di 3000 fiori appena uno produce una cassula, benché in Firenze producano un numero
di cassule un po’ maggiore. Il labello non secerne punto nettare; tuttavia questi fiori devono essere
visitati e fecondati occasionalmente dagli insetti, poiché Delpino
(
29
)
trovò delle masse polliniche
sugli stigmi di alcuni fiori, i quali possedevano ancora ambedue le loro proprie masse polliniche.
Le logge dell’antera hanno un’apertura straordinariamente grande, di modo che da alcune piante
speditemi in una scatola caddero fuori due paia di masse polliniche, le quali aderivano col mezzo
dei loro dischi ai petali. Qui abbiamo un esempio della prima comparsa di una minima particolarità
di struttura, la quale non è di menoma utilità a chi la possiede, ma che, un po’ più sviluppata, è di
grande utilità ad una specie affine; poiché, se anche l’apertura delle logge dell’antere nell’Oph.
aranifera è inutile, essa acquista la più alta importanza, come ben presto si vedrà, nell’Ophris
apifera. Così pure è utile alle due specie di Ophrys (aranifera ed apifera) la curvatura della
estremità superiore del picciuolo della massa pollinica, per far sì che le masse polliniche tolte
dagl’insetti ad altri fiori vengano a contatto collo stigma; ma in virtù d’un accrescimento di questa
curvatura combinato con una maggiore flessibilità le masse polliniche riescono nell’Ophrys apifera
adattate ad un atto assai diverso, l’autofecondazione.
Fig. 7. – Pollinio di Ophrys arachnites.
Ophrys arachnites. – Questa forma, di cui il sig. Oxenden mi inviò parecchi esemplari viventi, è
considerata da alcuni botanici una varietà dell’O. apifera, e da altri invece una specie a parte. Le
logge dell’antera non sono tanto elevate sopra lo stigma e non lo oltrepassano di tanto, come nell’O.
apifera; anche le masse polliniche sono più allungate. Il picciuolo raggiunge solo i due terzi o la
metà della lunghezza di quello dell’O. apifera, ed è molto più rigido; la porzione superiore è piegata
naturalmente all’innanzi, mentre l’inferiore eseguisce il solo movimento di depressione quando le
masse polliniche vengano allontanate dalle logge dell’antera. Questa pianta è dunque diversa in ogni
punto importante dall’O. apifera e sembra piuttosto avvicinarsi all’O. aranifera.
Ophrys scolopax di Cavanilles. – Questa forma cresce nell’Italia settentrionale e nel mezzodì della
Francia. Il sig. Moggridge dice,
(
30
)
che essa in Mentone non presenta alcuna inclinazione alla
autogamia, mentre in Cannes le masse polliniche cadono da sè fuori delle loro logge e sullo stigma;
egli aggiunge: «Questa essenziale differenza fra esse è causata da una debolissima curvatura delle
logge dell’antera, portando essa un prolungamento in forma di rostro di lunghezza varia nei fiori che
si fecondano da sé».
Ophrys apifera. – L’Ophrys apifera è assai diversa dalla gran maggioranza delle orchidee, essendo
28
()
Ultime osservazioni sulla Dicogamia. Parte I, 1868-69, p. 177.
29
()
Fecondazione nelle piante antocarpe, 1867, p. 20.
30
()
Journ. Linn. Soc., vol. VIII, 1865, p. 258.
costruita in un modo evidentemente favorevole alla autofecondazione. I due rostelli foggiati a borsa,
i dischi adesivi, la posizione dello stigma sono a un dipresso eguali a quelli delle altre specie di
Ophrys; ma la distanza delle due borse fra loro e la forma delle masse polliniche sono alquanto
variabili.
(
31
)
I picciuoli delle masse polliniche sono straordinariamente lunghi, sottili e flessibili e
non possedono una sufficiente rigidità per mantenersi in posizione eretta, come in tutte le altre
Ophrydeæ da me osservate. Le loro estremità superiori sono necessariamente piegate in avanti, in
conseguenza della forma delle logge dell’antera; e le masse polliniche piriformi sono collocate in
alto e precisamente sopra lo stigma. Le logge dell’antera si aprono naturalmente subito dopo
incominciata l’antesi del fiore, e le estremità ingrossate delle masse polliniche cadono fuori, mentre
i dischi adesivi rimangono ancora nelle proprie borse. Per quanto sia piccolo il peso del polline,
sono però tanto sottili e diventano prestamente così flessibili i picciuoli, che esse dopo sole poche
ore cominciano il moto di depressione, finché pendono liberamente nell’aria (vedi il pollinio
inferiore nella fig. 8 A), precisamente di fronte alla faccia dello stigma. In questa posizione un
soffio di vento che agisca sulla corolla fa oscillare i flessibili ed elastici picciuoli e questi vengono a
toccare quasi immediatamente lo stigma vischioso; e fissandosi ad esso dànno luogo alla
fecondazione. Per accertarmi che a tal fine null’altro sia necessario, collocai, quantunque un tal
esperimento fosse superfluo, una pianta sotto una rete di modo che il vento, ma non gl’insetti, vi
potessero penetrare e dopo pochi giorni tutte le masse polliniche erano aderenti agli stigmi. Al
contrario le masse polliniche d’una infiorescenza conservata nell’acqua e tenuta in una stanza difesa
dal vento si conservarono pendenti davanti agli stigmi, finché i fiori furono appassiti.
Robert Brown ha osservato pel primo, che la struttura della Ophrys apifera è adattata alla
autofecondazione.
(
32
)
Considerando la lunghezza straordinaria e perfettamente adatta dei picciuoli,
come pure la mirabile loro flessibilità, e vedendo che le antere si aprono spontaneamente e le masse
polliniche per il proprio peso lentamente si abbassano fino al livello preciso degli stigmi, e là giunte
oscillano in seguito alla più leggera corrente d’aria, finché è avvenuto il loro contatto collo stigma, è
impossibile dubitare che queste diverse particolarità di struttura e di disposizione degli organi,
diverse da quelle di tutte le orchidee inglesi, non costituiscano un adattamento all’autofecondazione.
Ne risulta quindi ciò che già prima si avrebbe potuto asserire. Io ho soventi volte osservato, che le
infiorescenze di Ophrys apifera producono evidentemente tanti frutti quanti sono i fiori. A Torquay
ho esaminato accuratamente molte dozzine di piante poco dopo l’epoca della fioritura e trovai in
tutte da una a quattro belle cassule e occasionalmente anche cinque, vale a dire tante cassule quanti
erano stati i fiori. Solo in casi rarissimi, se si eccettuino alcune poche deformazioni esistenti per lo
più al vertice dell’infiorescenza, si potè trovare un fiore, il quale non avesse il suo frutto.
Fig. 8. – OPHRYS APIFERA.
a. antera – l, l. labello.
A. Fiore visto di fianco dopo l’asportazione del petalo superiore e dei due
inferiori. Una massa pollinica col suo disco adesivo contenuto ancora
nella sua borsa è rappresentata nel momento in cui sta per cadere dalla
loggia dell’antera e l’altra è uscita fuori per quasi tutta la sua lunghezza e
sta di fronte alla faccia dello stigma.
B. Massa pollinica nella sua posizione entro la antera.
È degno d’osservazione il contrasto presentato da questa specie coll’Ophrys muscifera, la quale
abbisognò per essere fecondata del concorso degli insetti e che con novantanove fiori portò sette
frutti!
In seguito alle osservazioni da me fatte altra volta sopra altre orchidee, restai così sorpreso dalla
autofecondazione di questa specie, che esaminai per molti anni lo stato delle masse polliniche in
molte centinaia di fiori, raccolti in diverse località dell’Inghilterra, e pregai anche altri di
esaminarle. I dettagli non valgono la pena di una minuta esposizione; voglio tuttavia ricordare a
guisa d’esempio, che il sig. Farrer in Surrey trovò che su 106 fiori uno solo aveva perduto ambedue
le masse polliniche, e tre soltanto ne avevano perduto una. Nell’isola Wight il sig. More esaminò
31
()
Io ho trovato una volta sul vertice d’una infiorescenza un fiore coi suoi due rostelli fusi assieme in un modo tanto
perfetto e simmetrico come nel genere Orchis; i dischi adesivi erano parimenti saldati assieme come nelle specie Orchis
pyramidalis e hircina.
32
()
Transact Linn. Soc., vol. XVI, p. 740. BROWN credè erroneamente che questa particolarità fosse propria a tutto il
genere. Delle quattro specie inglesi esaminate si osserva solo nella presente.
136 fiori, e di essi un numero proporzionatamente grande di dieci avevano perduto ambedue le
masse polliniche, e quattordici ne avevano perduto una; ma egli trovò inoltre, che in undici casi i
picciuoli erano stati evidentemente rosicchiati da lumache, mentre i dischi giacevano tuttavia nelle
proprie borse, di modo che le masse polliniche non erano state asportate dagli insetti. Anche in
alcuni casi, in cui io trovai mancanti le masse polliniche, i petali portavano le traccie del muco di
lumache. Non dobbiamo inoltre dimenticare, che un urto di un animale che passa o fors’anche un
vento violento possono cagionare occasionalmente la perdita di una o di ambedue le masse
polliniche.
Nelle molte centinaia di fiori, che furono esaminati, le masse polliniche erano fissate nel maggior
numero degli anni e con poche eccezioni allo stigma, mentre i loro dischi stavano ancora racchiusi
nelle loro borse. Ma nell’anno 1868, non potrei immaginare per quale causa, su 116 fiori raccolti in
due località del Kent, settantacinque trattenevano ancora nelle loro logge ambedue le masse
polliniche, dieci ne avevano una e solo trentuno tenevano aderenti ambedue le masse polliniche allo
stigma. Sebbene io abbia osservato per un lungo periodo di tempo e assai sovente piante di Ophrys
apifera, tuttavia non sono mai riuscito a vedere neppure una sola di esse che fosse visitata da un
insetto qualunque.
(
33
)
Robert Brown espresse l’idea, che i fiori somigliassero alle api, per respingere
le loro visite; ciò mi sembra però assai inverosimile. I fiori coi loro sepali color di rosa non
somigliano ad alcuna specie di ape inglese, ed è probabilmente vero, come io ho inteso dire, che la
pianta abbia avuto il suo nome da ciò che il labello peloso è alquanto simile alla faccia ventrale dei
pecchioni. Noi vediamo quanto numerosi sieno i nomi fantastici, – una specie di Orchis toglie il
nome dalla lucertola, un’altra dalla rana. Nell’O. muscifera la somiglianza con una mosca è
maggiore di quella dell’O. apifera con un’ape; e tuttavia la fecondazione della prima dipende
assolutamente dall’intervento degli insetti e col mezzo di essi unicamente si compie.
Tutte le precedenti osservazioni si riferiscono all’Inghilterra; ma il signor Moggridge fece analoghe
osservazioni sull’Ophrys apifera nell’Italia settentrionale e nel mezzodì della Francia, come
Treviranus
(
34
)
nella Germania ed il Dr Hooker al Marocco. Noi possiamo quindi conchiudere, che
questa pianta, – a cagione della caduta spontanea delle masse polliniche sullo stigma, – e a motivo
della struttura di tutte le parti adatta a questo scopo, – e perché quasi tutti i fiori producono frutti, –
è adatta in modo particolare alla autofecondazione. Ma questo caso ha un altro lato ancora.
Se si urta con un oggetto qualunque contro una delle borse del rostello, ha luogo la depressione del
labello, e il grande disco adesivo si attacca fortemente all’oggetto, e se quest’ultimo si allontana
porta seco anche una massa pollinica, sebbene forse non tanto celeremente come nelle altre specie
d’Ophrys. Perfino dopo che le masse polliniche dalle loro logge sono cadute naturalmente sullo
stigma, può aver luogo ancora un allontanamento di esse nel modo accennato. Appena che il disco è
cavato fuori dalla sua borsa, incomincia un movimento di depressione, in virtù del quale la massa
pollinica, se è attaccata al capo d’un insetto, si porta nella posizione conveniente per il contatto
dello stigma. Se una massa pollinica dopo caduta sullo stigma ne viene di nuovo allontanata, si
lacerano i filamenti elastici che tengono uniti assieme i massi di polline, e alcuni di essi sono
trattenuti alla superfice vischiosa. In tutte le altre orchidee questi diversi apparecchi – cioè la
soppressione del labbro del rostello in seguito ad una leggera pressione, – la vischiosità del disco, –
la depressione del picciuolo in seguito all’esposizione del disco all’aria, – la lacerazione dei
filamenti elastici, — e la appariscenza dei fiori, – hanno un significato evidente. Dovremo noi
credere, che questi adattamenti ad una fecondazione incrociata siano assolutamente privi di scopo
nell’O. apifera, come sarebbe precisamente il caso, se questa specie si avesse sempre fecondata da
sè, e dovesse farlo sempre? Egli è però possibile, che gl’insetti, sebbene non sieno mai stati veduti,
visitino i fiori, e a lunghi intervalli trasportino le masse polliniche di pianta in pianta e precisamente
in quegli anni come il 1868, in cui le masse polliniche non caddero tutte dalle logge dell’antera per
raggiungere lo stigma. Questo caso è estremamente strano; poiché nello stesso fiore troviamo
apparecchi di finissima esecuzione per scopi direttamente opposti.
33
()
Il sig. GERARD E. SMITH nel suo Catalogue of Plants of S. Kent, 1829, p. 25, dice: «il sig. Price ha frequentemente
osservato che la Orchis apifera è assalita da un’ape, simile a quella della infesta Apis muscorum». Che cosa significhino
queste parole non riesco ad indovinarlo
34
()
Botanische Zeitung, 1803, p. 241. Questo botanico mise in dubbio dapprima le mie osservazioni relative alle specie
Ophrys apifera ed aranifera, ma più tardi le confermò completamente.
Che la fecondazione incrociata sia utile alla maggior parte delle orchidee lo possiamo dedurre dalle
numerosissime particolarità di struttura tendenti a questo scopo, che esse presentano, ed io ho
dimostrato in un altro luogo relativamente a molti altri gruppi di piante,
(
35
)
che il vantaggio da essa
ottenuto è assai considerevole. D’altro canto l’autofecondazione è di evidente utilità, in quanto che
assicura un completo prodotto di semi; e noi abbiamo veduto nelle altre specie inglesi di Ophrys, le
quali non possono fecondarsi da sè, quale piccola parte dei loro fiori producono frutti. Giudicando
dalla struttura dei fiori di O. apifera, mi sembra quindi quasi certo, che essi in un periodo anteriore
siano stati accomodati per una fecondazione incrociata; ma non producendo essi una copia bastante
di semi, siano stati leggermente modificati in modo da render possibile l’autofecondazione.
Secondo questo modo di vedere, riesce però strano che nessuna delle parti in questione dimostri una
tendenza ad abortire, che nei diversi e lontani paesi in cui cresce la pianta, i fiori sieno ancora
sempre appariscenti, i dischi ancora vischiosi e i picciuoli conservino ancora la proprietà di
muoversi, quando i dischi vengano esposti all’aria libera. I punti dotati di splendore metallico,
esistenti alla base del labello, sono tuttavia più piccoli che nelle altre specie; e se essi servono ad
attirare gl’insetti, questa differenza è di qualche importanza. Potendosi appena dubitare che lO.
apifera non sia stata dapprima così costrutta, da venire regolarmente fecondata per incrociamento, si
può domandare, se essa ritornerà mai nello stato suo primiero, e se, non avvenendo una tal
riversione, essa debba scomparire. A queste domande non è possibile rispondere, come non lo è
possibile rispetto a quelle piante, le quali ora esclusivamente si riproducono col mezzo di gemme e
di stoloni, ecc., ma che producono fiori, i quali di rado o mai danno semi, e vi ha fondamento per
credere che la riproduzione agamica sia molto analoga ad una autofecondazione per lungo tempo
continuata.
Il sig. Moggridge ha inoltre dimostrato, che nell’Italia settentrionale le specie Ophrys apifera,
aranifera, arachnites e scolopax sono assieme congiunte da tanti membri rigorosamente intermedi,
(
36
)
che sembrano costituire una sola specie conforme all’opinione di Linneo, che le comprendeva
tutte sotto il nome di Ophrys insectifera. Il sig. Moggridge dimostra inoltre che in Italia l’ O.
aranifera fiorisce per la prima, l’O. apifera è l’ultima a fiorire e le altre forme in epoche intermedie,
e questo fatto è, secondo afferma Oxenden, fino ad un certo punto esatto anche nel Kent. Le tre
forme che crescono nell’Inghilterra non sembrano passare le une nelle altre, come in Italia, e il sig.
Oxenden, il quale ha osservato attentamente queste piante nella loro patria, mi assicurò che l’O.
aranifera e l’O. apifera crescono sempre in località diverse. Questo fatto è assai interessante, poichè
si hanno qui quattro forme che possono essere considerate come buone specie, e come tali sono
state anche universalmente riconosciute, le quali in Italia non si sono ancora completamente
separate l’una dall’altra. Il fatto è tanto più interessante, in quanto che le forme intermedie
difficilmente possono essere il risultato dell’incrociamento della O. aranifera coll’O. apifera,
poichè quest’ultima specie si feconda regolarmente da sè e sembra non essere visitata mai dagli
insetti. Sia che noi consideriamo le diverse forme di Ophrys come specie affini, oppure come
semplici varietà di una stessa specie, riesce però sempre meraviglioso, che esse differiscano fra loro
in un carattere di così grande importanza fisiologica, quale è quello, che i fiori di alcune sono
evidentemente adattati all’autofecondazione, e quelli di altre alla fecondazione incrociata in modo
da rimanere sterili se venga loro a mancare la visita degli insetti.
Herminium monorchis. – A questa specie, che è pianta assai rara in Inghilterra, si attribuiscono
comunemente glandole o dischi nudi, ciò che non è rigorosamente vero. Il disco adesivo è d’una
grandezza non comune, quasi eguale alla massa pollinica; è quasi triangolare e provveduto di un
prolungamento laterale che somiglia un poco ad un elmo schiacciato. Esso è formato di un solido
tessuto, il quale alla sua faccia inferiore è incavato e vischioso; la base poggia sopra una sottile
listerella membranosa corrispondente alla borsa del genere Orchis, è coperta da essa e si può
facilmente allontanare. Tutta la porzione superiore dell’elmo corrisponde al piccolo pezzo ovale
membranoso, a cui sta fisso nel genere Orchis il picciuolo, mentre esso è nell’Ophrys muscifera più
grande e convesso. Se si tocca la porzione inferiore dell’elmo con un oggetto qualunque appuntito,
35
()
Cross and Self-Fertilisation ecc., ossia Gli effetti della fecondazione incrociata e propria nel regno vegetale (trad.
ital. di G. CANESTRINI e P.A. SACCARDO.
36
()
Queste forme sono rappresentate da bei disegni colorati nella Flora of Mentone p. 43-45, e nella sua memoria nei
Nova Acta Leop. Carol., tom. XXXV, 1869.
la punta scivola facilmente entro la cavità della base e vi è trattenuta così fortemente dalla sostanza
vischiosa, che l’intiero elmo sembra avere lo scopo esclusivo di aderire ad una prominenza
qualunque del corpo degli insetti. Il picciuolo è breve e assai elastico; non è fissato all’apice ma
all’estremità inferiore dell’elmo; poichè se fosse fissato all’apice, il punto d’adesione sarebbe molto
esposto all’aria e non si manterrebbe umido; e allora la massa pollinica dopo uscita dalla sua loggia
non potrebbe celeremente abbassarsi.
Questo movimento è ben pronunciato e serve a portare l’estremità della massa pollinica nella
posizione opportuna per il contatto dello stigma. I due dischi adesivi distano assai fra loro. Esistono
due faccie stigmatiche trasversali, le quali si congiungono nel mezzo coi loro apici; ma ciascuna di
esse sta colla sua parte allargata esattamente sotto uno dei dischi. Il labello è degno di nota perchè
non differisce molto per la sua forma dai due petali superiori, e perché non si trova sempre nella
stessa posizione relativamente all’asse della pianta, ciò che è la conseguenza d’una torsione più o
meno grande dell’ovario. Questa particolarità del labello è spiegabile, poichè noi vedremo che esso
non serve di stazione agli insetti. Esso è rivolto in alto e in unione ai due altri petali rende tutto il
fiore fino ad un certo punto tubuloso. Sulla sua base vi è una fossa, la quale è così profonda da
meritarsi quasi il nome di nettario; io per vero non vi potei scoprire alcuna traccia di nettare, che io
credo essere racchiuso negli spazi intercellulari. I fiori sono piccolissimi e non appariscenti, ma
emettono un forte odore come di miele. A quanto sembra essi allettano in alto grado gli insetti;
poiché in una spica di soli sette fiori aperti di fresco, quattro avevano perduto ambedue le masse
polliniche e un altro ne aveva perduta una.
Quando venne alla luce la prima edizione di questo libro, io non sapeva come avvenisse la
fecondazione dei fiori; ma mio figlio Giorgio ha scoperto l’intiero processo, il quale è estremamente
singolare e diverso da quello di tutte le altre orchidee da me conosciute. Egli vide penetrare dentro i
fiori diversi minutissimi insetti e ne portò a casa non meno di ventisette esemplari, ognuno dei quali
portava ordinariamente una massa pollinica, talvolta anche due. Questi insetti erano imenotteri (la
specie più comune era Tetrastichus diaphantus), ditteri e coleotteri; quest’ultimo ordine era
rappresentato dalla specie Malthodes brevicollis. Sembra essere condizione indispensabile, che
l’insetto sia di piccola dimensione, poiché il più grande di essi misurava appena
1
/
20
di pollice in
lunghezza. Le masse polliniche aderivano sempre allo stesso punto, vale a dire sulla faccia esterna
del femore di uno degli arti anteriori, e per lo più alla prominenza formata dall’articolazione del
femore colla coscia.
La cagione di questa maniera di aderenza è sufficientemente chiara: la porzione centrale del labello
è tanto vicina all’antera e allo stigma, che gli insetti entrano sempre nei fiori lateralmente fra il
margine del labello e uno dei petali superiori; essi vi penetrano quasi sempre in modo da rivolgere il
loro dorso direttamente od obliquamente verso il labello. Mio figlio osservò che parecchi di essi
penetrati in altro modo entro i fiori ne uscirono per mutare la loro posizione. Essi se ne stanno in
uno degli angoli del fiore col dorso rivolto verso il labello e spingono il loro capo e gli arti anteriori
entro il breve nettario, il quale è collocato fra i due dischi assai distanti fra loro. Io mi accertai che
essi prendono una tale posizione, avendo trovato tre insetti morti e fortemente attaccati ai dischi.
Mentre essi succhiano il nettare, ciò che dura due o tre minuti, l’articolo prominente del femore sta
in ciascun lato sotto il grande disco adesivo foggiato ad elmo; e quando l’insetto si ritira il disco
viene esattamente in contatto colla prominenza dell’articolazione o colla superficie del femore e vi
aderisce fortemente. Il movimento di depressione del picciuolo succede subito dopo e la massa
pollinica si distende all’innanzi fin sopra la tibia, così che l’insetto se passa in un altro fiore non può
far a meno di fecondare lo stigma che è collocato direttamente sotto al disco in ciascun lato.
Peristylus viridis. – Questa pianta, che porta lo strano nome di Orchiderana, venne riferita da molti
botanici al genere Habenaria o Platanthera; ma non essendo nudi i dischi, è dubbioso se questa
classificazione sia esatta. I rostelli sono piccoli e assai distanti fra loro. La sostanza vischiosa forma
sulla faccia inferiore del disco una massa ovale, la quale è racchiusa in una piccola borsa. La
membrana superiore a cui aderisce il picciuolo è di grandezza considerevole in proporzione
all’intiero disco ed esposta all’aria libera. Da ciò deriva probabilmente, che le masse polliniche,
allorchè vengono allontanate dalle loro logge, non finiscono il loro movimento di depressione prima
di venti o trenta minuti, come ha osservato il sig. T. H. Farrer. In causa di questo lungo periodo fui
dapprima indotto a credere, che non eseguissero alcun movimento di depressione. S’immagini una
massa pollinica fissata al capo d’un insetto dopo eseguito il movimento di depressione; essa sarà
così disposta da venire verticalmente a contatto dello stigma. Ma riesce difficile a prima vista il
vedere, come le masse polliniche allontanate dagli insetti vengano poi portate sullo stigma, a
cagione della posizione laterale delle antere, quantunque esse convergano alquanto verso le loro
estremità superiori; poichè lo stigma è piccolo e collocato nel mezzo del fiore fra i due rostelli che
sono assai distanti fra loro.
La spiegazione credo essere la seguente: la base del lungo labello forma una cavità abbastanza
profonda davanti lo stigma, e in questa cavità, ma un po’ innanzi allo stigma, una minutissima
fessura (n) conduce in un breve nettario bilobo. In conseguenza di ciò l’insetto che vuole succhiare
il nettare di cui è ripieno il nettario, dovrà piegare all’ingiù il suo capo precisamente davanti allo
stigma. Il labello ha una lista mediana, la quale probabilmente potrebbe far sì che l’insetto si
posasse dapprima su uno dei lati; ma evidentemente per assicurare ciò, esistono oltre al vero nettario
due punti (n’ n’) ai due lati della base del labello, i quali sono compresi da margini prominenti, e
collocati precisamente dinanzi alle due borse e secernono gocciole di nettare. Immaginiamo che un
insetto si posi su uno dei lati del labello per succhiare dapprima la goccia di nettare esposto all’aria
che sta sullo stesso lato; in virtù della posizione della borsa che sta esattamente sopra la goccia di
nettare, la massa pollinica di quel lato si fisserebbe certamente al suo capo. Se dopo ciò egli andasse
presso l’ingresso del vero nettario, la massa pollinica aderente al suo capo, non avendo ancora
eseguito il movimento di depressione, non toccherebbe lo stigma, e in tal modo si eviterebbe
l’autofecondazione. L’insetto succhierebbe probabilmente dopo ciò la goccia libera di nettare
esistente sull’altra porzione laterale del labello, e là potrebbe forse attaccarsi al suo capo ancora una
massa pollinica. L’insetto sarebbe così trattenuto per un tempo considerevole, avendo tre nettarii da
succhiare. Poscia esso visiterà altri fiori della stessa pianta e poi anche quelli di una pianta diversa, e
dopo trascorso questo tempo e non prima, le masse polliniche avranno compito il movimento di
depressione e raggiunto una posizione adatta per eseguire la fecondazione incrociata. In tal modo
sembra, che la secrezione di nettare in tre punti diversi del labello, – la considerevole distanza fra i
due rostelli, – e il lento movimento di abbassamento del picciuolo senza alcun movimento laterale,
– che tutto ciò stia in stretto rapporto allo scopo di favorire la fecondazione incrociata.
Fig. 9. – PERISTYLUS VIRIDIS.
a. antera – s. stigma – n. ingresso nel nettario centrale – n’ n’. nettarii laterali
l. labello
Fino a qual punto questa orchidea sia visitata dagli insetti, e da quali specie, lo ignoro, ma parecchi
fiori di due spiche speditemi dal sig. B. S. Malden avevano perduto una massa pollinica, e uno tutte
due.
Passiamo ora ad esaminare due generi, vale a dire Gymnadenia e Platanthera o Habenaria, i quali
comprendono quattro specie inglesi, che possedono dischi adesivi nudi. La sostanza vischiosa è di
natura un po’ diversa da quella dei generi Orchis, Ophrys, ecc., e non si indurisce prontamente. I
loro nettarii sono pieni di nettare libero. Per rapporto alla nudità dei dischi la specie ultimamente
descritta, Peristylus viridis, occupa quasi esattamente il posto di mezzo. Le quattro forme che
seguono costituiscono una serie assai interrotta. Nella Gymnadenia conopsea i dischi adesivi sono
esili, ossia allungati e collocati assai vicini fra loro; nella G. albida sono meno lunghi ma ancora
molto avvicinati; nella Habenaria bifolia sono ovali e molto distanti e nella H. chlorantha in fine
sono circolari e ancora più allontanati.
Gymnadenia conopsea. – Nell’abito generale questa pianta è assai affine ad una vera Orchis. Le
masse polliniche ne differiscono perché possedono dischi nudi, esili, nastriformi, i quali
raggiungono una lunghezza eguale a quella dei picciuoli (fig. 10). Allorché le masse polliniche
vengono esposte all’aria libera, il picciuolo si deprime entro il termine di trenta a sessanta secondi; e
poiché la faccia posteriore del picciuolo è un poco incavata, essa abbraccia esattamente la faccia
superiore membranosa del disco. Il meccanismo di questo movimento sarà descritto nell’ultimo
capitolo. I filamenti elastici, che tengono assieme i pacchi pollinici sono estremamente deboli, come
lo sono pure nelle due specie seguenti del genere Habenaria. Questo fatto si poté osservare assai
chiaramente in una pianta conservata nello spirito. Tale debolezza sta evidentemente in relazione
con ciò che la sostanza vischiosa dei dischi non si dissecca ed indurisce come nelle specie di
Orchis, di modo che un lepidottero notturno può con una tal massa pollinica aderente alla sua
proboscide visitare parecchi fiori senza che l’intiera massa sia distaccata per intiero al contatto del
primo stigma. I due dischi nastriformi sono assai avvicinati e formano il tetto convesso dell’ingresso
del nettario. Essi non sono racchiusi, come nell’Orchis, da un labbro inferiore o da una borsa, e così
la struttura del rostello è più semplice. Se rivolgiamo la nostra attenzione alle omologie del rostello,
troviamo che questa differenza dipende da una piccola variazione consistente in ciò che le cellule
inferiori ed esterne del rostello si risolvono in una sostanza vischiosa, mentre nell’Orchis la sua
faccia esterna conserva la natura primitiva cellulare o membranosa.
Fig. 10. – GYMNADENIA CONOPSEA.
A. Massa pollinica prima del movimento di depressione.
B. La stessa dopo il movimento di depressione, ma prima che abbia
racchiuso esattamente il disco.
Poiché i due dischi adesivi formano il tetto dell’ingresso al nettario e a questo scopo si trovano più
in basso presso il labello, i due stigmi, invece di essere collocati sotto il rostello e di congiungersi,
come nel maggior numero delle specie di Orchis; sono separati e collocati ai lati. Questi stigmi
constano di due processi foggiati quasi a corna, collocati ai due lati del nettario. Io mi sono accertato
che la loro superficie è realmente la faccia stimmatica, poiché la trovai profondamente perforata da
una quantità di tubi pollinici. Come nell’Orchis pyramidalis, egli è un bell’esperimento
l’introduzione di una esile setola esattamente nello stretto ingresso del nettario, per osservare come
si fissino immancabilmente ad essa i lunghi e sottili dischi adesivi, che ne formano il tetto. Allorchè
si ritira la setola, essa trae seco anche le masse polliniche aderenti alla sua faccia superiore; e poiché
i dischi formano i fianchi del tetto convesso, essi sono fissati un poco ai lati di essa. Poi si
abbassano prontamente fino a collocarsi allo stesso livello della setola, – l’uno alquanto da un lato e
il secondo dall’altro; e se poscia la setola s’introduce nello stesso modo nel nettario d’un altro fiore,
le due estremità delle masse polliniche vengono esattamente a contatto colle due faccie stigmatiche
prominenti, collocate ai due lati dell’ingresso nel nettario.
I fiori spandono un gradito profumo, e il nettare contenuto sempre in buona copia nei loro nettarii
sembra attirare vivamente i lepidotteri, poiché le masse polliniche vengono presto ed assai
attivamente allontanate. Così, ad esempio, in una infiorescenza con quarantacinque fiori aperti,
quarantuno avevano perduto le loro masse polliniche o era stato lasciato del polline sul loro stigma.
In un’altra infiorescenza con cinquantaquattro fiori, trentasette avevano perduto ambedue le masse
polliniche e quindici una; così che solo due fiori in tutta la spica possedevano ancora ambedue le
masse polliniche.
Mio figlio Giorgio si portò di notte tempo in una località, dove cresceva in quantità questo genere di
piante e catturò ben presto la Plusia chrysitis con sei, la P. gamma con tre, l’Anaitis plagiata con
cinque, e la Triphæna pronuba con sette masse polliniche aderenti alle loro proboscidi. Posso
aggiungere, che egli prese la farfalla della prima specie anche nel mio giardino, dove le masse
polliniche di questa Orchis aderivano alla di lei proboscide, ma avevano perduto tutti i granelli
pollinici, sebbene il giardino disti un quarto di miglio da ogni località dove cresce questa pianta.
Molti dei lepidotteri notturni sopra nominati non portavano che una sola massa pollinica aderente
alla loro proboscide un po’ lateralmente; ciò succederà ogni volta che la farfalla non si collochi
direttamente avanti il nettario e non introduca la sua proboscide esattamente fra i dischi. Ma poiché
il labello è piuttosto largo e piano e privo di liste guidatrici, simili a quelle del labello di Orchis
pyramidalis, così non esiste nulla che costringa le farfalle ad introdurre le loro proboscidi
simmetricamente nel nettario; e ciò non sarebbe d’altronde di alcuna utilità.
Gymnadenia albida. – La struttura dei fiori di questa specie è eguale nel massimo numero dei
punti a quella della specie precedente, solo è da notarsi che in virtù di una torsione maggiore del
labello verso l’alto il fiore diventa quasi del tutto tubuloso. I dischi lunghi e nudi sono piccoli ed
avvicinati. Le faccie stimmatiche sono un po’ laterali e divergenti. Il nettario è breve e pieno di
nettare. Quantunque i fiori sieno piccoli, sembrano attirare tuttavia vivamente gl’insetti; poiché dei
diciotto fiori inferiori di una infiorescenza, dieci avevano perduto ambedue le masse polliniche e
sette ne avevano perduto una; e in alcune infiorescenze più vecchie, tutte le masse polliniche
mancavano, ad eccezione di quelle di due o tre fiori posti verso l’apice.
Gymnadenia odoratissima. – Abita le alpi e concorda, secondo il dottore H. Müller,
(
37
)
colla
Gymnadenia conopsea in tutti i caratteri sopra cennati. Poiché i fiori pallidi e assai odorosi di questa
specie non vengono visitati da lepidotteri diurni, egli ammette, che essi vengano esclusivamente
fecondati dai lepidotteri notturni. La G. tridentata dell’America Settentrionale descritta dal prof.
Asa Gray,
(
38
)
differisce per caratteri importanti dalla specie precedente. L’antera si apre nella gemma
e i granelli pollinici tenuti assieme nella specie inglese da deboli filamenti elastici, in questa specie
sono ancora meno coerenti, ed alcuni di essi cadono senza eccezione sui due stigmi e sull’apice
cellulare e nudo del rostello; e questa ultima parte è in modo strano perforata dai tubi pollinici. Così
accade dunque l’autofecondazione dei fiori. Ad onta di ciò, come soggiunge il prof. Asa Gray, «gli
apparecchi allo scopo di favorire il trasporto delle masse polliniche col mezzo degl’insetti,
compreso il movimento di depressione, sono così perfetti come nelle specie che dipendono
dall’intervento degl’insetti». Per cui v’ha poco dubbio, che in questa specie possa occasionalmente
aver luogo anche la fecondazione incrociata.
Habenaria o Platanthera chlorantha. – Le masse polliniche di questa specie differiscono
considerevolmente da quelle fin qui descritte. Le due logge dell’antera sono separate per un grande
spazio da una membrana connettiva; e le masse polliniche sono racchiuse in una posizione che va
posteriormente abbassandosi (fig. 11). I dischi adesivi si protraggono all’innanzi delle faccie
stimmatiche e sono rivolti l’uno verso l’altro. In conseguenza di questa posizione anteriore i
picciuoli e le masse polliniche sono assai allungate. Ciascun disco è circolare ed è formato durante
il primo sviluppo della gemma da una massa cellulare, i di cui strati esterni (corrispondenti al labbro
o alla borsa dell’Orchis) si dissolvono in una massa vischiosa. Questa sostanza ha la proprietà di
conservare la sua vischiosità almeno 24 ore dopo l’allontanamento della massa pollinica dalla sua
loggia. Il disco, il quale esternamente è rivestito di un denso strato di sostanza vischiosa (V. fig. C,
la quale è disposta in modo che lo strato vischioso sia inferiore), si prolunga nell’opposta regione in
un breve stilo in forma di tamburo, il quale è una continuazione della parte membranosa del disco e
consta dello stesso tessuto. Il picciuolo della massa pollinica è fissato in una direzione trasversale
all’estremità aderente dello stilo, e la sua estremità somiglia ad una coda rudimentale incurvata che
si prolunga esattamente sopra il tamburo, e per ciò il picciuolo è unito al disco adesivo in un modo
affatto diverso dal comune e precisamente in un piano che forma un angolo retto con quello delle
altre orchidee inglesi. Nel breve tamburo abbiamo un più debole sviluppo del lungo stilo del
rostello, il quale in molte Vandee risalta tanto all’occhio e serve a congiungere il disco adesivo col
vero picciuolo delle masse polliniche.
Fig. 11. – HABENARIA CHLORANTHA.
a a. logge dell’antera – d. disco della massa pollinica – s. stigma — n.
nettario – n’. ingresso nel nettario – l. labello.
A. Vista anteriore del fiore; i petali e sepali sono tutti asportati ad eccezione
del labello col suo nettario, il quale è piegato di fianco.
B. Una massa pollinica (la sua lunghezza è appena sufficiente). Lo stelo è
coperto dal disco.
C. Sezione traversale schematica del disco adesivo, dello stelo e
dell’estremità del picciuolo ad esso aderente.
Il tamburo è della più alta importanza, non solo perché rende più prominente il disco adesivo e lo fa
quindi più adatto per attaccarsi alla faccia d’un insetto, mentre sta introducendo la sua proboscide
nel nettario sotto lo stigma, ma anche per il suo potere di contrazione. Le masse polliniche
giacciono entro le loro logge rivolte all’indietro (fig. 11, A) sopra e per un certo tratto ai lati delle
faccia stigmatiche; se esse si fissano in questa posizione al capo di un insetto, questo potrebbe
visitare un numero qualunque di fiori, senza lasciare la più piccola porzione di polline su nessuno
degli stigmi. Però osserviamo che cosa avvenga: pochi secondi dopo che l’estremità interna del
tamburo è stata allontanata dallo strato in cui sta raccolta, ed esposta all’aria libera, un lato del
tamburo si contrae, e questa contrazione ritira verso l’interno l’estremità ingrossata della massa
pollinica, in modo che il picciuolo e la faccia vischiosa del disco non si mantengono più paralleli,
37
()
Nature, 31 dic. 1871, p. 169.
38
()
American Journal of Science, vol. XXXIV, 1862, p. 426, e annotazione a p. 260; vol. XXXVI, 1863, p. 293. Nell’ultima
nota aggiunge alcune osservazioni su G. flava e nivea.
come lo erano al principio e come è rappresentato nella figura (fig. 11, C). Contemporaneamente il
tamburo subisce una torsione di quasi un quarto di cerchio sul suo asse, e in conseguenza di ciò il
picciuolo si muove verso il basso a guisa di un indice di orologio e l’estremità ingrossata della
massa pollinica o della massa di granelli pollinici si abbassa.
Supponiamo ora che il disco del lato destro sia attaccato al destro lato del capo di un insetto; nel
tempo di cui l’insetto abbisogna per portarsi a visitare un altro fiore di un’altra pianta, l’estremità
della massa pollinica che porta il polline, si spiegherà al basso e all’indentro e quindi verrà
immancabilmente a contatto della superficie vischiosa dello stigma, che giace nel mezzo del fiore e
fra le due logge dell’antera.
La piccola e rudimentale appendice del picciuolo, che sopravanza il tamburo, sarà assai interessante
per coloro che credono alla trasformazione delle specie; poichè ci dimostra che il disco fu spinto un
po’ all’indentro e che originariamente i due dischi erano collocati più all’innanzi dello stigma di
quello che lo siano ora. Noi rileviamo da ciò che la forma originaria si avvicinava sotto questo
rapporto alla struttura di quella singolare orchidea che è la Bonatea speciosa del Capo di Buona
Speranza.
La lunghezza notevole del nettario contenente buona copia di nettare libero, il colore bianco dei
fiori molto appariscenti, il vivo ed amabile odore che emettono di notte; tutto questo ci insegna, che
questa pianta per rapporto alla sua fecondazione dipende dalla visita di grandi lepidotteri notturni.
Ho trovato spesso infiorescenze che avevano perduto quasi tutte le masse polliniche. A cagione
della posizione laterale e della distanza dei due dischi adesivi fra loro, una farfalla non potrà
asportare in una visita che una sola massa pollinica; e difatti trovai in una spica che non era stata
ancora molto visitata solo tre fiori che avevano perduto ambedue le masse polliniche, e otto che ne
avevano perduto solo una. Avuto riguardo alla posizione dei dischi, si avrebbe dovuto ritenere già in
precedenza che essi dovessero attaccarsi ai lati del capo o della faccia delle farfalle; e infatti il sig.
F. Bond mi inviò un esemplare di Hadena dentina, il di cui occhio era affatto coperto da un tal disco
e quindi cieco, e un esemplare di Plusia v. aureum con un disco fissato al margine d’un occhio. Il
sig. Marshall
(
39
)
raccolse venti esemplari di Cucullia umbratica su un’isola in Derventwater, la
quale dista un mezzo miglio marino da ogni località ove cresce la H. chlorantha; ad onta di ciò,
sette di queste farfalle avevano attaccate ai loro occhi le masse polliniche di questa orchidea. Ma
quantunque questi dischi siano così vischiosi, che quasi tutte le masse polliniche di un mazzo di
fiori che portava nella mia mano erano allontanati in conseguenza dello scuotimento e sospese ai
sepali e ai petali, egli è tuttavia certo, che alcune farfalle, probabilmente le specie più piccole,
visitano spesso questi fiori senza asportarne le masse polliniche; poiché avendo io esaminato
attentamente i dischi di un gran numero di masse polliniche ancora dentro le loro logge, trovai
attaccate ad essi delle piccole squamme di farfalle.
La cagione per cui i fiori di parecchie specie di orchidee hanno una tale struttura, che le masse
polliniche si attaccano sempre agli occhi o alle proboscidi dei lepidotteri oppure alla fronte ignuda
degli imenotteri, è senza dubbio questa, che i dischi adesivi non possono attaccarsi ad una superficie
squammosa o assai pelosa, poiché le squamme facilmente si distaccano. Quelle variazioni di
struttura delle orchidee le quali non tendessero a mettere in contatto i dischi adesivi con una parte
del corpo a cui possono fissarsi, non sarebbero di alcuna utilità ma piuttosto di danno alla pianta; e
per conseguenza tali variazioni non sarebbero conservate e perfezionate.
Habenaria bifolia. – So bene, che Bentham e alcuni altri botanici considerano questa forma e la
precedente come varietà della stessa specie, poiché esistono anelli di passaggio relativamente alla
posizione dei dischi adesivi. Ma noi vedremo bentosto, che queste due forme differiscono per un
grande numero di altri caratteri, senza tener conto delle loro differenze nell’abito generale e della
diversa distribuzione geografica, con cui noi qui non abbiamo nulla a che fare. Se in seguito avesse
a risultare che queste due forme passano indipendentemente da ogni ibridazione l’una nell’altra, ciò
non sarebbe altro che un caso meraviglioso di variazione, di cui io per mia parte ne avrei altrettanto
piacere che meraviglia, poiché queste due forme sono più diverse fra loro, di quello che lo siano la
maggior parte delle specie appartenenti a questo genere.
I dischi adesivi dell’Habenaria bifolia sono circolari e collocati uno contro l’altro. Essi stanno
molto più vicini fra loro che nella specie precedente e anzi tanto vicini, che nella gemma, quando le
39
()
Nature, 12 sept. 1812, p. 393.
loro superfici sono ancora cellulari, quasi si toccano. Essi sono collocati un po’ più sotto
all’ingresso del nettario. La sostanza vischiosa è di natura chimica alquanto diversa, poiché diventa
assai più attaccaticcia se viene bagnata dopo un prolungato disseccamento oppure dopo che fu
conservata nello spirito di vino poco concentrato. Si può appena parlare della esistenza di uno stilo
foggiato a tamburo, poiché è sostituito da una costa longitudinale troncata all’estremità là dove
s’inserisce il picciuolo e così pure non esiste più di una traccia ancora della coda rudimentale di
quest’ultimo. La fig. 12 rappresenta i dischi adesivi delle due specie visti verticalmente dall’alto e
allo stesso grado d’ingrandimento. Le masse polliniche allontanate dalle loro logge eseguiscono a
un dipresso gli stessi movimenti, come nella specie antecedente. Si può osservare molto bene questi
movimenti in ambedue le forme levando una massa pollinica con una pinzetta applicata
all’estremità ingrossata, e tenendola così sotto il microscopio; si vede allora il piano del disco
adesivo muoversi percorrendo un arco di almeno quarantacinque gradi. I picciuoli di questa
Habenaria sono relativamente assai più corti che nelle altre specie; i piccoli pacchi pollinici sono
più brevi, più bianchi e si separano nel fiore maturo molto più facilmente. Infine la faccia stigmatica
è diversamente conformata, più distintamente triloba e provveduta di due prominenze laterali sotto i
dischi adesivi. Queste prominenze rendono più stretto l’ingresso del nettario, di modo che diventa
quadrangolare. Per tutte queste ragioni io non posso dubitare che queste due forme non sieno due
specie diverse, sebbene esternamente siano assai simili.
(
40
)
Fig. 12.
B. Disco adesivo e picciuolo di H. chlorantha visto dal di sopra, col
tamburo in atto di accorciarsi.
A. Disco adesivo e picciuolo di H. bifolia visto dal di sopra.
Appena ho esaminato la specie in questione, fui convinto dalla posizione dei dischi adesivi, che essa
dovesse essere fecondata in un modo diverso da quello della H. chlorantha; ed ora ho potuto, grazie
alla bontà del sig. F. Bond, esaminare due farfalle, cioè la Agrotis segetum e la Anaitis plagiata,
delle quali una portava tre masse polliniche e l’altra cinque, non come nella specie precedente
aderenti agli occhi o ai lati della faccia, ma alla base della proboscide. Posso qui osservare che le
masse polliniche di queste due specie di Habenaria allorchè aderiscono alle farfalle, si distinguono
a prima vista.
Il prof. Asa Gray ha descritto la struttura di non meno che dieci specie americane di Platanthera.
(
41
)
La maggior parte di esse somiglia rispetto al modo della fecondazione alle due specie inglesi, ma
alcune specie in cui i dischi adesivi non distano molto l’uno dall’altro, hanno apparecchi singolari,
come per es. un labello solcato, scudi laterali, ecc., i quali costringono le farfalle a introdurre la loro
proboscide direttamente dall’innanzi. D’altro canto la P. Hookeri si scosta in un modo assai
interessante; i due dischi adesivi sono molto discosti fra loro e per conseguenza una farfalla la quale
non sia di grandezza gigantesca, potrebbe succhiare il copioso nettare, senza toccare nessuno dei
dischi; ma si evita questo rischio nel seguente modo; – la linea mediana dello stigma è prominente,
e il labello invece di pendere in basso come nella maggior parte delle altre specie è rivolto in alto, in
modo che l’estremità superiore del fiore è alquanto tubolosa e divisa in due metà. Per conseguenza
una farfalla potrà avvicinarsi solo da uno o dall’altro lato, e così la sua faccia verrà quasi certamente
a contatto con uno dei dischi. Il tamburo della massa pollinica si contrae, allorchè è allontanata,
nello stesso modo che ho fatto conoscere nella P. chlorantha. Il prof. Gray ha veduto una farfalla
del Canadà (Nisoniades) la quale portava aderente a ciascuno dei suoi occhi una massa pollinica di
questa specie. In modo diverso le farfalle sono costrette a penetrare lateralmente nel nettarlo della
P. flava. Una sottile ma robusta prominenza si eleva dalla base del labello e si prolunga in alto e
all’indietro di modo che essa va quasi a toccare la colonnetta; e in tal guisa la farfalla è costretta di
40
()
Secondo il Dr. H. MÜLLER la Habenaria o Platanthera bifolia degli autori inglesi è la H. solstitialis di
Boenninghausen; egli è pienamente d’accordo con me nell’ammettere che essa sia da considerarsi come specificamente
diversa dalla P. chlorantha. Il Dr. Müller dice, che quest’ultima specie è collegata da una serie di forme intermedie con
un’altra forma, che in Germania è chiamata P. bifolia. Egli dà una descrizione dettagliata e assai interessante della
variabilità di queste tre forme di Platanthera e della loro struttura relativa al modo della fecondazione nelle: Verhandl.
d. Nat. Ver. der preuss. Rheil. und Westfal. Jahr. XXV, 3. Folge, Bd. 5, p. 36-38.
41
()
American Journal of Science, vol. XXXV, 1862, p. 143, 259 e 424 e vol. XXXVI, 1863, p. 292.
penetrare lateralmente e deve immancabilmente allontanare uno dei dischi. La P. hyperborea e
dilatata sono considerate da alcuni botanici come varietà di una stessa specie e il prof. Asa Gray
dice d’essere stato tentato altra volta a venire alla stessa conclusione; ma un attento esame gli
mostrò oltre altri caratteri anche una mirabile differenza fisiologica, e cioè che la P. dilatata
abbisogna, come le specie affini, del concorso degl’insetti e non può fecondarsi da sè, mentre nella
P. hyperborea le masse polliniche cadono fuori dalle logge dell’antera ordinariamente mentre i fiori
sono ancora giovani oppure racchiusi nella gemma, e possono in tal modo fecondare direttamente lo
stigma. Ciò nulla meno esistono ancora sempre le diverse particolarità di struttura favorevoli
all’incrociamento.
(
42
)
Il genere Bonatea è assai affine al genere Habenaria; esso comprende piante di singolare struttura.
La Bonatea speciosa, abitante il Capo di Buona Speranza, fu descritta accuratamente dal sig.
Trimen,
(
43
)
ma la sua struttura non può essere illustrata senza disegni. Essa è notevole per il modo
con cui le due faccie stigmatiche e i due dischi adesivi sporgono sul davanti del fiore, e per la
struttura complessa del labello, il quale consta di sei o probabilmente di nove parti diverse tutte fuse
assieme. Come nella Platanthera flava, esiste alla base del labello un’appendice, la quale obbliga le
farfalle a penetrare nei fiori lateralmente. Il nettario non contiene, secondo Trimen e I. Mansel
Weale, nettare libero; ma quest’ultimo crede, che il tessuto di cui è formato abbia un sapore gradito,
e che probabilmente le farfalle lo perforino a cagione del fluido intercellulare. Le masse polliniche
hanno una lunghezza straordinaria e allorchè sono allontanate dai loro ricettacoli pendono all’ingiù
pel solo peso del polline e fissate al capo d’un insetto sarebbero nella posizione opportuna per
attaccarsi allo stigma. Il sig. Weale ha pure descritto parecchie altre specie dell’Africa del Sud
appartenenti al genere Bonatea.
(
44
)
Queste differiscono dalla B. speciosa in ciò che i loro nettarii
sono pieni di nettare. Egli trovò una piccola farfalla, Pyrgus elmo, «completamente paralizzata per il
gran numero di masse polliniche di questa Bonatea, aderenti al suo sterno». Non ci fa noto però, se
lo sterno era nudo oppure coperto di squamme.
I generi dell’Africa del Sud Disa e Disperis son collocati da Lindley in due sottogruppi delle
Ophrydeæ. I magnifici fiori di Disa grandiflora furono descritti e designati dal sig. Trimen.
(
45
)
I
sepali posteriori sono trasformati in luogo del labello in un ampio nettario. Per raggiungere il
copioso deposito di nettare, gl’insetti devono introdurre la loro proboscide da uno dei lati della
colonnetta; e con questo fatto si collega quell’altro, che i dischi adesivi hanno subìto una grande
torsione all’esterno. Le masse polliniche sono curvate e si abbassano, allorchè sono allontanate, in
virtù del proprio peso, di modo che non è necessario alcun movimento per portarle nella posizione
opportuna. Se si tien conto del copioso deposito di nettare e della circostanza che i fiori sono assai
appariscenti, riesce meraviglioso, che essi sieno visitati tanto parcamente dagli insetti. Il sig. Trimen
mi scriveva nell’anno 1864, che egli aveva esaminato di recente settantotto fiori, e solo dodici di
essi avevano perduto una o tutte due le masse polliniche, e cinque soli avevano del polline sui loro
stigmi. Egli ignora quali insetti visitino occasionalmente quei fiori; ma il sig. Barber ha osservato
ripetutamente una grande mosca affine al genere Bombylius, la quale portava alla base della sua
proboscide le masse polliniche di Disa polygnoides. Il signor Weale dice,
(
46
)
che la D. macrantha
differisce dalla D. grandiflora e cornuta in ciò, che essa produce grande copia di semi e per la sua
frequente autofecondazione. Questa avviene col mezzo «d’un leggero movimento elaterico, il quale
è sufficiente nell’epoca della completa antesi del fiore a scuotere le masse polliniche dalle logge
dell’antera ampiamente aperte e a farle cadere sullo stigma. Questo caso non è tanto raro in natura,
poichè ho osservato molti fiori fecondati a questo modo». Egli non dubita però che i fiori possano
essere visitati e fecondati per incrociamento da insetti notturni. Ed aggiunge, che la rara
fecondazione della D. grandiflora col mezzo degli insetti è un fatto analogo a quello della Ophrys
muscifera, mentre la D. macrantha, che spesso si feconda da sè, corrisponde da vicino alla Ophrys
42
()
Il sig. MANSEL WEALE ha descritto il processo della fecondazione di due specie di Habenaria dell’Africa del Sud; una
di queste specie è notabile, perchè le masse polliniche non eseguiscono alcun movimento o cambiamento di posizione,
allorché sono allontanate dalle loro logge (Journal Linn. Soc. Bot., vol. XIII, 1871, p. 47).
43
()
Journ. Linn. Soc. Bot., vol. IX, 1865, p. 156.
44
()
(18) Journ. Linn. Soc. Bot., vol. X, 1866, p. 470.
45
()
(19) Journ. Linn. Soc. Bot., vol. VII, 1863, p. 144.
46
()
(20) Journ. Linn. Soc. Bot., vol. XIII, 1871, p. 45.
apifera; sembra tuttavia che questa ultima specie si fecondi sempre e senza eccezione da sè.
Infine il sig. Weale
(
47
)
ha descritto, per quanto lo potè interpretare, il processo di fecondazione di
una Disperis mediante l’intervento degli insetti. È degno di nota il fatto, che il labello e due petali
laterali di questa pianta secernono nettare.
E qui abbiamo finito colle Ophrydeæ. Prima però di passare al gruppo seguente, mi piace ricordare i
fatti più importanti relativi ai movimenti delle masse polliniche, i quali tutti dipendono dalla
contrazione esattamente regolata della piccola porzione membranosa (congiunta al tamburo nella
Habenaria), che giace fra lo strato vischioso e l’estremità del picciuolo. In alcuni pochi casi però i
picciuoli non eseguiscono alcun movimento dopo il loro allontanamento dalle logge, poiché il peso
delle masse polliniche è sufficiente ad abbassarle fino al livello opportuno, come in alcune specie di
Disa e Bonatea. Nel maggior numero delle specie di Orchis lo stigma è collocato in linea retta al
disotto delle logge dell’antera e le masse polliniche si abbassano semplicemente in modo verticale.
Nella Orchis pyramidalis esistono due stigmi laterali ed inferiori, e le masse polliniche si curvano
all’ingiù e all’infuori divergendo ad angolo retto, per poter così fecondare i due stigmi laterali. Nella
Gymnadenia le masse polliniche si muovono solamente verso il basso e vengono adattate alla
fecondazione dello stigma mediante la loro aderenza alle faccie laterali – superiori della proboscide
delle farfalle. Nella Nigritella si muovono verso l’alto; ma questo dipende solo dal fatto che si
attaccano ai lati inferiori della proboscide. Nella Habenaria lo stigma è inferiore e collocato fra le
due logge dell’antera che sono assai distanti fra loro, e qui le masse polliniche convergono, invece
di divergere come nella Orchis pyramidalis, e si muovono contemporaneamente all’ingiù. Un poeta
potrebbe immaginare, che le masse polliniche, portate attraverso l’aria e di fiore in fiore mentre
sono fissate al curpo di una farfalla, si portino volontariamente ed accuratamente in quella
posizione, nella quale soltanto sperano di realizzare i loro desiderii e di propagare la specie.
Capitolo III.
ARETHUSEÆ
Cephalanthera grandiflora; il rostello è abortito; penetrazione temporanea dei tubi pollinici caso di
autofecondazione imperfetta; fecondazione incrociata col mezzo degli insetti che rodono il labello.
Cephalanthera ensifolia. – Pogonia. – Pterostylis e altre orchidee dell’Australia, il di cui labello è
sensibile al contatto. – Vanilla. – Sobralia.
Cephalanthera grandiflora. – Questa orchidea è degna di nota perché è priva di rostello, il quale è
un carattere così altamente importante di questo ordine. Lo stigma è grande e l’antera sta sopra di
esso. Il polline è estremamente incoerente e si attacca facilmente a qualunque oggetto. I granelli
sono collegati assieme da scarsi e deboli filamenti elastici; ma non sono cementati insieme, come in
quasi tutte le altre orchidee, in modo da formare grani composti.
(
48
)
In quest’ultima particolarità e
nella completa mancanza del rostello abbiamo una prova di degradazione; la Cephalanthera mi
sembra essere una Epipactis degradata, un membro delle Neotiieæ che descriveremo nel prossimo
capitolo.
L’antera si apre mentre ancora il fiore è nella gemma ed emette una parte del polline, il quale si
dispone in due colonne quasi libere, ciascuna delle quali è divisa longitudinalmente in due parti
quasi eguali. Queste colonne bipartite si appoggiano contro lo stigma o ne sorpassano il margine
superiore quadrangolare il quale raggiunge il terzo circa della loro altezza (vedi il prospetto B e il
prospetto C nella fig. 13). Mentre i fiori sono ancora racchiusi nella gemma, i granelli pollinici
appoggiati al margine superiore acuto nello stigma (ma non quelli delle porzioni superiore od
inferiore della massa) emettono una quantità di tubi pollinici, i quali penetrano profondamente entro
il tessuto stimmatico. Dopo questo periodo lo stigma si piega un po’ all’innanzi e il risultato si è che
le due colonne di polline incoerente vengono trascinate un po’ all’innanzi e quasi del tutto cavate
fuori dalle logge dell’antera, essendo legate al margine dello stigma e sostenute dai tubi pollinici
penetrati nel tessuto. Senza questo sostegno le colonne cadrebbero prestamente.
ll fiore è eretto e la porzione inferiore del labello è parallela alla colonnetta (fig. A) e rivolta verso
47
()
(21) Journ. Linn. Soc. Bot., vol. XIII, 1871, p. 42.
48
()
Questa incoerenza dei granuli fu osservata da BAUER e dallo stesso rappresentata nella tavola pubblicata nelle
magnifiche Illustrations of Orchidaceous Plants di Lindley.
l’alto. Gli apici dei petali laterali non si separano mai l’uno dall’altro,
(
49
)
così che le colonne
polliniche sono difese contro il vento, e preservate dalla caduta in causa del proprio peso essendo il
fiore in posizione eretta. Questi punti sono di grande importanza per la pianta, poichè, se fosse
altrimenti, il polline sarebbe portato via dal vento o cadrebbe in basso e così andrebbe inutilmente a
disperdersi. Il labello è formato di due parti; allorchè il fiore è maturo, la piccola porzione estrema
triangolare e libera di esso si curva ad angolo retto verso la parte basilare, offrendo così un piccolo
posto alla stazione degli insetti, davanti all’ingresso triangolare collocato circa a mezza altezza del
fiore che è quasi tubuloso. Breve tempo dopo avvenuta la fecondazione del fiore, si solleva la
piccola porzione terminale del labello e chiude la porta triangolare, nascondendo di nuovo
completamente gli organi riproduttivi.
Fig. 13. – CEPHALANTHERA GRANDIFLORA.
a. antera; nella vista prospettiva B si vedono le due logge col polline che
racchiudono – o. una delle due antere rudimentali laterali o orecchiette – p.
masse polliniche – s. stigma l. estremità del labello.
A. Fiore completo nella pienezza dell’antesi visto obliquamente.
B. Colonnetta vista di prospetto; tutti i sepali e i petali sono asportati.
C. Colonnetta vista lateralmente; tutti i sepali e i petali sono asportati; le
piccole colonne di polline (p) fra l’antera e lo stigma sono visibili.
Io non potei mai trovare, quantunque spesso abbia cercato, la più piccola traccia di nèttare nel calice
del labello. La porzione terminale di esso è resa aspra da papille sferiche di colore aranciato, e
nell’interno del calice vi sono parecchie liste lunghe e pieghettate di un colore aranciato scuro.
Queste liste sono spesso corrose da un qualche animale, ed io ho trovato dei minuti avanzi di questo
rodimento giacenti sulla base del calice. Nell’estate dell’anno 1862 questi fiori furono visitati più
parcamente che d’ordinario dagli insetti, come era dimostrato dallo stato illeso delle masse
polliniche; tuttavia avendo esaminato un giorno diciassette fiori, cinque avevano le loro coste o liste
corrose, e nel giorno appresso di nove altri fiori sette si trovavano allo stesso stato. Non avendo
potuto osservare alcuna traccia di muco, non credo che essi sieno stati visitati da lumache, ma
ignoro se siano stati corrosi da insetti alati, i soli che sarebbero attivi nella fecondazione incrociata.
Le coste avevano lo stesso sapore del labello di certe Vandee, nelle quali questa parte (come più
tardi vedremo) è spesso corrosa dagli insetti. La Cephalanthera è la sola orchidea inglese, per
quanto giungono le mie osservazioni, la quale attiri gli insetti offrendo loro un alimento solido.
La penetrazione di buona copia di tubi pollinici entro lo stigma, che si verifica per tempo e che
avviene fino a grande profondità dentro il tessuto stigmatico, ci presenta evidentemente un altro
caso di costante autofecondazione, simile a quello della Ophrys apifera. Questo fatto mi meravigliò
assai e mi rivolsi la seguente domanda: perché la porzione estrema e libera del labello si apre per un
brevissimo spazio di tempo? a che cosa serve la grande massa di polline che sta sotto e sopra quello
strato di granuli, i di cui tubi soltanto penetrano nel margine superiore dello stigma? Lo stigma ha
un’ampia superficie piana e vischiosa, e durante parecchi anni ho osservato quasi senza eccezione
delle masse polliniche ad essa aderenti, e le colonne friabili per una qualche ragione rovesciate. Mi
venne l’idea, che, quantunque i fiori sieno eretti, e le colonne sieno difese dal vento, le masse
polliniche però alla fine potessero rompersi pel loro peso, piegarsi all’innanzi ed eseguire in tal
modo l’atto della autofecondazione. In seguito a ciò coprii una pianta fornita di quattro gemme con
una rete, e esaminai i fiori subito dopo che erano appassiti; i larghi stigmi di tre di essi erano
perfettamente liberi di polline, ma nel quarto ne era caduta una piccola porzione su un suo angolo.
Ad eccezione dell’apice di una colonna di uno di questi fiori, tutte le altre colonne se ne stavano
ancora erette e non rovesciate. Osservai poscia i fiori di alcune piante circostanti e trovai dovunque,
come molte altre volte prima, colonne rovesciate e masse polliniche sugli stigmi.
Dallo stato ordinario delle colonne polliniche, come anche dalla natura delle corrosioni delle
costole del labello, si può conchiudere con sicurezza che insetti di qualche specie visitano i fiori,
smuovono il polline e ne lasciano cadere delle porzioni sugli stigmi. Da ciò possiamo vedere, che
l’abbassamento della porzione distale del labello, in causa del quale si forma una stazione
temporanea ed una porta aperta, – il labello rivolto verso l’alto così che il fiore diventa tubuloso ciò
49
()
BAUER disegna i fiori assai più spiegati di quello che lo siano nella presente figura; io posso dire solo che non li ho
mai visti in quello stato.
che costringe gli insetti a scivolare assai vicino alla faccia stirnmatica, il polline che facilmente
aderisce a qualunque oggetto e riunito in colonne caduche, difese contro il vento, e finalmente le
grandi masse di polline che stanno sopra e sotto quello strato di granelli, i di cui tubi soltanto
penetrano nel margine dello stigma, tutte queste particolarità, che stanno in stretto nesso fra loro,
sono ben lontane dall’essere inutili, come difatti lo sarebbero, se questi fiori si fecondassero
costantemente da sè.
Allo scopo di esperimentare fino a qual punto la penetrazione dei tubi dei granelli pollinici entro il
margine superiore stimmatico, presso cui giacciono, sia attiva rispetto alla fecondazione, coprii una
pianta immediatamente prima dell’antesi dei suoi fiori, e ne allontanai la rete, appena che apparve
un principio di appassimento. I quattro fiori coperti produssero frutti, i quali all’aspetto erano così
perfetti come qualunque altro delle piante circonvicine. Allorchè furono maturi li raccolsi, e raccolsi
pure i frutti di parecchie piante circostanti cresciute nelle stesse circostanze e ne pesai i semi in una
bilancia chimica. I semi di quattro frutti appartenenti a piante scoperte pesarono gr. 1,5; mentre
quelli di altrettanti frutti appartenenti alle piante coperte non diedero che il peso di grammi 1.
Questo fatto però non serve a dare una giusta idea delle differenze relative di fecondità, poichè
osservai che un gran numero di semi derivanti dalle piante che furono coperte erano formati da
piccoli gusci contratti; e per ciò mescolai bene i semi e ne presi quattro piccole porzioni da un
mucchio e quattro piccole porzioni dall’altro e li esaminai, dopo averli rammolliti nell’acqua, sotto
il microscopio: fra quaranta semi derivanti dalle piante scoperte solo quattro erano cattivi, mentre su
quaranta di quelli appartenenti alle piante coperte ne trovai almeno ventisette di cattivi; così che
dalle piante coperte fu prodotta una quantità di semi cattivi quasi sette volte maggiore di quella
prodotta dalle piante a cui fu lasciato libero l’accesso agli insetti.
Noi possiamo conchiudere da ciò, che questa orchidea, sebbene incompletamente, si fecondi
continuamente da sè; la quale autofecondazione sarebbe assai utile alla pianta, quando gli insetti
mancassero di visitare i fiori. La penetrazione dei tubi pollinici è però evidentemente di un’utilità
ben maggiore, poichè è con questo mezzo che le colonne polliniche vengono trattenute al loro posto
conveniente affinché gli insetti che visitano i fiori vengano coperti di polline. Anche
l’autofecondazione può forse essere favorita dall’intervento degli insetti, portando questi il polline
dello stesso fiore sullo stigma; ma un insetto carico di polline potrebbe difficilmente evitare di
incrociare i fiori di altre piante. Dalla relativa disposizione delle parti sembra diffatti più probabile
(ma io ho trascurato di esperimentare col mezzo dell’allontanamento delle antere, se venga portato
polline di altri fiori sullo stigma), che un insetto venga coperto del polline piuttosto nell’uscire dal
fiore che nell’entrare in esso, e questo fatto renderebbe naturalmente più facile un incrociamento fra
i diversi individui. Per conseguenza la Cephalanthera presenta solo una parziale eccezione alla
regola, che i fiori delle orchidee sono ordinariamente fecondati dal polline di un’altra pianta.
Cephalanthera ensifolia. – Secondo Delpino
(
50
)
i fiori di questa specie vengono visitati dagli
insetti, il qual fatto è pure dimostrato dall’allontanamento delle masse polliniche. Egli crede che ciò
avvenga prevalentemente perché il loro corpo, in causa della secrezione dello stigma, diventa
vischioso. Non è chiaro, se i fiori si fecondino anche da sè. Ciascuna massa pollinica, invece di
essere molteplicemente divisa alla superficie, presenta solo due metà, di modo che esistono quattro
distinte masse polliniche.
Pogonia ophioglossoides. – I fiori di questa pianta, che è indigena degli Stati Uniti, somigliano,
come li ha descritti il sig. Scudder,
(
51
)
a quelli di Cephalanthera, poiché sono privi di rostello, e le
loro masse polliniche non sono fornite di picciuolo. Il seme consta di granelli polverosi non
collegati da filamenti. L’autofecondazione sembra essere rigorosamente evitata, e i fiori delle
diverse piante devono incrociarsi fra loro, poiché ogni pianta porta di solito un unico fiore.
Pterostylis trullifolia e longifolia. – Ricorderò qui alcune orchidee dell’Australia e della Nuova
Zelanda, le quali da Lindley sono comprese nella stessa famiglia delle Arethusæ assieme ai generi
Cephalanthera e Pogonia e che sono ammirabili per la straordinaria sensibilità e irritabilità del
labello. Due petali e uno dei sepali formano una cuffia che racchiude la colonnetta, come si può
vedere in A nella annessa figura di Pterostylis longifolia.
La porzione distale del labello offre agli insetti una stazione quasi nello stesso modo come osservasi
50
()
Ult. Osservazioni sulla Dicogamia, parte II, 1875, p. 149.
51
()
Proc. Boston. Soc. Nat. Hist., vol. IX, 1863, p. 182.
nel genere Cephalanthera; ma appena che quest’organo venga toccato, scatta verso l’alto e porta
seco l’insetto che vi sta sopra, di modo che questo vien talvolta catturato entro il fiore perfettamente
chiuso.
Fig. 14. — PTEROSTYLIS LONGIFOLIA
(Tolta da Australian Orchids di R.D. Fitzgerald).
A. Fiore allo stato naturale; si scorge nell’interno il contorno della colonnetta.
B. Fiore da cui fu allontanato il petalo che sta di fronte all’osservatore; si può
vedere la colonnetta coi suoi due scudi e il labello nella posizione che
prende dopo un contatto.
Il labello resta chiuso da mezz’ora fino ad un’ora e mezza, e riaperto è di nuovo sensibile ad ogni
contatto. Ai due lati della porzione superiore della colonnetta si trovano due scudi membranosi; i
loro margini si congiungono sul davanti come si vede nella figura B. In questa figura il petalo del
lato che sta di fronte all’osservatore è asportato, e il labello è rappresentato nella posizione che
assume dopo un contatto. Appena che il labello si è in tal modo sollevato, un insetto che sia stato
racchiuso non può sfuggire che per lo stretto canale formato dalle prominenze degli scudi. Dovendo
uscirne in tal modo non può evitare di trasportar seco le masse polliniche, poiché il suo corpo, prima
di venir in contatto con esse, fu coperto dalla sostanza vischiosa del rostello. Se questo insetto vien
preso in un altro fiore e ne esce di nuovo per la stessa via, dovrà quasi certamente lasciare almeno
una delle masse polliniche sullo stigma vischioso e così feconderà il fiore.
Tutto quel che fu detto fin qui è preso dalla bella ed esatta descrizione di Pterostylis trullifolia fatta
dal signor Cheeseman,
(
52
)
ma io ho copiato la figura di P. longifolia dalla grande opera del sig.
Fitzgerald sulle orchidee dell’Australia, poiché essa dimostra più chiaramente i rapporti reciproci
delle parti fra loro.
Il sig. Cheeseman introdusse degli insetti in parecchi fiori di P. trullifolia e osservò che essi
nell’uscirne portavano ordinariamente aderenti al loro dorso delle masse polliniche. Egli dimostrò
pure il significato dell’irritabilità del labello, coll’allontanarlo da dodici fiori mentre erano ancora
giovani; e così facendo gl’insetti che entravano nei fiori non erano costretti ad uscirne per quella
via, e nessuno di questi fiori produsse neppure un frutto. I fiori sembrano essere esclusivamente
visitati da ditteri; quale attrattiva essi abbiano, è ignoto, poiché non secernono nèttare. Il signor
Cheeseman crede che appena la quarta parte dei fiori producano cassule, quantunque egli stesso,
avendo una volta esaminato 110 fiori appassiti, ne avesse trovato settantuno che avevano polline sui
loro stigmi e solo ventotto possedessero ancora tutte quattro le masse polliniche entro le antere.
Tutte le specie della Nuova Zelanda portano fiori singoli, così che deve avvenire un incrociamento
tra piante diverse. Aggiungo ancora, che il sig. Fitzgerald collocò anche un piccolo coleottero sul
labello di P. Longifolia, il quale fu istantaneamente trasportato entro il fiore e dentro racchiuso; più
tardi egli osservò come esso ne sia uscito con due masse polliniche sul dorso. Ad onta di ciò, egli
dubita, per motivi che a me sembrano affatto insufficienti, che la sensibilità del labello costituisca
per la pianta un vantaggio altrettanto grande del danno.
Il sig. Fitzgerald ha descritto un’altra orchidea appartenente allo stesso sottogruppo, la Caladenia
dimorpha, la quale possiede un labello irritabile. Egli tenne una pianta nella sua stanza, e dice: «una
mosca che andò a posarsi sul suo labello fu portata dallo scattare di questo presso la colonnetta e là
inviluppata nella vischiosità dello stigma; negli sforzi fatti per sfuggire asportò il polline dell’antera
e lo depose sullo stigma». Egli aggiunge, che le specie di questo genere senza un simile aiuto «non
portano mai semi». Ma per l’analogia con altre orchidee possiamo essere sicuri che gl’insetti di
solito operano in modo affatto diverso da quello della mosca accalappiata dallo stigma, e
trasportano senza dubbio polline da una pianta all’altra. Il labello di un altro genere australiano
appartenente all’Arethuseæ, Calæna, è ritenuto come irritabile dal dott. Hooker,
(
53
)
così che esso per
il contatto d’un insetto si chiude istantaneamente contro la colonnetta a racchiude talvolta la sua
preda come in una scatola. Il labello è coperto di singolari papille, le quali, per quanto consta dalle
osservazioni del sig. Fitzgerald, non vengono rosicchiate dagl’insetti.
Il sig. Fitzgerald ha descritto parecchie altre specie ancora, e riguardo all’Acianthus fornicatus ed
exsertus ha constatato, che nessuna di queste due specie produce semi quando sia impedita la visita
52
()
Transact. New Zealand Institute, vol. V, 1873, p. 352 e vol. VII, p. 351.
53
()
Flora of Tasmania, vol. II, p. 17.
degli insetti, ma sono facilmente fecondate se vien portato del polline sui loro stigmi. Il sig.
Cheeseman
(
54
)
ha osservato la fecondazione di Acianthus Sinclairii della Nuova Zelanda, i di cui
fiori sono costantemente visitati dai ditteri, senza l’aiuto dei quali le masse polliniche non
verrebbero trasportate. Di ottantasette fiori portati da quattordici piante non meno di settantuno
portarono frutti a maturità. Secondo lo stesso osservatore, presenta questa pianta una particolarità
mirabile, vale a dire che le masse polliniche col mezzo dell’emissione dei tubi pollinici, i quali
fanno l’ufficio di picciuoli, vengono fissate al rostello, e in tal modo dagl’insetti che visitano i fiori
vengono asportate le masse polliniche assieme al rostello vischioso. I fiori del genere affine
Cyrtostylis sono pure frequentemente visitati dagl’insetti, ma le masse polliniche di essi non
vengono asportate tanto regolarmente come quelle di Acianthus; e fra 200 fiori di Corysanthes solo
cinque portarono frutti.
Le Vanillidæ formano, secondo Lindley, una sottotribù delle Arethuseæ. I fiori grandi e tubulosi di
Vanilla aromatica sono evidentemente accomodati alla fecondazione coll’intervento degl’insetti; ed
è noto che questa pianta coltivata in regioni straniere, per es. a Borbone, Tahiti e nelle Indie
Orientali, non produce neppur una delle sue silique aromatiche, se non quando venga fecondata
artificialmente. Questo fatto dimostra, che un qualche insetto della sua patria americana è adattato
particolarmente a questo lavoro; e che gl’insetti delle regioni tropiche sopraccennate, in cui vive la
Vanilla, o non visitano i fiori, quantunque secernino grande copia di nettare, oppure non li visitano
nel modo dovuto.
(
55
)
Voglio far menzione di due altre particolarità di struttura dei fiori: la porzione
anteriore delle masse polliniche è semi-cerosa e la posteriore un po’ friabile; i granelli non sono
cementati in masse, e non sono tenuti assieme da sottili filamenti elastici, ma da sostanza vischiosa;
quest’ultima potrebbe contribuire a fissare il polline sull’insetto, ma io avrei pensato essere
superfluo un simile aiuto, poichè il rostello è assai bene sviluppato. La seconda particolarità è, che il
labello è fornito nella sua parte anteriore, un po’ al disotto dello stigma, di un pennello rigido ed
articolato, formato da una serie di pettini diretti in basso e sovrapposti gli uni agli altri. Questa
particolarità di struttura permetterà all’insetto d’introdursi facilmente entro il fiore e lo costringe
nell’uscire a tenersi assai vicino alla colonnetta e ad allontanare così le masse polliniche e a lasciarle
sullo stigma del primo fiore da lui posteriormente visitato.
Il genere Sobralia è affine a Vanilla, e il sig. Cavendish Browne mi fa sapere che egli nella sua serra
ha osservato un grosso pecchione penetrare nei fiori di S. macrantha; e allorchè ne usciva le due
grandi masse polliniche erano fissate al suo dorso più presso alla coda che al capo. Il pecchione si
guardò attorno e non avendo osservato nessun altro fiore, rientrò nello stesso fiore di Sobralia, ma
si ritirò ben presto, dopo aver lasciato le due masse polliniche sullo stigma, e i soli dischi adesivi
restarono ancora fissi sul suo dorso. Il nèttare di questa orchidea di Guatemala sembra essere troppo
forte per il nostro pecchione inglese; poichè esso distese le zampe e giacque un momento come
morto sul labello, ma poscia si riebbe.
Capitolo IV.
NEOTTHIEæ
Epipactis palustris; forma singolare del labello e sua importanza nella fecondazione del fiore. – Altre specie di
Epipactis. – Epipogium. – Goodyera repens. – Spiranthes autumnalis; adattamento perfetto, in forza del quale il polline
di un fiore più giovane viene portato sullo stigma d’un fiore più adulto d’un’altra pianta. – Listera ovata; sensibilità del
rostello; esplosione della sostanza vischiosa; attività degli insetti; adattamento perfetto dei diversi organi. – Listera
cordata. – Neottia nidus-avis, la di cui fecondazione è eseguita nello stesso modo che nella Listera. – Thelymitra, sua
autofecondazione.
Noi siamo ora arrivati ad un terzo gruppo, alle Neottieæ di Lindley, il quale comprende parecchie
specie inglesi. Queste presentano riguardo alla loro struttura e modo di fecondazione parecchi punti
54
()
Transact. New Zealand Institute, vol. II, 1875, p. 349.
55
()
Riguardo a Borbone vedi Bull. Soc. Bot. de France, tom. I, 1854, p. 290; rispetto a Tahiti v. H.A. TILLEY, Japan, the
Amour, ecc. 1861, p. 375; quanto alle Indie Orientali, vedi MORREN in Ann. and Mag. of Nat. Hist., 1839, vol. III, p. 6.
Voglio far menzione di un caso analogo ma ancor più evidente riferito dal sig. Fitzgerald; questi dice «che Sarcochilus
parviflorus (una Vandea) porta non di rado frutti nelle Montagne Azzurre della Nuova Galles meridionale; ora un certo
numero di queste piante di là trasportate a Sydney, abbandonate a se stesse non produssero neppure un seme,
quantunque avessero portato buona copia di fiori, e mentre furono tutte feconde quelle le di cui masse polliniche
vennero allontanate e portate sullo stigma». E tuttavia le Montagne Azzurre sono distanti appena 100 miglia da Sydney.
interessanti.
Le Neottiee hanno un’antera libera collocata dietro lo stigma; i loro granelli pollinici sono collegati
da sottili filamenti elastici parzialmente saldati fra loro, prominenti all’estremità superiore delle
masse polliniche e (salvo poche eccezioni) fissati al dorso del rostello. Per conseguenza le masse
polliniche non hanno veri e distinti picciuoli. Solo in un genere (Goodyera) i granelli pollinici sono
riuniti in pacchi come nel genere Orchis. Epipactis e Goodyera concordano rispetto alla
fecondazione assai esattamente colle Ophrydee, ma presentano una più semplice organizzazione.
Spiranthes appartiene alla stessa categoria, ma è diversamente modificata sotto varii rapporti.
Epipactis palustris.
(
56
)
– La parte inferiore del grande stigma è biloba e si protende oltre la
colonnetta (vedi s in C e D, fig. 15). Sul suo apice quadrangolare giace un unico rostello quasi
sferico. La faccia anteriore del rostello (C. r, D. r) sorpassa alquanto la superficie della porzione
superiore dello stigma; e ciò è molto importante. Nella giovine gemma il rostello è formata d’una
massa friabile di cellule a superficie esterna aspra; queste cellule superficiali subiscono però durante
il loro sviluppo profonde modificazioni, poiché si trasformano in una membrana molle, liscia e assai
elastica o in un tessuto così straordinariamente molle che può essere attraversato da un capello
umano. Se esso viene in tal modo perforato oppure strofinato leggermente, la sua superficie diventa
lattea e debolmente vischiosa, di modo che i granelli pollinici vi restano attaccati. Talvolta sembra
diventare lattiginosa e vischiosa anche la superficie del rostello senza essere toccata, come più
chiaramente fu da me osservato nella Ep. latifolia. Questa membrana esterna molle ed elastica
forma una cappa per il rostello ed è rivestita internamente da uno strato di natura assai più vischiosa,
il quale esposto all’aria s’indurisce nell’intervallo di cinque a dieci minuti. Se essa viene
leggermente strofinata dal basso all’alto e viceversa da un corpo, l’intiera cappa assieme al suo
rivestimento vischioso viene assai facilmente allontanata, di modo che rimane addietro sul vertice
dello stigma solo un piccolo rudimento quadrangolare, la base del rostello.
Fig. 15. — EPIPACTIS PALUSTRIS.
a. antera colle due logge aperte, nel prospetto D – a’. antera rudimentale o
appendice auricolare, ricordata in un capitolo precedente – r. rostello – s.
stigma – l. labello.
A. Fiore visto lateralmente nella sua posizione naturale; i sepali inferiori sono
asportati.
B. Fiore visto lateralmente; la porzione distale del labello è abbassata come
pel peso d’un insetto.
C. Fiore visto lateralmente, alquanto ingrandito; tutti i sepali e i petali sono
asportati ad eccezione del labello, di cui fu levata la porzione rivolta verso
lo spettatore; si vede che l’antera è di considerevole grandezza.
D. Colonnetta vista anteriormente, alquanto ingrandita; i sepali e i petali sono
allontanati: il rostello è un po’ troppo abbassato nel disegno e deve stare
un po’ più in alto in modo da coprire maggiormente le logge dell’antera.
Entro la gemma l’antera affatto libera si estende dietro il rostello e lo stigma; si apre nel senso della
sua lunghezza prima che i fiori sieno completamente sbocciati e mette in libertà le due masse
polliniche ovali che se ne stanno d’allora in poi affatto libere nelle loro logge. Il polline consta di
granelli sferici saldati a quattro a quattro, senza che però la loro forma sia dal contatto modificata; e
questi granelli composti sono tenuti assieme da filamenti sottili ed elastici. I filamenti riuniti in fasci
si estendono lungo la linea mediana sulla faccia anteriore di ciascuna massa pollinica, là dove essa
viene a contatto col dorso della porzione superiore del labello. In causa del grande numero di questi
filamenti la linea mediana apparisce bruna e ciascuna massa pollinica sembra aver la tendenza a
dividersi qui longitudinalmente in due metà laterali. Per tutti questi rapporti le masse polliniche
hanno nel complesso una grande somiglianza con quelle delle Ophrydee.
La linea, ove i filamenti paralleli sono più numerosi, è quella della massima compattezza, mentre in
altri punti le masse polliniche sono assai fragili, cosicché se ne possono staccare grosse porzioni.
Entro la gemma il rostello è alquanto curvato all’indietro e viene premuto contro l’antera
recentemente aperta, ed i fasci di filamenti sopra cennati, che sono alquanto prominenti, vengono
fissati fortemente ai lobi posteriori della cappa membranosa del rostello. Il punto di aderenza è
56
()
Esprimo la mia obbligazione al sig. A.G. More di Bembridge nell’isola Wight, per avermi inviato ripetutamente
esemplari freschi di questa orchidea.
alquanto inferiore al vertice delle masse polliniche; il punto preciso è però un poco variabile; poiché
io ho trovato degli esemplari in cui il punto di aderenza dista un quinto della lunghezza delle masse
polliniche dal loro vertice. Questa variabilità è interessante in quanto che è un anello di
congiunzione alla struttura delle Ophrydee, presso le quali i filamenti fusi assieme o picciuoli hanno
origine costantemente dalle estremità inferiori delle masse polliniche. Dopo che le masse polliniche
si sono fissate fortemente col mezzo dei loro filamenti al dorso del rostello, questo si curva un poco
in avanti e per conseguenza le masse polliniche sono trascinate parzialmente fuori delle loro logge.
L’estremità superiore dell’antera è formata di un apice ottuso, solido e privo di polline; questo apice
ottuso sorpassa alquanto la superficie anteriore del rostello, la qual cosa, come vedremo, è
importante.
I fiori sono a un dipresso orizzontali sull’asse (fig. A). Il labello ha una forma tutta speciale, come si
può vedere dai disegni; la metà terminale, che sopravanza gli altri petali e che offre agl’insetti
un’ottima stazione, è congiunta colla metà basale col mezzo di una stretta articolazione, e
naturalmente alquanto piegata verso l’alto, così che i suoi margini passano in quelli della metà
basilare (fig. A). L’articolazione è tanto pieghevole ed elastica, che basta il peso d’una mosca, come
mi fa noto il sig. More, per abbassarne l’estremità; nella fig. B è rappresentato questo stato; ma se il
peso viene di nuovo allontanato essa ritorna immediatamente nella sua posizione primitiva (fig. A),
e chiude in parte colle sue speciali costole mediane l’ingresso nel fiore. La parte basilare del labello
rappresenta un nappo, il quale a tempo opportuno è ripieno di nettare.
Passiamo ora a vedere, come funzionino assieme tutte queste parti, che io dovetti descrivere nei loro
dettagli. Allorché esaminai per la prima volta questi fiori, rimasi profondamente sorpreso; poiché,
percorrendo la stessa via, come avrei fatto in una vera orchidea, spinsi debolmente in basso il
rostello che subito si ruppe; una parte della sostanza vischiosa fu asportata con esso, ma le masse
polliniche rimasero nelle loro logge. Avendo poscia riflettuto sulla struttura del fiore, mi venne
l’idea, che un insetto, il quale entra in un fiore per succhiare il nettare, potesse abbassare la parte
terminale del labello e per conseguenza non toccare affatto il rostello, ma poi, quando una volta
fosse entro il fiore, si trovasse quasi obbligato ad andare in alto e ad uscirne in una linea parallela
allo stigma, in conseguenza della successiva erezione della porzione distale del labello. Io strofinai
quindi colle barbe di una penna e con altri oggetti analoghi il rostello facendoli scorrere leggermente
dal basso all’alto e viceversa; e si potè chiaramente vedere la cappa membranosa del rostello
staccarsi facilmente e adattarsi in virtù della sua elasticità a ciascun capo, qualunque fosse la sua
forma, e fissarsi poi ad esso fortemente in grazia della vischiosità della sua faccia inferiore. Assieme
alla cappa del rostello furono trascinate fuori anche le grandi masse polliniche ad essa aderenti col
mezzo dei filamenti elastici.
Tuttavia le masse polliniche furono asportate in un modo molto meno perfetto di quello che suole
avvenire naturalmente col mezzo degl’insetti. Io esperimentai su dozzine di fiori, ma sempre collo
stesso incompleto risultato. Mi venne quindi in mente, che un insetto, allorchè esce dal fiore,
dovesse urtare in un modo naturale con qualche parte del suo corpo contro l’apice ottuso e
prominente dell’antera, che si solleva al disopra della faccia stigmatica. Esperimentai quindi con un
pennello, in modo da urtare contro l’estremità ottusa e solida dell’antera (fig. C) strofinando con
esso dal basso verso l’alto il rostello; con tal mezzo riuscii a porre immediatamente in completa
libertà le masse polliniche, così da estrarle fuori illese. Finalmente compresi il meccanismo del
fiore.
La grande antera è collocata dietro e sopra lo stigma e forma con questo un angolo (fig. C), così che
le masse polliniche, quando vengono trasportate da un insetto, aderiscono al suo capo o al suo corpo
in una posizione tale che sia adatta a strofinare la faccia stigmatica discendente, ogni volta che un
altro fiore venga visitato. Da ciò deriva, che nè in questa come in nessun’altra Neottiea non avviene
quel movimento di abbassamento tanto comune nelle masse polliniche delle Ophrydeæ. Allorchè un
insetto s’introduce entro un altro fiore colle masse polliniche aderenti al capo o al dorso, ha
probabilmente una parte importante il leggero abbassamento della porzione distale del labello:
poiché le masse polliniche sono estremamente friabili, e se esse urtassero contro gli apici dei petali
andrebbe perduta gran parte di polline; ma in questo modo si prepara ad esse una via aperta, e il
primo oggetto contro cui naturalmente urtano le masse polliniche, che si protendono in avanti dal
capo o dal dorso dell’insetto, è lo stigma vischioso colle sue parti inferiori prominenti e collocate
sul davanti. Aggiungo ancora, che in un gran numero d’infiorescenze ho trovato che masse
polliniche erano state per la maggior parte allontanate in modo naturale e perfetto.
Per assicurarmi della esattezza del mio modo di vedere, vale a dire che l’estremità articolata del
labello è importante per la fecondazione dei fiori, ho pregato il sig. More ad asportare questa parte
da alcuni giovani fiori e di tenerli in osservazione. Egli fece questo esperimento su undici fiori e tre
di essi non portarono frutto; però questo può anche essere stato accidentale. Delle otto cassule
prodotte, due contenevano all’incirca tanti semi come quelle prodotte dai fiori illesi della stessa
pianta e sei di esse una quantità molto minore di semi. La maggior parte dei semi erano bene
sviluppati. Questi esperimenti appoggiano, sebbene scarsi, l’idea che la porzione terminale del
labello è importante, provvedendo affinchè gli insetti s’introducano e abbandonino i fiori nel modo
più adatto alla fecondazione.
Dopo la comparsa della prima edizione di questo libro, mio figlio Guglielmo ha esaminato per mio
conto questa Epipactis nell’isola Wight. Le api domestiche sembrano essere gli agenti principali
della fecondazione; poiché le vide visitare circa venti fiori, e sulla fronte di molte, direttamente
sopra le mandibole, trovò masse polliniche aderenti. Io aveva supposto, che gli insetti
s’introducessero sempre nell’interno dei fiori; ma le api sono troppo grandi a quest’uopo ed esse
pendono sempre, mentre succhiano il nettare dall’estremità articolata del labello, il quale in tal
modo viene abbassato. Essendo questa parte elastica e tendendo a risollevarsi, sembra che le api
nell’abbandonare i fiori volino verso l’alto; e ciò favorirebbe il completo trasporto delle masse
polliniche nel modo sopraccennato, precisamente come se gli insetti uscissero dai fiori nella
direzione dal basso all’alto. Forse il movimento all’in su non è in tutti i casi così necessario come io
aveva supposto; poiché, giudicando dal modo in cui le masse polliniche aderiscono alle api, è
appena ammissibile che la porzione posteriore del loro capo non venga compressa contro l’estremità
ottusa e solida dell’antera in modo da sollevarla così da render libere le masse polliniche. Diversi
altri insetti oltre le api visitano i fiori. Mio figlio potè osservare parecchi grossi ditteri (Sarcophaga
carnosa) volteggiare intorno ad essi; essi però non entravano dentro i fiori in un modo regolare ed
evidente, come le api; ad onta di ciò, furono viste delle masse polliniche aderire alla fronte di due di
essi. Parecchi altri ditteri minori (Cœlopa frigida) furono osservati entrare ed uscire dai fiori, e sulla
faccia dorsale del loro torace si videro aderire delle masse polliniche alquanto irregolarmente. Tre o
quattro diverse specie di Imenotteri (fra cui il Crabro brevis) visitarono pure i fiori, e tre di essi
furono visti ritornare con masse polliniche aderenti al loro dorso. Altri ditteri minori e coleotteri
furono veduti succhiare il nettare. È strano che alcuni degli insetti sunnominati visitino questi fiori;
poiché il sig. F. Walker mi fa sapere, che la Sarcophaga suol visitare sostanze animali in
putrefazione e la Cœlopa alghe marine e solo di rado si posa sui fiori. Il Crabro suole ancora far
incetta, come rni assicura il sig. F. Smith, di piccoli coleotteri (Haltica), che reca al suo nido. Egli è
del pari meraviglioso che, mentre si vedono tante specie di insetti visitare questa Epipactis, non si
sia mai osservato neppur un pecchione poggiarsi su uno di questi fiori; quantunque mio figlio abbia
tenuto d’occhio in tre occasioni e per parecchie ore centinaia di piante intorno a cui aleggiavano
numerosi pecchioni.
Epipactis latifolia. – Questa specie concorda nel maggior numero dei caratteri colla precedente. Il
rostello però si estende ancora più oltre la faccia anteriore dello stigma, e l’estremità ottusa
superiore dell’antera è meno prominente. La sostanza vischiosa che riveste la cappa elastica del
rostello abbisogna d’un tempo piuttosto lungo per disseccarsi. I petali e i sepali superiori sono più
ampiamente spiegati che nella E. palustris; la porzione distale del labello è più piccola e saldamente
collegata colla parte basilare (fig. 16), di modo che non è flessibile né elastica; essa serve
evidentemente solo di stazione agli insetti. La fecondazione di questa specie dipende semplicemente
da ciò, che un insetto strofini in direzione ascensiva e viceversa il rostello che è assai prominente,
ciò che dovrà fare ogni qualvolta, dopo aver succhiato il copioso nettare esistente nella cappa del
labello, voglia ritirarsi dal fiore. Non sembra essere affatto necessario che un insetto urti l’estremità
superiore ed ottusa dell’antera; almeno io trovai, che le masse polliniche possono essere facilmente
allontanate trascinando semplicemente la cappa del rostello in direzione ascensiva e discensiva.
Fig. 16. – EPIPACTIS LATIFOLIA.
(Profilo del fiore; tutti i sepali e i petali sono allontanati ad eccezione del
labello).
a. antera – r. rostello – s. stigmal. labello.
Poiché parecchie piante crescevano vicinissime alla mia casa, potei osservare qua e là il loro modo
di fecondazione durante parecchi anni. Quantunque numerose api e pecchioni appartenenti a molte
specie aleggiassero continuamente intorno a dette piante, non potei mai osservare un’ape nè nessun
dittero a visitarne i fiori; ma in Germania Sprengel ha catturato un dittero che portava sul suo dorso
masse polliniche di questa pianta. D’altro canto io ho osservato ripetutamente la vespa comune
(Vespa sylvestris) succhiare il nettare dal labello nappiforme aperto. Vidi così come l’atto della
fecondazione avvenisse per ciò che le vespe allontanando le masse polliniche, le portavano poi
aderenti alla loro fronte su altri fiori. Il sig. Oxenden mi fa pure sapere, che una grande ajuola di E.
purpurata (ritenuta da alcuni botanici come specie diversa e da altri solo come varietà) era stata
visitata da sciami di vespe. È molto strano che il dolce nettare di questa Epipactis non alletti
nessuna specie di api. Se in una qualche regione le vespe si estinguessero, succederebbe
probabilmente altrettanto della Epipactis latifolia.
Per dimostrare quanto attiva sia la fecondazione di questi fiori, voglio aggiungere che nell’anno
1860, che fu umido e freddo, furono esaminate da un mio amico in Sussex cinque infiorescenze
formate da ottantacinque fiori; cinquantatre di essi avevano perduto le loro masse polliniche e
trentadue le mantenevano al loro posto; ma poichè molti di questi ultimi stavano immediatamente
sotto le gemme, ne sarebbe certamente stato trasportato più tardi ancora un grande numero. Nel
Devonshire trovai una spica con nove fiori aperti, e tutte le masse polliniche ne erano state
allontanate, con una sola eccezione, dipendente da ciò che un dittero troppo piccolo per trasportare
le masse polliniche era restato appiccicato al rostello, dove era miseramente perito.
Il Dr. H. Müller ha pubblicato alcune interessanti osservazioni sulle diversità di struttura, sui modi
di fecondazione, come pure sulle forme intermedie di Epipactis rubiginosa, microphylla e
viridiflora.
(
57
)
Quest’ultima specie è notevole per la mancanza del rostello e per la sua regolare
autofecondazione. L’autofecondazione ha luogo in questa specie nel modo che segue: i granelli
pollinici incoerenti della porzione inferiore delle masse polliniche emettono dei tubi, i quali
penetrano nello stigma, mentre sono ancora dentro le logge dell’antera; questo avviene fin dentro la
gemma. Questa specie viene tuttavia probabilmente visitata dagli insetti e occasionalmente
incrociata; poiché il labello contiene nettare. La E. microphylla è nella sua struttura una forma
intermedia fra la E. latifolia che viene costantemente fecondata col mezzo degli insetti e la E.
viridiflora che non abbisogna necessariamente di un tale intervento. L’intera memoria del Dr. H.
Müller merita d’essere attentamente studiata.
Epipogium Gmelini. – Questa pianta, che fu trovata una sol volta nella Gran Bretagna, fu descritta
minutamente dal Dr. Rohrbach in un lavoro speciale.
(
58
)
La sua struttura e il suo modo di
fecondazione è in molti punti come nell’Epipactis, col quale genere è dallo stesso autore ritenuta
assai affine, quantunque Lindley la comprenda fra le Arethuseæ. Rohrbach osservò che il Bombus
lucorum ne visitava i fiori; ma sembra che solo alcuni pochi fiori abbiano portato frutto.
Goodyera repens.
(
59
)
– Questo genere è molto affine all’Epipactis, rispetto al maggior numero dei
caratteri di cui qui è parola. Il rostello foggiato a scudo è quasi quadrangolare e sorpassa lo stigma; è
sostenuto dai prolungamenti laterali che discendono obliquamente e che sorgono dal margine
superiore dello stigma, in un modo quasi eguale, come ben tosto vedremo nel genere Spiranthes. La
superficie della porzione prominente del rostello è aspra e formata da cellule, come si può
riconoscere allo stato di disseccamento. Essa è tenera ed emette un umore lattiginoso e alquanto
vischioso, in seguito a leggera puntura; è rivestita da uno strato di sostanza assai vischiosa, la quale
all’aria prestamente si indurisce. La superficie prominente del rostello si può con un leggero
strofinamento allontanare facilmente assieme ad una lista membranosa, alla cui estremità posteriore
sono fissate le masse polliniche. I prolungamenti laterali obliqui, che sostengono il rostello, non
57
()
Verhandl. des Natur. Ver. für Rheinl. u. Westf., Jahrg. XXV, 3 Folge, 5 Bd., p. 7-36.
58
()
Ueber den Blüthenbau von Epigonium, ecc. 1866; v. anche IRMISCH, Beiträge zur Biologie der Orchideen, 1853, p.
55.
59
()
Esemplari di questa rara orchidea alpina mi furono cortesemente spediti da Elgin dal Sig. G. Gordon.
vengono però contemporaneamente allontanati, ma restano addietro eretti a guisa di forchetta e
presto appassiscono. L’antera è portata da un filamento lungo e largo il quale è fissato d’ambo i lati
col mezzo di una membrana ai margini dello stigma, dando così origine ad un imperfetto clinandro.
Le logge dell’antera si aprono entro la gemma e le masse polliniche vengono fissate al dorso del
rostello colle loro faccie anteriori e precisamente presso i loro apici. Finalmente le logge si aprono
ampiamente di modo che le masse polliniche se ne stanno quasi nude e solo parzialmente sono
ancora protette dal clinandro membranoso. Ciascuna massa pollinica è divisa parzialmente lungo la
sua direzione longitudinale; i granelli pollinici sono riuniti in pacchi irregolarmente triangolari, i
quali contengono una quantità di grani composti, ciascuno dei quali alla sua volta consta di quattro
granelli. Questi pacchi sono collegati fra loro da robusti filamenti elastici, i quali si riuniscono
all’estremità superiore per formare un unico nastro piatto di color bruno, il quale col suo capo ottuso
aderisce al dorso del rostello.
La superficie dello stigma circolare è straordinariamente vischiosa, ciò che è necessario affine di
rompere i filamenti molto più tenaci dell’ordinario, i quali collegano i pacchi pollinici. Il labello è
diviso parzialmente in due parti; la porzione terminale è curvata all’indietro e la basilare è
nappiforme e ricolma di nettare. Il passaggio fra il rostello e il labello è ristretto, finchè i fiori sono
giovani; ma quando sono diventati maturi, la colonnetta si allontana, muovendosi all’indietro, dal
labello e permette in tal modo agli insetti, che portano le masse polliniche aderenti alle loro
proboscidi, di penetrare più liberamente nei fiori. In molti degli esemplari che mi furono spediti le
masse polliniche mancavano e le appendici laterali bifide che servono di sostegno al rostello erano
già in parte appassite. Il sig. R. B. Thomson mi fa sapere, che egli nel Settentrione della Scozia ha
veduto molti pecchioni (Bombus pratorum) visitare i fiori con masse polliniche aderenti alle loro
proboscidi. Questa specie vive anche negli Stati Uniti e il prof. Asa Gray
(
60
)
conferma la descrizione
da me data della sua struttura e del suo modo di fecondazione, la quale può anche valere per una
specie assai diversa, cioè Goodyera pubescens.
La Goodyera è un interessante anello di congiunzione fra parecchie forme assai diverse. Io non ho
trovato in nessun’altra Neottiea una formazione tanto analoga a quella del vero picciuolo;
(
61
)
ed è
degno di nota, che solo in questo genere i granelli pollinici siano riuniti in grandi pacchi, come nelle
Ophrydee. Se i picciuoli di questo genere si avessero fissati all’estremità inferiore delle masse
polliniche invece che presso il loro vertice, queste masse polliniche concorderebbero esattamente
con quelle di una vera Orchis. Nel sostegno del rostello col mezzo di appendici discendenti, le quali
dopo l’esportazione delle masse polliniche tosto appassiscono – nella presenza di un nappo
membranoso o clinandro fra lo stigma e l’antera, – come pure in alcune altre particolarità
riconosciamo chiaramente una affinità col genere Spiranthes. Nella circostanza, che l’antera è
provveduta d’un largo filamento, noi scorgiamo una affinità col genere Cephalanthera, e nella
struttura del rostello, ad eccezione delle appendici laterali discendenti, e nella forma del labello si
manifesta un’affinità col genere Epipactis. Il genere Goodyera ci rappresenta probabilmente lo stato
degli organi in un gruppo di orchidee, il quale è oggidì per la maggior parte estinto e che
comprendeva i progenitori di molte specie ora esistenti.
Spiranthes autumnalis. – Questa orchidea, che porta il bel nome di riccio di dama, presenta alcune
interessanti particolarità.
(
62
)
Il rostello è una prominenza lunga, sottile e piana, collegata col vertice
dello stigma a mezzo di forchette oblique. Nel mezzo del rostello esiste un corpo sottile, verticale e
bruno (fig. 17 C), il quale è circondato ed avvolto da una membrana trasparente. Questo corpo
60
()
Amer. Journ. of Science, vol. XXXIV, 1862, p. 427. Io opinava prima che in questa pianta come in Spiranthes fosse il
labello che si allontanasse dalla colonnetta per aprire un più libero ingresso agli insetti; ma il prof. GRAY è convinto
essere la colonnetta quella che si muove.
61()
In una specie esotica, Goodyera discolor, speditami dal sig. Bateman, le masse polliniche s’approssimano per la
loro struttura ancora più a quelle delle Ophrydee; poichè le masse polliniche si prolungano in lunghi picciuoli, simili
nella loro forma a quelli di una Orchis. Il picciuolo è formato in questo caso da un fascio di filamenti elastici, ai quali
sono fissati piccoli ed esili pacchi di granuli pollinici, disposti ad embrice gli uni sugli altri. I due picciuoli sono
congiunti presso la loro base, dove essi aderiscono ad un disco membranoso rivestito di sostanza vischiosa.
Considerando la insignificante grandezza e l’estrema esilità dei pacchi pollinici basilari, sono dell’opinione, che essi si
trovino in istato incapace di funzionare; se questo è il caso, allora quei prolungamenti sono veri picciuoli.
62
()
Devo la mia obbligazione al Dr. Battersby di Torquay e al sig. A.G. More di Bembridge per avermi spedito degli
esemplari di questa pianta. Io potei esaminare più tardi molte piante viventi.
bruno lo chiameremo il disco navicolare. Esso forma la parte mediana della faccia posteriore del
rostello e consta di una lista sottile della membrana esterna alcun poco modificata. Allontanandolo
un poco dal suo punto di aderenza si può vedere, che il suo vertice è acuminato e la base
arrotondata; è leggermente curvato in modo che nel suo complesso somiglia ad un battello o ad un
canotto.
Fig. 17. – SPIRANTHES AUTUMNALIS.
a. antera – p. masse polliniche – t. filamenti delle stesse – cl. margine del
clinandro – r. rostello – s. stigma – n. nettario.
A. Profilo del fiore nella sua posizione naturale; solo i due sepali inferiori
sono asportati. Il labello si riconosce pel suo labbro frangiato e ripiegato
all’indietro.
B. Profilo di un fiore maturo ingrandito; tutti i sepali e i petali sono asportati.
Le posizioni del labello e del sepalo superiore sono indicate dalle linee
punteggiate.
C. Prospetto dello stigma e del rostello compreso il suo disco navicolare.
D. Prospetto anteriore dello stigma e del rostello dopo l’allontanamento del
disco.
E. Disco allontanato dal rostello, assai ingrandito, e visto dal di dietro coi
filamenti elastici delle masse polliniche ad esso aderenti; i granuli
pollinici sono allontanati dai filamenti.
La sua lunghezza è un poco superiore a 4/100 di pollice e la sua larghezza è minore di 1/100 di
pollice. È quasi rigido, apparentemente fibroso, ma è formato in realtà da cellule allungate ed
ingrossate, parzialmente fuse assieme.
Questo canotto è ripieno di una sostanza lattiginosa e assai attaccaticcia, la quale diventa bruna
prestamente e in un minuto circa affatto dura, quando venga esposta all’aria. Qualunque oggetto si
attacca fortemente a questo canotto nell’intervallo di 4-5 secondi, e l’aderenza è straordinariamente
forte, tosto che la sostanza vischiosa è disseccata. I lati trasparenti del rostello sono formati da una
membrana fissata posteriormente ai margini del canotto e anteriormente ripiegata sullo stesso in
modo da rappresentare la faccia anteriore del rostello. Questa piega membranosa copre quasi come
una coperta il magazzino di sostanza vischiosa contenuto nel canotto.
La faccia anteriore del rostello è debolmente solcata in una linea longitudinale che passa sopra il
centro della navicella ed è dotata d’una meravigliosa irritabilità; poiché se si tocca con un ago anche
molto leggermente questo solco, oppure vi si colloca dentro una setola, essa si fende in tutta la sua
lunghezza e lascia trasudare un umore lattiginoso e un poco vischioso. Questo atto non è meccanico
o una conseguenza della sola forza meccanica. La fessura si estende su tutta la lunghezza del
rostello, dalla sua base presso lo stigma, fino al vertice; presso il vertice si biforca e decorre verso il
basso sui lati del dorso del rostello e intorno alla stella del disco navicolare. Dopo questa fenditura il
disco navicolare sta quindi perfettamente libero, ma è racchiuso in una forchetta del rostello. L’atto
della fenditura sembra non aver luogo spontaneamente. Io coprii una pianta con una rete e la tenni
coperta ancora per una settimana dopo che cinque fiori erano sbocciati: esaminai poscia i loro
rostelli, e non ne trovai neppur uno che fosse fesso, mentre in quasi tutti i fiori appartenenti ad
infiorescenze vicine ma scoperte, le quali quasi certamente furono visitate e toccate dagli insetti, i
rostelli erano scoppiati, sebbene fossero aperti solo da ventun’ore. Una esposizione della durata di
due minuti ai vapori di cloroformio assai debole è sufficiente per far scoppiare i rostelli, e ciò si
osserva, come avremo occasione di vederlo in appresso, anche in parecchie altre orchidee.
Se si trattiene per due o tre secondi la setola nel solco del rostello e per conseguenza la membrana si
è fessa, la sostanza vischiosa che si trova nel disco navicolare immediatamente sotto la superficie e
che realmente alcun poco trasuda, attacca quasi con sicurezza il disco alla setola nel senso della sua
lunghezza e si possono levar via tutti e due ad un tempo. Quando il disco colle masse polliniche
aderenti è allontanato, restano addietro eretti a guisa di forchetta i due lati del rostello (fig. D), i
quali da alcuni botanici sono descritti come appendici fogliacee particolari. Questa è la ordinaria
struttura dei fiori dopo due o tre giorni dell’antesi, se essi furono visitati dagli insetti. La forchetta
poscia appassisce e cade.
Mentre i fiori sono ancora allo stato di gemma, il disco navicolare è coperto da uno strato di cellule
grandi e rotonde, così che il disco rigorosamente parlando non forma la superficie esterna del dorso
del rostello. Le cellule contengono una sostanza debolmente vischiosa; esse si conservano inalterate
(come si vede nella fig. E) verso il vertice del disco, ma spariscono nel punto, dove sono fissate le
masse polliniche. In conseguenza di ciò ho ritenuto per un certo tempo, che la sostanza vischiosa
contenuta in queste cellule, dopo il loro scoppio, servisse a fissare i filamenti delle masse polliniche
al disco; ma poiché non ho potuto rinvenire alcuna traccia di dette cellule in parecchi altri generi, in
cui una simile aderenza esiste, così potrebbe questa opinione essere errata.
Lo stigma è collocato sotto il rostello e si protende con una superficie obliqua, come si vede nella
fig. B; il suo margine inferiore è arrotondato e munito di cigli. Ai due lati si estende una membrana
(B, cl) dai margini dello stigma al filamento dell’antera, e così formasi un nappo membranoso o
clinandro, entro cui giacciono ben difese le estremità inferiori delle masse polliniche.
Ciascuna massa pollinica consta di due fogli di polline, i quali alle loro estremità superiori ed
inferiori sono perfettamente divisi, ma nel mezzo per circa la metà sono riuniti da filamenti elastici.
Una debolissima modificazione basterebbe a trasformare le due masse polliniche in quattro, come si
osserva nel genere Malaxis e in molte altre orchidee esotiche. Ciascun foglio consta di un doppio
strato di granelli pollinici, i quali sono riuniti a quattro a quattro; essi sono tenuti assieme da
filamenti elastici, che nel senso della lunghezza dei fogli si fanno più numerosi e convergono verso
l’apice di ciascuna massa pollinica. I fogli sono assai fragili e se vengono a contatto della faccia
vischiosa dello stigma, se ne staccano facilmente dei grandi pezzi.
Molto tempo prima dell’antesi del fiore, le antere adagiate contro il dorso del rostello si aprono alla
loro estremità superiore, in modo che le masse polliniche racchiuse vengono a toccare il dorso del
disco navicolare. I filamenti sporgenti si attaccano poscia saldamente al dorso del disco un po’ più
in alto della sua metà. Le logge dell’antera si aprono più tardi ampiamente verso il basso e le loro
pareti membranose si contraggono e diventano brune, così che nel tempo della perfetta antesi del
fiore la porzione superiore delle masse polliniche è completamente nuda, mentre la loro base è
accolta in certe coppe, formate dalle logge appassite dell’antera e sono protette lateralmente dal
clinandro. Giacendo in tal guisa libere le masse polliniche possono essere facilmente allontanate.
I fiori tubulosi sono disposti in un’elegante spirale attorno all’asse e se ne scostano in direzione
orizzontale (fig. A). Il labello è nel mezzo incavato a guisa di doccia nella sua direzione
longitudinale e fornito di un labbro frangiato e rivolto indietro, sul quale si fermano le api, e i suoi
angoli basilari interni sono prolungati in due appendici sferiche, le quali secernono una grandissima
copia di nettare. Il nettare è raccolto in un piccolo ricettacolo collocato nella porzione inferiore del
labello (fig. B, n). In conseguenza della sporgenza del margine inferiore dello stigma e dei due
nettarii laterali ripiegati l’ingresso nel ricettacolo del nettare collocato nel mezzo è assai ristretto.
Questo contiene liquido zuccherino al principio dell’antesi del fiore e in quest’epoca la faccia
anteriore del rostello percorsa da un solco leggero s’appoggia immediatamente alla doccia del
labello; in tal modo un ingresso resta aperto, il quale però è così stretto, che solo una esile setola
può essere introdotta per esso. Nell’intervallo di due giorni la colonnetta si allontana alquanto più
dal labello e si stabilisce un accesso più largo agli insetti, affinché possano portare il polline sulla
faccia vischiosa dello stigma.
Da questo piccolo movimento della colonnetta dipende assolutamente la fecondazione del fiore.
(
63
)
Nella maggior parte delle orchidee i fiori restano aperti per qualche tempo, prima di essere visitati
dagli insetti, però nella Spiranthes constatai la mancanza del disco navicolare assai presto dopo il
principio dell’antesi del fiore. Così per es. nelle due ultime spiche che ebbi l’occasione di
esaminare, v’erano ancora in una di esse numerose gemme presso l’apice, e solo i sette fiori
inferiori erano spiegati; e fra questi, sei avevano già perduto tutti i dischi adesivi e le masse
polliniche; l’altra infiorescenza aveva otto fiori perfettamente sbocciati e le masse polliniche
mancavano a tutti. Noi abbiamo veduto, che i fiori possono attirare gli insetti fin dal primo
momento della loro antesi; poiché il loro nettario contiene già nettare; e il rostello è così addossato
al labello incavato in forma di doccia, che un’ape non può introdurvi la sua proboscide, senza
63
()
Il professore ASA GRAY fu così cortese da esaminare per me la Spiranthes gracilis e cernua degli Stati Uniti. Egli
riscontrò in generale la stessa struttura come nella nostra Spiranthes autumnalis e fu sorpreso della ristrettezza
dell’ingresso nel fiore. Egli ha dipoi confermato (Amer. Journ. of Science, vol. XXXIV, pag. 427) la mia descrizione della
struttura e della funzione di tutte le parti di Spiranthes, ad eccezione di ciò, che la colonnetta e non il labello, come io
prima aveva creduto, è quella che si muove all’epoca della maturità del fiore. Egli soggiunse, che l’allargamento
dell’ingresso, il quale fa una parte tanto importante nella fecondazione del fiore, «è tanto spiccata, che ci fa meraviglia
d’averla potuta trascurare».
toccare il solco mediano del rostello. Che sia veramente così, lo so da numerosi esperimenti fatti col
mezzo di una setola.
Noi vediamo in questo modo come tutto sia ordinato allo scopo, che le masse polliniche siano
trasportate da un insetto, il quale visiti i fiori. Le masse polliniche sono già fissate col mezzo dei
loro filamenti al disco e pendono, in causa del precoce appassire delle logge dell’antera, liberamente
ma protette dal clinandro. Il contatto della proboscide cagiona lo scoppio dall’avanti all’indietro del
rostello e rende libero il lungo e largo disco navicolare, il quale è ripieno di sostanza estremamente
vischiosa e quindi certamente si attacca nel senso della sua lunghezza alla proboscide. Allorché
l’ape se ne vola via, trasporta seco sicuramente anche le masse polliniche. Essendo le masse
polliniche fissate in direzione parallela al disco, così aderiranno anche alla proboscide
parallelamente ad esso. Quando il fiore incomincia la sua antesi e apparisce nella condizione più
opportuna per l’allontanamento delle masse polliniche, il labello s’appoggia così fortemente al
rostello, che le masse polliniche, le quali aderissero alla proboscide di un insetto, non potrebbero
essere spinte tanto addentro nel fiore da raggiungere lo stigma; esse verrebbero sollevate o staccate.
Ma noi abbiamo veduto, che due o tre giorni dopo la colonnetta si ripiega maggiormente all’indietro
e va allontanandosi dal labello – lasciando così libero un più ampio passaggio. Durante questo
stadio ho fatto un esperimento in un fiore col mezzo di un’esile setola a cui aderivano delle masse
polliniche; e potei chiaramente osservare quanto sia certo che nell’introdurre la setola del nettario
(fig. B, n) restano aderenti allo stigma vischioso degli strati di polline. Nel disegno B si ha ancora da
osservare, che l’ingresso del nettario (n) giace, in conseguenza della sporgenza dello stigma, assai
vicino alla faccia inferiore del fiore; gl’insetti introdurranno quindi le loro proboscidi da questo lato
inferiore; e con ciò rimane superiormente uno spazio aperto, affinché le masse polliniche aderenti
possano giungere fino allo stigma, prima di strofinare qualunque altro oggetto. Lo stigma è
evidentemente tanto sporgente, che le estremità delle masse polliniche devono urtare contro di esso.
Per conseguenza un fiore di Spiranthes appena sbocciato e che ha le sue masse polliniche nella
condizione più opportuna per il trasporto, non può essere fecondato; i fiori maturi vengono
ordinariamente fecondati dal polline di fiori più giovani, come lo vedremo in un’altra pianta. In
relazione a questo fatto le facce stigmatiche dei fiori più vecchi sono più vischiose di quelle dei fiori
giovani. Ad onta di ciò un fiore, il quale non fosse visitato dagli insetti nei primi momenti della sua
antesi, non dovrebbe necessariamente sciupare indarno il suo polline più tardi dopo che è più
completamente spiegato; poiché se un qualche insetto introduce in esso la sua proboscide e poscia la
ritira, la piega in avanti o all’in su, urterà spesso contro la doccia del rostello. Io ho imitato questo
movimento con una setola e sono riuscito spesso ad estrarre le masse polliniche dai vecchi fiori. Fui
indotto a fare questo esperimento dal fatto, che ho preso ad esaminare dapprincipio dei fiori vecchi,
e introducendo una setola o un sottile filo d’erba direttamente nel nettario non potei estrarre nessuna
massa pollinica; ma ciò avveniva ogni volta che piegava la setola o il filo d’erba all’innanzi. Quei
fiori che conservano le loro masse polliniche, possono quindi essere fecondati così bene, come
quelli che le hanno perdute, ed io ho osservato non pochi casi di fiori, i quali conservando ancora le
masse polliniche al loro posto, avevano dei tubi pollinici sui loro stigmi.
A Tarquay ho esaminato un buon numero di piante di questa specie viventi nella stessa località per
circa una mezz’ora, ed ho veduto tre pecchioni di due specie diverse visitare i loro fiori. Ne presi
uno e esaminai la sua proboscide: sulla sua lamella superiore, non lungi dall’apice, trovai due masse
polliniche perfette e tre altri dischi navicolari senza polline vi aderivano; questo pecchione aveva
dunque portato seco le masse polliniche di cinque fiori e lasciato probabilmente il polline di tre di
essi sugli stigmi di altri fiori. Il giorno dopo osservai gli stessi fiori per un quarto d’ora e presi un
altro pecchione durante il suo lavoro. Una massa pollinica perfetta e quattro dischi navicolari
aderivano alla sua proboscide, l’uno sull’apice dell’altro, la quale circostanza dimostra con quanta
esattezza sia stata toccata sempre la stessa parte del rostello.
I pecchioni si arrestavano sempre in basso alla base della spica, si arrampicavano su per la stessa in
una spirale e succhiavano un fiore dopo l’altro. Io credo che i pecchioni facciano ordinariamente
così, quando visitano una infiorescenza fitta, poichè è il modo più comodo, – come lo è anche per il
picchio quello di rampicare dal basso all’alto sul tronco, quando va in cerca d’insetti. Questa
osservazione sembra essere assai insignificante; però guardiamo al risultato. Supponiamo che
un’ape quando incomincia la sua ronda di buon mattino vada a posarsi sul vertice della spica;
certamente essa dovrebbe in questo caso estrarre le masse polliniche dei fiori superiori e più
giovani. Quando essa arrivasse poscia sui fiori immediatamente inferiori, le di cui colonnette non si
avessero ancora allontanate dal labello, ciò che avviene solo tardi e gradatamente, le masse
polliniche sarebbero staccate dalle loro proboscidi e andrebbero perdute. Ma la natura non consente
una simile dissipazione. L’ape incomincia quindi coi fiori inferiori e rampicandosi a spirale su per la
spica, non porta seco nulla da questa prima spica da lei visitata, prima di giungere ai fiori superiori;
e da questi estrae le masse polliniche. Essa vola poscia su di un’altra pianta ed arrestandosi di nuovo
sui fiori inferiori e più vecchi, entro i quali conduce un ampio ingresso in conseguenza del
movimento della colonnetta che si è già verificato, le masse polliniche urtano contro lo stigma
sporgente. Se lo stigma dei fiori inferiori è già completamente fecondato, non resterà affatto o solo
poco polline sulla sua superfice già disseccata; ma nei fiori successivi, il di cui stigma è ancora
vischioso, resteranno attaccate grandi masse di polline. Venendo poi l’ape presso il vertice della
spica, trascinerà seco nuovamente masse polliniche, e volando poscia sui fiori inferiori di un’altra
pianta feconderà anche questi. Facendo la sua ronda in questo modo, nel mentre raccoglie miele
fresco, va fecondando sempre nuovi fiori e conserva così la nostra Spiranthes autumnalis, la quale
dal suo canto prepara il miele per le future generazioni di api.
Sphiranthes australis. – Questa specie, che vive nell’Australia, fu descritta dal sig. Fitzgerald, il
quale ne diede pur anco il disegno.
(
64
)
I fiori sono disposti sulla spica nello stesso modo come nella
S. autumnalis; e il labello, che è provveduto di due ghiandole alla sua base, somiglia a quello della
nostra specie. È però un fatto degno di essere rimarcato che il sig. Fitzgerald non potè scoprire
alcuna traccia di un rostello o di sostanza vischiosa neppure entro la gemma. Egli dice che le masse
polliniche toccano il margine superiore dello stigma e lo fecondano assai precocemente.
Proteggendo una pianta contro le visite degl’insetti col mezzo di una campana di vetro non si ebbe
nessuna differenza rispetto alla sua fertilità; il sig. Fitzgerald non potè neppure osservare nè il più
piccolo disordine nelle masse polliniche, nè traccia di polline sugli stigmi nei molti fiori che ebbe ad
esaminare. Noi abbiamo qui dunque una specie, la quale si feconda indipendentemente con tanta
regolarità come la Ophrys apifera. Tuttavia sarebbe assai desiderabile di poter constatare, se questi
fiori vengano mai visitati dagl’insetti, potendosi ritenere che essi secernano nettare, poiché esistono
glandole; e dovrebbersi anche esaminare quegl’insetti, per vedere se aderisca forse del polline ad
una qualche parte del loro corpo.
Listera ovata. – Questa orchidea è una delle più meravigliose dell’intiero ordine. La struttura e la
funzione del rostello sono l’oggetto di una preziosa memoria del dott. Hooker, che fu inserita nelle
Philosophical Transactions;
(
65
)
questo autore ha descritto colla massima esattezza e naturalezza la
sua singolare struttura fin negli ultimi dettagli; egli trascurò tuttavia la parte che hanno gl’insetti
nella fecondazione dei fiori. C.K. Sprengel riconobbe benissimo l’importanza dell’azione
degl’insetti, ma fraintese tanto la struttura che la funzione del rostello.
Fig. 18. – LISTERA OVATA (Copiata in parte da Hooker).
col. vertice della colonnetta – a. antera – p. polline – r. rostello – s. stigma
l. labello – n. solco secernente il nettare.
A. Profilo del fiore; tutti i sepali e i petali ad eccezione del labello sono
asportati.
B. Lo stesso; le masse polliniche sono allontanate e il rostello dopo
l’emissione della sostanza vischiosa curvato.
Il rostello è grande, sottile o fogliaceo, anteriormente convesso e posteriormente concavo, e il suo
vertice acuto è ai due lati leggermente incavato: esso copre a modo di volta lo stigma (fig. 18, A, r,
s). Nell’interno è diviso da setti longitudinali in una serie di compartimenti, i quali contengono
sostanza vischiosa e hanno la proprietà di lanciarla fuori con forza. Questi compartimenti
presentano traccie della loro primitiva struttura cellulare. Ad eccezione del genere affine Neottia,
non ho trovato questa struttura in nessun altro genere. L’antera collocata dietro il rostello e che è
protetta da un allargamento dell’apice della colonnetta si apre entro la gemma. Dopo che i fiori si
sono completamente aperti, le masse polliniche se ne stanno perfettamente libere, sono
posteriormente sostenute dalle logge dell’antera, e collocate anteriormente sul dorso concavo del
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()
Australian Orchids, part. II, 1876.
65
()
Philosophical Transactions, 1854, p. 259.
rostello, riposando colle loro estremità assottigliate sulla di lui cresta. Ciascuna massa pollinica è
divisa quasi intieramente in due masse. I granelli pollinici sono collegati nel solito modo fra loro col
mezzo di alcuni filamenti elastici; però questi filamenti sono deboli e si possono staccare facilmente
grosse porzioni di polline. Dopo lungo tempo dacchè il fiore è aperto il polline diventa ancora più
incoerente. Il labello è assai allungato, contratto alla base e curvato verso il basso, come è
rappresentato nella figura; la metà superiore al disopra del punto di biforcazione è solcata nella linea
mediana e nella direzione longitudinale; e i margini di questa doccia secernono grande copia di
nettare.
Subito dopo l’apertura del fiore, basta il più lieve contatto della cresta del rostello perchè venga
emessa all’istante una grande goccia di sostanza vischiosa; e questa è formata, come fu dimostrato
dal dott. Hooker, dalla riunione di due goccie che trasudano dai punti compressi ai due lati del
centro. Una buona prova di questo fatto fu offerta da alcuni esemplari, che furono conservati in
alcool debole, i quali emisero a vista d’occhio e lentamente la sostanza vischiosa: in questo caso si
presentarono due piccole goccie sferiche isolate di sostanza indurita, le quali aderirono alle due
masse polliniche. Il liquido è dapprima alquanto torbido e lattiginoso, ma in meno di un’ora di
esposizione all’aria si forma su di esso una pellicola; e poscia in due o tre secondi l’intiera goccia è
indurita e presenta presto un colore bruno purpureo. Il rostello è così estremamente irritabile, che
basta il contatto del più esile pelo umano a produrre l’esplosione. Questa ha luogo anche nell’acqua;
e così pure avvenne anche in seguito all’azione dei vapori di cloroformio protratta per un minuto; il
vapore dell’etere solforico non produsse lo stesso effetto, quantunque un fiore sia stato assoggettato
all’azione d’una forte dose per cinque, e un altro per venti minuti. Il rostello di questi due fiori
scoppiò poscia in seguito ad un contatto nel solito modo, così che in nessuno dei due casi andò
perduta l’irritabilità. Se si comprime la sostanza vischiosa fra due lastrine di vetro prima che sia
indurita, si può osservare che essa è priva di struttura; ma ha un aspetto reticolare, occasionato forse
dalla presenza di minutissimi globuli più densi contenuti in un liquido meno denso. Essendo le
estremità assottigliate dalle masse polliniche collocate sul vertice acuminato del rostello, esse
vengono sempre raggiunte dalla gocciola che viene emessa; io non potei osservare neppure un caso
in cui ciò non sia accaduto. Questa esplosione avviene così celeremente e il liquido è così viscoso
che riesce difficile toccare il rostello, per quanto rapido sia il movimento, senza trasportare
contemporaneamente le masse polliniche. Per cui se si porta a casa in mano un mazzo di fiori,
avverrà quasi con certezza che alcuni sepali o petali tocchino il rostello e ne estraggano le masse
polliniche, ciò che produce l’erronea apparenza che esse vengano lanciate a distanza.
Dopo che le logge dell’antera si sono aperte e hanno abbandonato le masse polliniche nude sul
dorso concavo del rostello, si curva quest’organo un poco all’innanzi e forse anche l’antera si
muove alquanto all’indietro. Questo movimento è di grande importanza; poichè, se non avvenisse,
l’apice dell’antera, entro cui giacciono le masse polliniche, sarebbe bagnato dalla sostanza vischiosa
esplosa e in tal caso le masse polliniche verrebbero rinchiuse per sempre e sarebbero rese inutili.
Una volta ho potuto osservare un fiore che era stato leso per pressione ed in cui era avvenuta
l’esplosione prima del suo completo sbocciamento; l’antera era in questo caso attaccata in modo
duraturo insieme alle masse polliniche alla cresta del rostello. Il rostello che è curvato un poco a
volta sopra lo stigma, si piega rapidamente all’innanzi ed al basso nel momento dell’urto, in modo
da disporsi ad angolo retto di fronte alla superficie dello stigma. Le masse polliniche, se non
vengono allontanate dall’oggetto che è causa dell’esplosione, si fissano al rostello e dal movimento
di questo vengono anche esse portate avanti. Se allora si liberano dalle logge dell’antera le loro
estremità inferiori col mezzo di un ago, scattano all’in su; ma col mezzo di questo movimento non
vengono portate sullo stigma. Nel corso di parecchie ore o di un giorno non solo il rostello riprende
lentamente la sua primiera posizione, ma diventa perfettamente diritto e parallelo allo stigma.
Questo movimento all’indietro del rostello è utile, poichè se esso rimanesse dopo l’esplosione
sporgente sopra lo stigma ad angolo retto, il polline non potrebbe essere facilmente deposto dagli
insetti sulla faccia viscosa dello stigma. Se si tocca il rostello tanto rapidamente da non distaccarne
le masse polliniche, questo, come ho già detto, vengono tirate alquanto in avanti; ma per il
successivo movimento all’indietro del rostello vengono respinte nella primitiva loro posizione.
Dalla qui esposta descrizione possiamo con certezza interpretare il modo di fecondazione di questa
orchidea. I piccoli insetti si arrestano sul labello per succhiarne il copioso nettare da esso secreto;
nel succhiare il nettare essi scivolano lentamente sulla sua faccia sottile fino a portare il loro capo
immediatamente sotto la cresta convessa del rostello; nel sollevare il capo urtano contro essa, la
cresta per conseguenza esplode e le masse polliniche si fissano all’istante al loro capo. Quando
l’insetto se ne vola via, trae seco le masse polliniche, le trasporta su altro fiore, e abbandona sulla
faccia viscosa dello stigma di questo fiore le masse di polline che si staccano.
Per vedere anche direttamente ciò che secondo la mia opinione succede, ho osservato tre volte per la
durata di un’ora un gruppo di piante; ogni volta potei osservare numerosi individui di due piccole
specie di imenotteri, vale a dire di Hemiteles e Cryptus, volteggiare attorno ai fiori per succhiarne il
nettare; la maggior parte dei fiori ripetutamente visitati avevano già perduto le loro masse
polliniche; e in fine vidi queste due specie introdursi in fiori più giovani e ritirarsi istantaneamente
con un paio di masse polliniche di color giallo chiaro aderenti alla loro fronte; io li presi e trovai il
punto di aderenza al margine interno dell’occhio; presso uno degli occhi di un individuo scopersi
una massa di sostanza vischiosa indurita, ciò che dimostrava che esso già prima aveva asportato un
altro paio di masse polliniche che poscia aveva probabilmente abbandonato sullo stigma di un fiore.
Avendo catturato questi insetti non potei direttamente osservare l’atto della fecondazione; ma
Sprengel vide un imenottero nel punto che abbandonava la sua massa pollinica sullo stigma. Mio
figlio osservò un altro gruppo di queste orchidee distante alcune leghe dal primo e mi portò a casa
gli stessi imenotteri portanti le stesse masse polliniche; egli vide inoltre alcuni ditteri visitare gli
stessi fiori. Egli restò sorpreso per il grande numero di tele di ragno tese su queste piante, quasi che
i ragni sapessero quanto la Listera sia seducente per gl’insetti.
Per dimostrare come basti il più leggero urto per cagionare l’esplosione del rostello, farò menzione
di un piccolissimo imenottero da me osservato, il quale indarno tentava di andarsene; il suo capo era
fissato alla cresta del rostello e alle estremità delle masse polliniche della sostanza vischiosa
indurita. L’insetto era più piccolo di una massa pollinica e non aveva più la forza necessaria per
allontanarsi dopo di aver cagionata la esplosione; in tal maniera fu esso punito per aver intrapreso
un’opera superiore alle proprie forze e perì miseramente.
Nel genere Spiranthes i giovani fiori i quali hanno le masse polliniche nello stato più opportuno per
l’allontanamento, non possono venire fecondati; essi devono conservarsi vergini finché sieno
diventati un po’ più adulti e la colonnetta si sia allontanata dal labello. Nel presente caso si ottiene
lo stesso scopo con mezzi affatto diversi. Gli stigmi dei fiori più vecchi sono più viscosi di quelli
dei fiori giovani. Questi ultimi tengono le loro masse polliniche pronte per l’allontanamento, ma il
rostello fino all’esplosione si curva all’innanzi e al basso, in modo da difendere per qualche tempo
lo stigma; poi lentamente si raddrizza di nuovo e lo stigma maturo è liberamente esposto e pronto ad
essere fecondato.
Avrei desiderato di sapere, se il rostello esplodesse senza venir toccato mai; ma trovai difficile di
conseguire una certezza su questo punto, poiché i fiori sono estremamente seducenti per gl’insetti
ed è quasi impossibile tener lontani i più piccoli di essi, il di cui contatto è sufficiente a produrre
l’esplosione. Furono coperte molte piante con una rete e lasciate così finchè le piante circostanti
avevano messo le loro cassule; nella maggior parte dei fiori coperti i rostelli non erano esplosi,
quantunque i loro stigmi fossero appassiti e il loro polline logorato e inetto al trasporto. Però in
alcuni dei fiori più vecchi si potè ancora ottenere una debole esplosione in seguito ad urto violento.
Altri fiori furono trovati scoppiati sotto la rete e le estremità delle loro masse polliniche erano
fissate alla cresta del rostello; se questi fiori siano stati toccati da un minutissimo insetto oppure
scoppiati da sè, non fu possibile decidere. Deve essere notato che col più diligente esame non si
potè trovare alcun granello pollinico sullo stigma di nessuno di questi fiori e che i loro ovarii non
erano ingrossati. In uno degli anni successivi furono coperte di nuovo parecchie piante con una rete
e potei constatare che il rostello aveva perduto la facoltà di esplodere dopo circa quattro giorni e
contemporaneamente la sostanza vischiosa raccolta nelle logge del rostello era divenuta bruna. La
stagione era in quell’anno oltre l’ordinario calda, e questa circostanza affretta probabilmente il
processo. Dopo i sopradetti quattro giorni il polline era divenuto assai incoerente e qualche piccola
porzione di esso era caduta sui due angoli e perfino su tutta la faccia dello stigma, che fu trovato
perforato dai tubi pollinici. La dispersione del polline fu favorita assai e forse anche fu unicamente
determinata dalla presenza d’insetti minutissimi del genere Thrips, che non possono essere esclusi
da nessuna rete, e dei quali se ne trovò un grandissimo numero sui fiori. Questa pianta è dunque
capace di fecondarsi da sè occasionalmente, quando venga impedita la visita degli insetti alati; io ho
però buone ragioni per credere che ciò accada assai di rado, in natura.
Che gl’insetti attendano efficacemente all’opera dell’incrociamento, è dimostrato dai seguenti casi. I
sette fiori superiori d’una giovane spica, che aveva molte gemme non ancora sbocciate,
possedevano ancora le loro masse polliniche, ma quelle dei dieci fiori inferiori erano già state
trasportate, e sullo stigma di sei fra essi vi era del polline. In due altre spiche tutte le masse
polliniche dei ventisette fiori inferiori erano allontanate e i loro stigmi erano cospersi di polline; a
questi seguivano cinque fiori aperti forniti ancora delle loro masse polliniche e senza polline sugli
stigmi, e poi venivano diciotto bottoni. In fine in una spica più vecchia di quarantaquattro fiori
completamente aperti le masse polliniche di ciascun fiore erano allontanate e potei constatare la
presenza di polline, per lo più in grande copia, su tutti gli stigmi da me esaminati.
Riassumerò qui brevemente i diversi e speciali adattamenti alla fecondazione di questa pianta. Le
logge dell’antera si aprono assai per tempo e mettono in libertà le masse polliniche che sono difese
dal vertice della colonnella e le di cui estremità s’appoggiano sulla cresta concava del rostello.
Poscia il rostello si curva lentamente sopra la faccia dello stigma, in modo che la cresta esplodente
viene a collocarsi ad una certa distanza dal vertice dell’antera; ciò è necessario, poiché altrimenti il
vertice di essa sarebbe raggiunto dalla sostanza viscosa e il polline vi resterebbe sempre racchiuso.
La curvatura del rostello al di sopra dello stigma e della base del labello si presta assai bene a
favorire l’urto dell’insetto contro la cresta, allorchè esso solleva il capo dopo d’essere scivolato su
per il labello e d’aver succhiato l’ultima goccia di nettare. Il labello diventa più sottile, come ha
osservato C. K. Sprengel, là dove si congiunge colla colonnetta sotto il rostello, per cui è escluso il
pericolo che un insetto possa procedere troppo sull’uno o sull’altro lato. La cresta del rostello è così
estremamente sensibile che basta il più leggero urto del più minuto insetto per farla scoppiare in due
punti, dai quali escono bentosto due goccie di sostanza vischiosa che poi si uniscono in una sola.
Questa sostanza viscosa s’indurisce con rapidità tanto grande che di rado può mancare di fissare le
estremità delle masse polliniche, appoggiate esattamente alla cresta del rostello, alla fronte
dell’insetto da cui è eseguito l’urto. Subito dopo la esplosione del rostello, questo si abbassa
rapidamente e viene a sporgere ad angolo retto al di sopra dello stigma, e lo difende da una
fecondazione in un’età troppo precoce, in modo analogo come gli stigmi dei giovani fiori di
Spiranthes ne vengono difesi da ciò che il labello circonda la colonnetta. Ma come nella Spiranthes
la colonnetta dopo un certo tempo si allontana dal labello lasciando libera una via per l’introduzione
delle masse polliniche, così qui si muove il rostello all’indietro e riacquista non solo la sua primiera
posizione ma si fa diritto, lasciando perfettamente libera la faccia dello stigma che nell’intervallo si
è fatta maggiormente viscosa, così che il polline può appiccicarsi ad essa. Le masse polliniche una
volta che sieno fissate al capo d’un insetto vi rimangono finché vengono a contatto collo stigma
d’un fiore maturo; in tal caso questo carico viene allontanato per la lacerazione dei deboli filamenti
elastici che collegano i granelli del polline e nello stesso tempo si compie la fecondazione del fiore.
Listera cordata. – Il prof. Dickie di Aberdeen mi usò la cortesia, disgraziatamente in una stagione
un po’ troppo avanzata, di spedirmi due gruppi di esemplari di questa pianta. I fiori hanno
nell’essenza la stessa struttura come nella specie precedente. I compartimenti del rostello sono
molto evidenti. Due o tre piccoli peli appuntiti si elevano nel mezzo della cresta del rostello, ma
ignoro se essi abbiano una qualunque importanza funzionale. Il labello ha due lobi basilari (dei quali
nella L. ovata se ne possono vedere le traccie), i quali si ravvolgono su ciascun lato; e questa
circostanza costringerà l’insetto ad approssimarsi al rostello direttamente dal davanti. In due fiori le
masse polliniche erano fortemente attaccate alla cresta del rostello, ma quasi tutti gli altri avevano
già perduto le masse polliniche per trasporto operato dagli insetti.
Nell’anno successivo il prof. Dickie esaminò questi fiori su piante viventi, e mi fece sapere, che
quando il polline è maturo, la cresta del rostello si dirige verso il labello e che la sostanza vischiosa,
appena che quello è toccato, esplode e le masse polliniche restano attaccate all’oggetto che ha
eseguito l’urto; dopo l’esplosione il rostello si piega in basso e difende così la vergine faccia dello
stigma; poscia si solleva di nuovo e lo stigma resta liberamente esposto; così avviene in questa
specie lo stesso processo da me descritto nella Listera ovata. Questi fiori vengono visitati da piccoli
ditteri e imenotteri.
Neottia nidus-avis. – Io feci molte osservazioni su questa pianta;
(
66
)
ma non vale la pena di
comunicarle qui, poiché la funzione e la struttura di ogni singola parte è quasi identica come nella
Listera ovata e cordata. Sulla cresta del rostello vi sono all’incirca sei piccole ed aspre punte, le
quali sembrano essere estremamente sensibili al contatto che cagiona l’uscita della sostanza
vischiosa. Una esposizione del rostello per venti minuti ai vapori di etere solforico non impedì
questo atto che avvenne subito dopo il contatto. Il labello secerne grande copia di nettare; ricordo
ciò per prudenza, poiché in una stagione fredda ed umida non potei trovare neppure con ripetuti
esami una sola goccia di nettare, e restai sorpreso per la apparente mancanza di ogni mezzo di
adescamento degli insetti; ciò non ostante ne avrei forse trovato alcun poco, se avessi cercato con
maggior costanza.
I fiori devono essere visitati frequentemente dagl’insetti, perché quelli di una grande spica avevano
tutti perduto le loro masse polliniche. Un’altra spica di non comune bellezza, speditami dal sig.
Oxenden dal Kent meridionale portava quarantun fiori e produsse ventisette grandi cassule e alcune
minori. Il dott. H. Müller di Lippstadt mi notifica di aver veduto dei ditteri a succhiarne il nettare e a
trasportarne le masse polliniche.
Le masse polliniche somigliano a quelle di Listera, essendo formate da granelli composti, tenuti
assieme da alcuni deboli filamenti; ne differiscono per ciò che sono molto meno coerenti; dopo
alcuni pochi giorni si gonfiano e pendono sui lati e il vertice del rostello in modo che, se il rostello
d’un fiore un po’ adulto viene toccato, per l’esplosione che ne nasce, le masse polliniche non
vengono raggiunte così bene alle loro estremità come nella Listera. In conseguenza di ciò resta
addietro spesso buona parte del polline entro le logge dell’antera, il quale è evidentemente sciupato.
Si fece l’esperienza di difendere parecchie piante dalla visita degli insetti alati col mezzo d’una rete,
e dopo quattro giorni i rostelli avevano perduto affatto la loro sensibilità e il potere di esplodere. Il
polline divenne straordinariamente incoerente e in tutti i fiori se ne trovò una buona parte sugli
stigmi, i quali erano perforati da tubi pollinici. La dispersione del polline sembra essere stata
causata in parte dalla presenza d’insetti minutissimi del genere Thrips, dei quali molti ne furono
trovati che giravano entro i fiori coperti alla lettera di polline. Le piante coperte portarono molte
capsule, delle quali però molte erano più piccole e contenevano minor copia di semi di quelle
portate dalle piante vicine lasciate scoperte.
Se gl’insetti fossero costretti a scivolare lungo l’antera e lo stigma dal labello rivolto maggiormente
in alto, essi sarebbero sempre coperti di polline appena che questo fosse diventato fragile; e i fiori
sarebbero in tal modo efficacemente fecondati senza l’aiuto d’un rostello esplodente. Questa
considerazione destò il mio interesse, poiché in un anteriore esame della Cephalanthera, col suo
rostello rudimentale, col labello rivolto all’in su e col suo polline incoerente, pensai che si possa
essere stabilito una specie di passaggio in cui ogni singolo stadio della pianta fosse utile, dallo stato
del polline nei fiori di analoga struttura di Epipactis, le di cui masse polliniche sono aderenti, ad un
rostello regolarmente sviluppato, allo stato presente della Cephalanthera. La Neottia nidus-avis ci
dimostra come un tale passaggio possa essere stato eseguito. Questa orchidea viene al presente
fecondata principalmente col mezzo d’un rostello esplodente, il quale agisce con successo solo
finché il polline è unito in masse, ma noi abbiamo veduto che coll’invecchiare del fiore, il polline si
gonfia e diviene incoerente e allora cade fuori facilmente, oppure viene portato sullo stigma da
piccoli insetti striscianti. Con questo mezzo l’autofecondazione è assicurata, quando venisse a
mancare ai fiori la visita d’insetti maggiori. Inoltre è da notarsi che il polline in questo stato aderisce
facilmente a qualunque oggetto, cosicché con una piccola variazione della forma del fiore, il quale è
qui già meno espanso o più tubuloso che nella Listera, e divenendo il polline incoerente in un’età
più precoce, la fecondazione avrebbe luogo ancora più facilmente anche senza l’aiuto d’un rostello
esplodente. In fine questo diverrebbe affatto superfluo; e allora in forza del principio che un organo
pel non uso tende ad atrofizzarsi, per ragioni che ho tentato altrove di spiegare,
(
67
)
il rostello
verrebbe a sparire. Noi vedremo allora una nuova specie nello stato della Cephalanthera, per quanto
riguarda i mezzi della fecondazione, la quale del resto sarebbe strettamente affine nella struttura
66
()
Si riteneva ordinariamente che questa pianta d’aspetto malaticcio in un modo innaturale, vivesse parassitica sulle
radici degli alberi, sotto l’ombra dei quali essa cresce; ma dalle notizie di IRMISCH (Beiträge zur Biologie und
Morphologie der Orchideen, 1853, p. 25) si sa di certo che ciò non è vero.
67
()
Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico (Trad. di G. CANESTRINI).
generale colle Neottia e Listera.
Il sig. Fitzgerald, nella introduzione alla sua opera Australische Orchideen, dice che la Thelymitra
carnea, una delle Neottiee, si feconda da sè senza eccezione, e precisamente per ciò che il polline
incoerente cade sullo stigma. Tuttavia esistono ancora il rostello vischioso e altri apparecchi adattati
alla fecondazione incrociata. I fiori si aprono di rado, e mai prima di essersi da sè fecondati, così che
sembrano avvicinarsi ad uno stato cleistogamico. La Thelymitra longifolia viene pure fecondata
entro la gemma, secondo lo stesso Fitzgerald, ma tuttavia i fiori di essa restano aperti nei bei giorni
per la durata di un’ora circa e qui è almeno possibile una fecondazione incrociata. D’altra parte le
specie del genere affine Diuris sarebbero completamente dipendenti dagl’insetti in rapporto alla loro
fecondazione.
Capitolo V.
MALAXEæ ED EPIDENDREæ
Malaxis paludosaMasdevallia, con fiori chiusi in modo singolare. – Bolbophyllum, il labello è tenuto in continuo
movimento da ogni soffio di aria. – Dendrobium, adattamento alla autofecondazione. – Cattleya, semplice modo di
fecondazione. – Epidendrum – Epidendri autogamici.
Ho descritto nei precedenti capitoli il modo di fecondazione di quindici generi della Gran Bretagna,
appartenenti nella classificazione di Lindley alle Ophrydeæ, Arethuseæ e Neottieæ. Vi ho poi
aggiunto una breve descrizione di parecchie specie straniere appartenenti alle stesse tribù,
approfittando delle osservazioni che furono pubblicate dopo la comparsa della prima edizione di
questo libro. Ed ora mi rivolgerò ai grandi gruppi esotici delle Malaxee, Epidendree e Vandee, le
quali costituiscono uno splendido ornamento delle foreste tropicali. Lo scopo principale che mi
proposi dell’esame di queste ultime forme si fu di constatare, se i loro fiori vengono fecondati
regolarmente dal polline di altre piante trasportato dagli insetti. Ebbi in mente ancora di esaminare,
se le masse polliniche eseguiscano quei particolari movimenti di abbassamento, mediante i quali
esse, come io scopersi, dopo il trasporto mediante gl’insetti vengono poste nella posizione più
opportuna per giungere a contatto colla faccia dello stigma.
Dalla cortesia di molti amici e stranieri fui messo in istato di poter esaminare fiori freschi di
parecchie specie, appartenenti per lo meno a cinquanta generi esotici dei diversi sottogruppi delle tre
sopraccennate grandi tribù.
(
68
)
Non è mia intenzione di descrivere i mezzi e i modi della
fecondazione in tutti questi generi, ma voglio solo trascegliere alcuni pochi casi fra i più singolari, i
quali illustrino le precedenti descrizioni. La moltiplicità degli apparecchi che sono adatti a favorire
l’incrociamento dei fiori sembra essere inesauribile.
MALAXEÆ
Malaxis paludosa. – Questa rara orchidea
(
69
)
è l’unico rappresentante inglese di questa tribù ed è la
più piccola di tutte le specie inglesi. Il labello è rivolto all’in su,
(
70
)
invece che al basso, così che non
68()
Esprimo la speciale mia obbligazione al Dr. Hooker, il quale mi accordò in ogni circostanza i suoi preziosi consigli
e mai si stancò di spedirmi degli esemplari dal Regio Giardino Botanico di Kew.
Il sig. James Veitch jun. mi ha favorito con grande liberalità molti magnifici esemplari di orchidee, alcuni dei quali mi
furono di speciale utilità. Anche il sig. R. Parker mi ha spedito una serie assai preziosa di forme. Lady Dorothy Nevill ha
messo a mia disposizione nella maniera più cortese la di lei preziosa collezione di orchidee. Il sig. Rucker di West-Hill,
Wandsworth, mi ha mandato ripetute volte grandi infiorescenze di Catasetum, un Mormodes e alcuni Dendrobium. Il
sig. Rodgers di Sevenoaks mi fu cortese di interessanti comunicazioni. Il sig. BATEMAN, così ben conosciuto per il suo
prezioso libro sulle Orchidee, mi ha fatto avere un buon numero di forme interessanti, fra cui il mirabile Angræcum
sesquipedale. Sono poi obbligato assai al sig. Turnbull in Down per il permesso di usare liberamente della di lui serra e
per avermi fatto conoscere alcune interessanti orchidee, così pure al di lui giardiniere, il sig. Horwood, per l’aiuto
prestatomi in alcune mie osservazioni. Il prof. Oliver mi ha aiutato cortesemente col suo ricco materiale scientifico e per
aver rivolta la mia attenzione a parecchie memorie. In fine il Dr. Lindley mi ha spedito esemplari freschi e secchi e mi
aiutò cortesemente in altri modi. A tutti questi signori io non posso far altro che esprimere i miei più vivi ringraziamenti
per la loro cortesia e liberalità.
69
()
Devo la mia obbligazione al signor Wallis di Hartfield, Sussex, per molti esemplari viventi di questa orchidea.
70
()
Credo che sir JAMES SMITH abbia fatto menzione per il primo di questo fatto nella sua English Flora, vol. IV, p. 47,
1828. Verso il vertice dell’infiorescenza il sepalo inferiore non è pendente come è rappresentato nel disegno (fig. 19, A),
offre una stazione agli insetti come la maggior parte delle altre orchidee. Il suo margine inferiore
circonda la colonnetta e rende tuboloso l’ingresso del fiore. Per la sua posizione serve in parte di
protezione agli organi della fruttificazione (fig. 19). Nella maggior parte delle orchidee il sepalo e i
due petali superiori servono di protezione; ma qui sono ambedue i petali e tutti i sepali portati
all’indietro allo scopo, come pare, di procurare agl’insetti un libero accesso al fiore. La posizione
del labello è tanto più notevole, perchè fu appositamente raggiunta, come si può dedurre dal fatto
che l’ovario ha subito una torsione a spirale. In tutte le orchidee il labello è propriamente rivolto
verso l’alto e acquista la sua ordinaria posizione sulla faccia inferiore del fiore solo in seguito ad
una torsione dell’ovario; ma nella Malaxis questa torsione è protratta tanto, che il fiore riacquista la
stessa posizione, come se l’ovario non fosse punto torto, e a questa posizione ritorna sempre
l’ovario nell’epoca della maturità, in grazia d’una graduale retrotorsione.
Se si risolvono questi fiori minutissimi nelle loro parti, si vede che la colonnetta è
longitudinalmente tripartita; la parte mediana della metà superiore è il rostello (fig. B). Il margine
superiore della porzione inferiore della colonnetta è sporgente là dove è fissato alla base del rostello
e forma una cavità abbastanza profonda. Questa cavità è la stimmatica, la quale può essere
paragonata al taschino d’un panciotto. Io trovai masse polliniche, le quali trasportate dagli insetti
erano penetrate colla loro larga estremità dentro la tasca: ed un fascio di tubi pollinici erano
penetrati nel tessuto dello stigma.
Il rostello, il quale sta esattamente sopra la cavità stimmatica, è una prominenza elevata e
membranosa di colore bianchiccio, formata da cellule quadrangolari e rivestita d’un sottile strato di
sostanza viscosa; posteriormente è alquanto concava e il suo apice è sorpassato da una piccola
massa linguiforme di sostanza vischiosa. La colonnetta col suo stretto stigma borsiforme e col
rostello sovrastante è posteriormente in ambo i lati congiunta con una espansione membranosa di
color verde, la quale è convessa all’esterno e concava all’interno, e il di cui vertice è appuntito ai
due lati e posto un po’ sopra all’apice del rostello. Queste due membrane sono piegate circolarmente
(vedi fig. C e D) e fissate ai filamenti o alla base dell’antera; esse formano in tal modo un clinandro
nappiforme dietro il rostello. Lo scopo di questo nappo è di proteggere i fianchi delle masse
polliniche. Nell’esame della omologia delle diverse parti si vedrà dal decorso dei vasi spirali, che
queste due membrane rappresentano le due antere superiori del ciclo interno allo stato rudimentale,
le quali furono utilizzate a questo scopo particolare.
Fig. 19. – MALAXIS PALUDOSA
(Presa in parte da BAUER, ma modificata dietro esemplari viventi).
a. antera – p. polline – cl. clinandro – l. labello – v. vasi spirali – r. rostello –
s. stigma – u. il sepalo, che nella maggior parte delle orchidee sta nella
parte superiore del fiore.
A. Fiore perfetto visto di fianco, il labello nella sua posizione naturale, volto
all’in su.
B. Colonnetta vista di fronte, per mostrare il rostello, lo stigma borsiforme e
le parti anterolaterali del clinandro.
C. Colonnetta vista posteriormente e racchiusa entro la gemma, per mostrare
l’antera contenente le masse polliniche piriformi, che confusamente
s’intravvedono, e i margini posteriori del clinandro.
D. Fiore spiegato visto dal di dietro coll’antera contratta e avvizzita e le
masse polliniche libere.
E. Le due masse polliniche aderenti ad una massa trasversale di sostanza
viscosa, indurita nell’alcool.
Si può trovare prima dell’apertura del fiore una piccola massa o una goccia di sostanza vischiosa
sull’apice del rostello, un po’ al disopra della sua faccia anteriore. Dopo che il fiore restò aperto per
breve tempo, questa goccia si contrae alquanto e diventa ancora più vischiosa. La sua natura
chimica è diversa da quella della sostanza viscosa della maggior parte delle orchidee; poichè essa si
conserva liquida anche in seguito ad una completa esposizione all’aria protratta per molti giorni.
Dall’esame di questi fatti fui indotto a conchiudere che il liquido viscoso trasudi dall’apice del
rostello; ma fortunatamente esaminai una forma assai affine delle Indie Orientali, la Microstylis
Rhedii (speditami dal dott. Hooker da Kew) e vi potei osservare una goccia simile di sostanza
ma è sporgente quasi ad angolo retto. Così pure i fiori non sono sempre così perfettamente torti, come sono qui
rappresentati.
viscosa prima dell’antesi. Avendo poscia aperto una gemma ancora più giovane, trovai all’apice del
rostello una papilla minuta e regolarmente linguiforme, formata da cellule, le quali al più leggiero
contatto si risolsero in una goccia di liquido vischioso. In questa età anche la faccia anteriore
dell’intiero rostello, fra il suo apice e lo stigma borsiforme, era rivestita di cellule ripiene d’una
analoga sostanza bruna e vischiosa, così che si può difficilmente dubitare che, se io avessi
esaminato una gemma abbastanza giovane di Malaxis, avrei trovato un’analoga piccola papilla
linguiforme e cellulare all’apice del rostello.
L’antera si apre ampiamente ancora mentre il fiore è entro la gemma, poi avvizzisce e si contrae
verso il basso, così che nel fiore completamente aperto le masse polliniche si presentano affatto
nude, ad eccezione delle loro larghe estremità inferiori, le quali sono accolte in due piccoli nappi
formati dalle logge avvizzite dell’antera. Questa contrazione dell’antera è rappresentata nella fig. D,
che è da paragonarsi colla fig. C, la quale mostra l’antera entro la gemma. Le estremità superiori ed
acuminate delle masse polliniche riposano sulla cresta del rostello e la sorpassano; entro la gemma
non sono fisse; ma al principio dell’antesi del fiore esse sono raggiunte dalla faccia posteriore della
goccia di sostanza vischiosa, di cui la faccia anteriore sporge alquanto oltre la superficie del rostello.
Che in questo raggiungimento non vi è in giuoco alcuna azione meccanica, mi sono convinto
lasciando aprirsi alcune gemme nella mia stanza. Nella fig. E le masse polliniche non sono
esattamente nella loro posizione naturale, ma sono figurate esattamente come si presentano allorchè
vengono levate con un ago da un esemplare conservato nello spirito, dove la piccola massa
irregolare di sostanza vischiosa s’indurisce e si fissa fortemente alle loro estremità.
Le masse polliniche constano di due paia di fogli esilissimi di polline ceroso e i quattro fogli sono
formati da granelli composti ed angolosi, i quali mai si separano l’uno dall’altro. Poiché le masse
polliniche sono libere ordinariamente e trattenute solo dalle loro estremità appiccicate alla goccia di
sostanza vischiosa e dalle loro basi accolte nelle logge dell’antera ed essendo i petali ed i sepali
fortemente piegati all’indietro, le masse polliniche verrebbero a giacere così libere nella perfetta
antesi del fiore, da bastare il più piccolo soffio di vento a portarle via dalla loro positura naturale, se
non fossero sicuramente protette entro l’espansione membranosa esistente ai due lati della
colonnetta, che forma il clinandro.
Allorché un insetto introduce la sua proboscide o il suo capo nello stretto spazio esistente fra il
labello eretto e il rostello, dovrà inevitabilmente toccare la piccola massa viscosa prominente; e
volando oltre trascinerà seco le masse polliniche. Io sono riuscito facilmente ad imitare questo
processo, introducendo un piccolo oggetto nel fiore tubuloso fra il labello e il rostello. Se lo stesso
insetto visita poscia un altro fiore, i fogli pollinici assai esili aderenti alla proboscide o al capo in
direzione ad essi parallela, verranno introdotti colle loro larghe estremità all’innanzi entro il nappo
stigmatico. Io ho trovato masse polliniche fissate in questa posizione alla espansione membranosa
superiore del rostello ed una grande quantità di tubi pollinici erano penetrati nel tessuto dello
stigma. Lo scopo del sottile strato viscoso, che in questo genere e nel genere Microstylis riveste la
superficie del rostello e che non ha nulla a fare col trasporto del polline da un fiore all’altro, mi
sembra essere quello di trattenere i fogli pollinici entro la cavità stigmatica, dopoché le loro
estremità inferiori vi sono state introdotte dagli insetti. Questo fatto dal punto di vista delle
omologie è assai interessante; poiché la natura primitiva e lo scopo della sostanza vischiosa del
rostello si fu, come vedremo in seguito, lo stesso come quello della secrezione degli stigmi della
maggior parte dei fiori, vale a dire, di trattenere sulla faccia dello stigma il polline che vi fosse
arrivato in qualunque modo.
Quantunque i fiori di Malaxis sieno assai piccoli e non appariscenti, tuttavia adescano gli insetti in
alto grado. Ciò si rese manifesto per il fatto, che le masse polliniche di tutti i fiori delle spiche da
me esaminate erano state allontanate, ad eccezione di quelle di uno o due fiori collocati
immediatamente presso le gemme. In parecchie spiche più vecchie tutte le masse polliniche erano
state trasportate. Gl’insetti portano via talvolta solo uno delle due paja. Io vidi un fiore con tutti
quattro i fogli pollinici ancora al loro posto e con uno isolato nella cavità dello stigma; questo
doveva decisamente essere stato introdotto da un insetto. Così pure trovai fogli pollinici sugli stigmi
di molti altri fiori. Questa pianta produce una grande quantità di semi, e in una spica dei
ventiquattro fiori inferiori, tredici avevano messo grandi capsule.
Passiamo ora a studiare alcuni generi esotici. Le masse polliniche di Pleurothallis prolifera e Pl.
ligulata (?) sono provvedute d’un picciuolo piccolissimo, ed è necessaria un’azione meccanica per
trasportare la sostanza viscosa dalla faccia inferiore del rostello entro l’antera, per fissare colà i
picciuoli e render possibile il trasporto delle masse polliniche. D’altro canto nella nostra Malaxis
inglese come nella Microstylis Rhedii delle Indie orientali la faccia superiore del piccolo rostello
ligulato diventa vischiosa e s’attacca senza alcun aiuto meccanico alle masse polliniche. Ciò sembra
avvenire anche nella Stelis racemiflora; però non ebbi mai i fiori di questa in buono stato per
l’esame. Faccio menzione di quest’ultimo fiore in parte per ciò, che nella serra di Kew un qualche
insetto ne trasportò la massima parte delle masse polliniche e alcuni di essi li depose ai lati dello
stigma. Questi fiori piccoli e singolari sono ampiamente aperti e liberamente esposti; ma dopo
qualche tempo si addossano i tre sepali con perfetta esattezza, per cui è quasi impossibile
distinguere un fiore vecchio da una gemma; però io vidi con meraviglia che i fiori chiusi si
aprivano, quando venivano posti nell’acqua.
Fig. 20 – MASDEVALLIA FENESTRATA.
La finestra del lato rivolto allo spettatore è rappresentata nell’ombra. n.
nettario.
La specie affine Masdevallia fenestrata porta un fiore straordinario. I tre sepali restano sempre uniti,
invece di chiudersi come nella Stelis solo dopo qualche tempo che il fiore restò aperto, e non si
aprono mai. Due piccolissimi fori ovali e laterali (d’onde il nome fenestrata) esistono nella parte
superiore del fiore, l’uno di fronte all’altro, e costituiscono l’unico ingresso nel fiore, ma la presenza
di queste due finestre ovali (fig. 20) dimostra quanto sia necessaria in questo caso, come nel
massimo numero delle altre orchidee, la visita degli insetti. In qual modo gli insetti eseguiscano
l’atto della fecondazione non ho potuto capire. Sul fondo dell’ampio spazio oscuro limitato dai
sepali chiusi se ne sta la piccola colonnetta e davanti ad essa trovasi il labello solcato e con
un’articolazione assai mobile: ai lati stanno i due petali superiori, formando così un piccolo tubo. Se
un un piccolo insetto vi s’introduce, o, ciò che è meno probabile, se un grande insetto introduce la
sua proboscide per una delle finestre, deve trovare col mezzo del tatto il tubo interno per
raggiungere il nettare che trovasi alla base del fiore. Dal piccolo tubo formato dalla colonnetta, dal
labello e dai petali laterali si diparte mediante articolazione un largo rostello prolungandosi in modo
da formare un angolo retto, ma può essere facilmente curvato all’in su. La sua faccia inferiore è
vischiosa e questa sostanza vischiosa s’indurisce e si dissecca rapidamente. I piccolissimi picciuoli
delle masse polliniche che vengono fuori dalle logge dell’antera s’appoggiano sulla base della faccia
superiore membranosa del rostello. La cavità stimmatica allo stato di maturità non è molto
profonda. Io tentai invano, dopo aver asportato i sepali, di allontanare le masse polliniche
coll’introdurre una setola nel tubo del fiore, ma potei ottenere ciò senza molta difficoltà facendo uso
d’un ago curvato. Tutta la struttura del fiore sembra tendere ad impedire una facile fecondazione del
fiore; e questo dimostra che noi non comprendiamo la struttura di questo fiore. Un qualche insetto
aveva visitato questi fiori nella serra di Kew; poiché nell’interno di essi, presso il fondo, furono
deposte molte uova.
Del genere Bolbophyllum esaminai i piccoli e meravigliosi fiori di quattro specie, che tenterò di
descrivere qui dettagliatamente. Nel B. cupreum e cocoinum la faccia superiore ed inferiore del
rostello si risolve in sostanza vischiosa, la quale deve essere spinta all’in su entro l’antera dagli
insetti per assicurarsi le masse polliniche. Io ottenni ciò facilmente introducendo un ago entro il
fiore, il quale per la posizione del labello è tubuloso, e poscia ritirandolo. Nel B. rhizophoræ la
loggia dell’antera si muove nel fiore maturo all’indietro e lascia così completamente esposte le due
masse polliniche che sono aderenti alla faccia superiore del rostello. Esse sono tenute assieme da
sostanza viscosa e, giudicando dall’effetto di una setola, vengono allontanate sempre insieme. La
cavità dello stigma è assai profonda ed ha una bocca ovale, su cui combacia esattamente una delle
due masse polliniche. Dopo che il fiore è rimasto aperto per qualche tempo, i margini laterali
dell’imboccatura ovale si incurvano e chiudono completamente la cavità stigmatica, un fatto, che io
non ho osservato in nessuna altra orchidea e che credo essere qui in relazione alla libera esposizione
dell’intiero fiore. Se le due masse polliniche aderenti ad un ago o ad una setola si premono contro la
cavità stimmatica, una di esse scivola con tutta facilità entro la piccola apertura, come si poteva
prevedere. Ciò nulla meno gli insetti nelle loro visite successive a questi fiori devono venire
esattamente nella stessa posizione, per allontanare prima le due masse polliniche e per introdurne
poscia una nella bocca dello stigma. I due petali superiori filiformi potrebbero servire di guida
all’insetto; ma il labello, invece di rendere il fiore tubuloso, pende a guisa di lingua fuori da una
bocca ampiamente aperta.
Il labello è in tutte le altre specie da me vedute, e specialmente nel B. rhizophoræ, notevole per ciò
che è collegato colla base della colonnetta col mezzo di una listarella assai sottile, stretta e bianca, la
quale è elastica e pieghevole in modo significante; essa è in alto grado elastica, quando viene
distesa, a guisa di una striscia di guttaperca. Appena un soffio di vento incontrava i fiori di questa
specie, i labelli liguliformi oscillavano tutti in modo assai mirabile. In alcune specie, che io non ho
potuto vedere, per es. nel B. barbigerum, il labello è provveduto d’una barba di fini peli; e di questi
dicesi, che sieno essi la causa per cui il labello oscilla continuamente per un soffio di vento il più
leggero. Quale possa essere l’utilità di questa estrema flessibilità e mobilità del labello non posso
comprendere, quando non servisse ad eccitare l’attenzione degli insetti, poichè fiori di questa specie
hanno colori tetri, sono piccoli e non appariscenti, all’opposto di quanto avviene in molte altre
orchidee, in cui sono grandi, vivacemente colorati, appariscenti ed odorosi. Si ritiene che i labelli di
alcune specie sieno irritabili; ma io non ho potuto nelle specie da me esaminate scoprire alcuna
traccia di questa proprietà. Secondo Lindley, il labello della specie affine Megaclinium falcatum fa
delle ondulazioni spontanee dal basso all’alto e viceversa.
L’ultimo genere delle Malaxeæ, di cui farò menzione, è il Dendrobium, del quale almeno una
specie, vale a dire il D. chrysanthum, è interessante per ciò che sembra avere una struttura adatta
alla fecondazione propria, quando un insetto, visitando i fiori, non avesse a trasportare le masse
polliniche. Il rostello ha una faccia superiore ed una inferiore piccola formate da membrane; fra
queste trovasi una densa massa di sostanza bianca lattiginosa, che può essere facilmente spinta fuori
per compressione. Questa sostanza bianca è meno viscosa di quello che lo sia d’ordinario; ma se
viene esposta all’aria si forma alla sua superficie in meno di mezzo minuto una pellicola e si
dissecca trasformandosi in una massa cerosa o caseosa. La faccia dello stigma che è grande e
concava giace sotto il rostello. Il labbro anteriore allungato dell’antera (v. A, fig. 21) copre quasi
intieramente la faccia superiore del rostello. Il filamento dell’antera è di considerevole lunghezza,
ma nel disegno A è nascosto dietro il corpo dell’antera; nello spaccato B si può vedere, dopo che si
è reso sporgente; esso è elastico e preme l’antera fortemente in basso contro la faccia obliqua del
clinandro (v. fig. 21, B), che giace dietro il rostello. Se il fiore è spiegato, le due masse polliniche
riunite in un’unica massa giacciono perfettamente libere sul clinandro e sotto la loggia dell’antera. Il
labello avvolge la colonnetta, lasciando libero anteriormente un passaggio. La porzione mediana del
labello (come si può vedere in A, fig. 21) è ingrossata e si prolunga in alto fino al vertice dello
stigma. La porzione inferiore della colonnetta è trasformata in un nettario ipocrateriforme, il quale
secerne nettare.
Fig. 21. – DENDROBIUM CHRYSANTHUM.
a. antera – r. rostello – s. stigmal. labello – n. nettario.
A. Fiore visto di fianco coll’antera in posizione naturale prima della
emissione delle masse polliniche. Tutti i sepali e i petali sono asportati ad
eccezione del labello, il quale è longitudinalmente spaccato.
B. Contorno della colonnetta vista lateralmente, dopo che l’antera ha emesso
le masse polliniche.
C. Colonnetta vista di fronte, che presenta le logge dell’antera vuote dopo la
emissione delle masse polliniche. L’antera è rappresentata troppo
pendente verso il basso e copre una parte maggiore dello stigma nel
disegno di quello che sia in realtà.
Se un insetto tenta l’ingresso in uno di questi fiori, il labello che è elastico cederà e il labbro
sporgente dell’antera difenderà il rostello da ogni disturbo; ma allorchè l’insetto si ritira, il labbro
dell’antera si solleva e la sostanza viscosa è spinta dal rostello dentro l’antera, per cui la massa
pollinica si attaccherà all’insetto e verrà trasportata da esso su un altro fiore. Ho potuto facilmente
imitare questo atto; ma poichè le masse polliniche sono prive di picciuolo e giacciono entro il
clinandro piuttosto addietro e sotto l’antera, e poiché in fine la sostanza messa dal rostello non è
fortemente viscosa, esse restarono talvolta indietro.
In conseguenza dell’inclinazione della base del clinandro e della lunghezza ed elasticità del
filamento, l’antera subito dopo sollevata si fa sporgente oltre il rostello e se ne sta colà pendente
colle sue logge inferiori vuote sopra l’apice dello stigma (v. C, fig. 21). Il filamento è ora disteso
trasversalmente sopra lo spazio coperto originariamente dall’antera. Io ho sollevato più volte il
labbro dell’antera con un ago, dopo aver asportato tutti i petali e il labello e di aver collocato il fiore
sotto il microscopio, senza sturbare menomamente il rostello, e vidi l’antera prendere scattando la
posizione che è rappresentata in B ed in C, fig. 21. Per questo atto di sollevamento l’antera trascina
la massa pollinica fuori del clinandro concavo, e la lancia in alto e nell’aria, con tanta forza quanta è
esattamente necessaria per farla cadere nel mezzo dello stigma vischioso, a cui s’attacca.
Questo processo allo stato di natura non può essere descritto che in questo modo, poiché il labello
pende al basso; e per comprendere che cosa qui avvenga è necessario mettersi davanti il disegno
quasi rovesciato. Se ad un insetto non dovesse riuscire di allontanare la massa pollinica del rostello
col mezzo della sostanza viscosa, allora soltanto la massa pollinica verrebbe lanciata sulla superficie
sporgente del labello collocata sotto lo stigma. È d’uopo però ricordare che il labello è elastico e che
nel momento in cui un insetto sta per abbandonare il fiore, il labbro dell’antera si solleva
determinando con ciò la uscita della massa pollinica, poi scatta all’indietro e urtando contro la
massa pollinica la lancia in alto di modo che viene a cadere sullo stigma. Io sono riuscito due volte
ad ottenere ciò, tenendo i fiori nella loro posizione naturale e imitando il ritirarsi d’un insetto;
quando apersi il fiore trovai la massa pollinica attaccata allo stigma.
Questo modo di vedere riguardo alla funzione del filamento elastico potrebbe sembrare fantastico,
considerando quanto questo processo sia complicato; ma noi abbiamo veduto tanti e così
meravigliosi adattamenti, che io non posso credere che la grande elasticità del filamento e
l’ingrossamento della parte mediana del labello sieno particolarità di struttura senza scopo e senza
significato. Se il processo è quello da me descritto, noi possiamo comprendere la loro importanza;
poichè deve essere un vantaggio per la pianta, che la sua unica e grande massa pollinica non vada
perduta inutilmente, ammesso che non riesca ad uscire dal rostello attaccandosi ad un insetto col
mezzo della sostanza vischiosa. Questo apparecchio non s’incontra in tutte le specie di questo
genere, poichè nè nel D. bigibbum nè nel D. formosum il filamento dell’antera fu trovato elastico:
ma non avendo io esaminato che un solo fiore e precisamente prima d’avermi spiegato la struttura di
D. chrysanthum, non sono in caso di spiegare come esso agisca.
Il signor Anderson afferma
(
71
)
di aver visto un caso in cui i fiori del suo Dendrobium cretaceum non
si apersero e produssero tuttavia frutti, di cui me ne spedì uno. Quasi tutti i numerosi semi contenuti
in questa capsula racchiudevano embrioni e differivano per questa ragione assai dai casi che
verranno presto comunicati, relativi ai semi provenienti dalla autofecondazione dei fiori non aperti
di una Cattleya. Il signor Anderson osserva che i Dendrobium sono gli unici rappresentanti delle
Malaxee, i quali, per quanto finora è noto, producano capsule spontaneamente. Egli asserisce inoltre
che nell’immenso gruppo delle Vandee, che verrà descritto più avanti, nessuna specie da lui
coltivata ha mai prodotto frutti spontaneamente, ad eccezione di alcune specie appartenenti al
sottogruppo delle Brassideæ e del Sarcanthus Parishii.
EPIDENDREÆ.
Le Epidendree e Malaxee sono caratterizzate dalla unione dei granelli pollinici in grandi masse
cerose. Si è detto che nell’ultimo di questi gruppi le masse polliniche sono prive di picciuolo; questa
regola non è però senza eccezione, poichè nella Masdevallia fenestrata e in alcune altre specie
esistono picciuoli in istato di attività, sebbene non siano aderenti ed abbiano minute proporzioni.
D’altro canto esistono sempre nelle Epidendree picciuoli liberi o non aderenti. Per il mio scopo
queste due grandi tribù avrebbero potuto essere prese assieme, dacché la differenza derivante dalla
presenza di picciuoli non è sempre accettabile. Ma s’incontrano spesso cotali difficoltà nella
classificazione di gruppi sviluppati in modo significante o così detti naturali, entro i quali per
estinzione si sieno formate relativamente poche lacune.
Comincerò col genere Cattleya, di cui ho esaminato parecchie specie. Esse vengono fecondate in un
modo assai semplice, diverso da qualunque altro osservato nelle orchidee inglesi. Il rostello (r, fig.
22, A, B) è una sporgenza larga liguliforme, la quale si curva facilmente sopra lo stigma; la sua
faccia superiore è formata da una membrana liscia; la inferiore assieme alla porzione centrale
71
()
Journal of Horticulture, 1863, p. 206, 287.
(originariamente una massa di cellule) consta di un grosso strato di sostanza vischiosa. Questa
massa vischiosa è appena diversa dalla sostanza vischiosa che riveste la faccia stimmatica, che giace
immediatamente sotto il rostello. Il labbro superiore sporgente dell’antera s’appoggia sulla porzione
basilare della faccia superiore membranosa del rostello liguliforme e si apre immediatamente sopra
di essa. L’antera è tenuta chiusa da una molla nel punto della sua inserzione al vertice della
colonnetta. Le masse polliniche constano di quattro (od otto nella Cattleya crispa) masse cerose,
provvedute tutte di una coda nastriforme (v. C e D, fig. 22), formata da un fascio di filamenti
fortemente elastici, a cui sono attaccati qua e là numerosi granelli pollinici. Il polline è quindi di due
qualità, vale a dire in masse cerose e in singoli granelli composti (formato ordinariamente ciascuno
di quattro), i quali sono collegati da filamenti elastici. Questa ultima specie di polline è identica col
polline di Epipactis e di altre Neottiee.
(
72
)
Queste code portanti i granelli pollinici funzionano da
picciuoli e sono anche così denominate, poichè servono ad allontanare le masse cerose maggiori
dalle logge dell’antera. Le estremità dei picciuoli sono per lo più ripiegate all’indietro e si
prolungano nel fiore maturo per un certo tratto fuori della loggia dell’antera (v. A, fig. 22), e
giacciono sulla base del labbro superiore membranoso del rostello. Il labello si ripiega attorno alla
colonnetta, per cui il fiore risulta tubuloso; la sua porzione inferiore si prolunga in un nettario che
mette nell’ovario.
Fig. 22. – CATTLEYA.
a. antera – b. molla al vertice della colonnetta – p. masse polliniche – r.
rostello – s. stigma – col. colonnetta – l. labello – n. nettario – g. ovario.
A. Prospetto della colonnetta, tutti i sepali e petali sono asportati.
B. Spaccato e profilo del fiore, i sepali e i petali sono tutti allontanati, ad
eccezione del labello di cui si dà il contorno e spaccato nel mezzo.
C. Antera vista dal di sotto, colle quattro codicole e le sottoposte masse
polliniche.
D. Massa pollinica isolata vista da un lato; è visibile il picciuolo.
Veniamo ora alla funzione di queste parti. Se un corpo qualsiasi di grandezza corrispondente a
quella del fiore tubuloso viene introdotto in questo – un pecchione morto corrisponde assai bene – il
rostello liguliforme viene depresso e l’oggetto viene facilmente cosperso di sostanza vischiosa;
quando quest’oggetto viene ritirato, il rostello si ripiega all’in su e viene sparsa una grande quantità
di sostanza vischiosa sui bordi, sui lati e anche entro il labbro dell’antera, il quale, pure in seguito al
rivolgimento del rostello, è facilmente sollevato all’in su. In conseguenza di ciò, gli apici
prominenti dei picciuoli si fissano istantaneamente all’oggetto che si ritira e le masse polliniche
vengono estratte. Nei miei esperimenti varie volte ripetuti avvenne di rado che ciò non si
verificasse. Allorchè un pecchione vivente, o un altro grande insetto, si arresta sul margine frangiato
del labello e s’introduce nel fiore, esso deprimerà il labello e probabilmente non turberà il rostello
prima d’aver succhiato il nettare e d’incominciare la sua ritirata. Se un pecchione morto, dal cui
dorso pendono le quattro masse polliniche, attaccate coi loro picciuoli, viene introdotto entro un
altro fiore, avverrà certamente che alcuna di esse, o tutte, saranno trattenute dalla faccia stimmatica
larga, inclinata e in alto grado viscosa, la quale pure strapperà i granelli pollinici dai filamenti dei
picciuoli.
Che i pecchioni viventi possano in tal guisa allontanare le masse polliniche è cosa certa. Sir W.C.
Trevelyan spedì al signor Smith del Museo britannico un Bombus hortorum, il quale mi fu
trasmesso; esso fu preso nella di lui serra, dove una Cattleya era in fiore; tutto il suo dorso fra le ali
era cosperso di sostanza viscosa disseccata, e ad essa erano attaccate le quattro masse polliniche coi
loro picciuoli, pronte ad essere sempre trattenute dallo stigma di un altro fiore, se il pecchione fosse
in esso penetrato.
Quelle specie di Lælia, Leptotes, Sophronitis, Barkeria, Phaius, Evelyna, Bletia, Chysis e
Cælogyne, che io ho esaminato, somigliano a quelle di Cattleya in ciò che i picciuoli delle masse
polliniche sono liberi e che la sostanza vischiosa del rostello non può venir in contatto con esse
senza un aiuto meccanico, come pure nel processo generale della fecondazione. Nella Cælogyne
cristata il labbro superiore del rostello è allungato in modo considerevole. Nella Evelyna carinata e
Chysis ad un unico picciuolo sono legate otto masse cerose di polline. Nella Barkeria il labello,
72
()
Le masse polliniche di Bletia sono magnificamente disegnate allo stato d’ingrandimento nei disegni di Bauer,
pubblicati da Lindley nelle sue Illustrations.
invece di essere ripiegato attorno alla colonnetta, è contro di essa compresso, per cui gl’insetti sono
veramente obbligati a far scivolare il loro corpo sul rostello. Nell’Epidendrum osservasi una poco
considerevole differenza: la faccia superiore del rostello, invece di conservarsi costantemente
membranosa, come nei generi precedenti, è così molle che all’urto il più leggero si dissolve assieme
a tutta la faccia inferiore in una massa di sostanza viscosa. In questo caso tutto il rostello, assieme
alle masse polliniche ad esso aderenti, deve essere trasportato dagli insetti, allorché si ritirano dal
fiore. Ho osservato nell’E. glaucum che il rostello lasciava trasudare sostanza viscosa dalla sua
superficie superiore quando veniva toccato, come avviene nel genere Epipactis. Riesce difficile in
questi casi il decidere se la faccia superiore del rostello si debba chiamare membrana o sostanza
vischiosa. Nella Chysis questa sostanza diventa quasi dura e secca nell’intervallo di venti minuti ed
è perfettamente secca ed indurita trenta minuti dopo l’allontanamento.
Nell’Epidendrum floribundum incontrasi una differenza un poco più considerevole. Le corna
anteriori del clinandro (vale a dire il calice che sta al vertice della colonnetta, entro cui giacciono le
masse polliniche) si avvicinano tanto fra loro, da aderire ai due lati del rostello, che per conseguenza
viene a giacere in una fessura, sopra la quale sono collocate le masse polliniche; e poiché in questa
specie la faccia superiore del rostello si discioglie in sostanza viscosa, le masse polliniche
s’attaccano ad esso senza qualsiasi aiuto meccanico. Quantunque in questa specie le masse
polliniche si attacchino nel modo sopraccennato, tuttavia non possono essere allontanate
naturalmente dalle logge dell’antera senza l’intervento degli insetti. In questa specie sembra essere
possibile (sebbene non probabile per la disposizione delle parti), che un insetto estragga le masse
polliniche e poi le abbandoni sullo stigma dello stesso fiore. In tutte le altre specie di Epidendrum
da me esaminate, e in tutti i generi sopra nominati, è evidente che la sostanza viscosa debba essere
spinta verso l’alto e dentro il labbro dell’antera da un insetto che stia ritirandosi, e così questo
trasporterà inevitabilmente le masse polliniche d’un fiore sullo stigma di un altro.
Ciò non pertanto avviene in alcune Epidendree la autofecondazione. Il dottor Crüger riferisce che «a
Trinidad esistono tre specie appartenenti a questa famiglia (una Schomburgkia, Cattleya e un
Epidendrum), le quali di rado aprono i proprii fiori, e questi si presentano senza eccezione
fecondati, allorchè si aprono. In questi casi è facile vedere, che il liquido stimmatico ha agito sulle
masse polliniche e che i tubi pollinici penetrano in situ entro il canale ovarico».
(
73
)
Anche il signor
Anderson, un abile coltivatore di orchidee nella Scozia, afferma che parecchie delle sue Epidendree
si fecondano spontaneamente e da sé.
(
74
)
Per quanto riguarda la Cattleya crispa, i suoi fiori non si
aprono talvolta convenientemente, e tuttavia producono capsule, di cui lo stesso Anderson me ne ha
spedito una. Essa conteneva una grande copia di semi; ad un attento esame mi risultò tuttavia che
solo uno per cento conteneva un embrione. Il signor Gosse ha esaminato ancora più diligentemente
dei semi ottenuti in egual modo, e trovò che due per cento contenevano un embrione. Circa il
venticinque per cento dei semi provenienti da una capsula che si era fecondata da sè della Lælia
cinnabarina, speditami dallo stesso signor Anderson, erano buoni. Egli è quindi dubbioso se le
capsule descritte dal dottor Crüger, prodotte in seguito ad autofecondazione nelle Indie Occidentali,
sieno state fecondate convenientemente e perfettamente. Fritz Müller mi partecipa che egli ha
scoperto nel Sud del Brasile un Epidendrum provveduto di tre antere producenti polline; e questa è
una grande anomalia per l’intiero ordine. Questa specie viene fecondata assai incompletamente
dagli insetti, ma col mezzo delle due antere laterali i fiori si fecondano regolarmente da sè. Fritz
Müller appoggia con buone ragioni la sua opinione, che l’apparsa delle due antere suprannumerarie
in questo Epidendrum sia un caso di riversione alla forma originaria.
(
75
)
Capitolo VI.
VANDEæ
Struttura della colonnetta e delle masse polliniche. – Importanza della elasticità dello stilo; suoi movimenti. – Elasticità
e robustezza dei picciuoli. – Calanthe, con stigmi laterali, modo di fecondazione. – Angræcum sesquipedale, lunghezza
notevole del nettario – Specie in cui l’ingresso nella cavità stimmatica è considerevolmente contratto, così che le masse
polliniche vi possono a stento essere introdotte. – Coryanthes, modo singolare della fecondazione.
73
()
Journ. Linn. Bot., vol. VIII, 1864, p. 131.
74
()
Journal of Horticulture, 1863, p. 206 e 287. Nell’ultima memoria il sig. GOSSE dà una relazione sull’esame
microscopico da lui eseguito sui semi provenienti dalla autofecondazione.
75
()
V. anche Botan. Zeitung, 1869, p. 226; e 1870, p. 152.
Passiamo ora al ricchissimo gruppo delle Vandee, il quale comprende molti dei più belli prodotti
delle nostre serre, ma che, come le Epidendree, non ha alcun rappresentante in Inghilterra. Ho
esaminato ventinove generi. Il polline consta di masse cerose, come nei due ultimi gruppi, e
ciascuna massa pollinica è provveduta d’un picciuolo, il quale è congiunto in uno dei primi stadii
dell’accrescimento col rostello. Il picciuolo è solo di rado attaccato direttamente al disco adesivo,
come nel maggior numero delle Ophrydeæ, ma di solito lo è alla faccia superiore e posteriore del
rostello, e questa parte viene allontanata dagli insetti assieme al disco e alle masse polliniche. Uno
spaccato rappresentante le parti distaccate illustrerà nel modo più opportuno la struttura tipica delle
Vandee (fig. 23). Come nelle altre orchidee, esistono anche qui tre pistilli saldati assieme; di questi
il dorsale (2) forma il rostello che si curva in modo da coprire gli altri due (3); questi si
congiungono per formare l’unico stigma. Al lato sinistro abbiamo il filamento (1) che porta l’antera.
Questa si apre assai per tempo e le estremità dei due picciuoli (nel disegno è rappresentato solo un
picciuolo e una massa pollinica) si prolungano all’innanzi in uno stato di incompleto indurimento
attraverso una piccola fessura e si fissano al dorso del rostello. La faccia superiore del rostello è
ordinariamente incavata allo scopo di accogliere le masse polliniche; essa è rappresentata glabra nel
disegno, ma è in realtà provveduta spesso di creste e di tubercoli allo scopo di favorire l’aderenza
dei due picciuoli. L’antera si apre in appresso più ampiamente lungo la sua faccia inferiore e lascia
libere le due masse polliniche, che però sono attaccate col mezzo dei loro picciuoli al rostello.
Durante uno dei primi periodi di sviluppo avviene una mirabile variazione nel rostello; il suo vertice
oppure la sua faccia inferiore diventa estremamente viscosa (dando origine al disco adesivo) e una
linea di separazione che si presenta dapprima a guisa di una zona di tessuto ialino, va a poco a poco
formandosi e rende libero il disco adesivo e l’intiera superficie del rostello fino addietro al punto di
inserzione del picciuolo. Se in questo momento un oggetto qualsiasi tocca il disco adesivo, questo
può venire facilmente allontanato assieme a tutta la parte dorsale del rostello, i picciuoli e le masse
polliniche. Nei libri di botanica si denomina ordinariamente picciuolo tutto quanto sta fra il disco o
faccia adesiva (che ha ordinariamente il nome di glandola) e le masse polliniche; ma poiché tutte
queste parti hanno una funzione importante nella fecondazione della pianta, e poiché, per origine e
struttura, sono essenzialmente distinte, io chiamerò picciuoli i due filamenti elastici, che hanno
origine esattamente nelle logge dell’antera, e la porzione del rostello a cui essi sono attaccati (vedi il
disegno) e che non è vischiosa, la chiamerò stilo. La porzione vischiosa del rostello la chiamerò
sempre faccia o disco adesivo. Il complesso si può chiamare brevemente pollinio.
Fig. 23.
Spaccato ideale per illustrare la struttura della colonnetta delle VANDEE.
(1) Il filamento che porta le antere colle loro masse polliniche; l’antera è
rappresentata dopo che si è aperta lungo l’intiera sua faccia inferiore, di
modo che lo spaccato presenta solo la parete dorsale.
(2) Il pistillo superiore, la porzione superiore è trasformata nel rostello.
(3) I due pistilli inferiori saldati assieme, coi due stigmi fusi in uno unico.
Nelle Ophrydee esistono (ad eccezione della O. pyramidalis e di poche altre specie) due distinti
dischi adesivi. Nelle Vandee, ad eccezione del genere Angræcum, esiste un solo disco, il quale è
nudo, vale a dire non rinchiuso in una borsa. Nell’Habenaria i dischi sono, come abbiamo detto,
divisi dai picciuoli da brevi stili conformati a guisa di tamburo, i quali corrispondono allo stilo
semplice ed ordinariamente più grande delle Vandee. Nelle Ophrydee i picciuoli delle masse
polliniche sono rigidi, quantunque elastici, e servono a portare le masse polliniche ad una distanza
conveniente dal capo o dalla proboscide degli insetti, cosicché raggiungono lo stigma. Nelle Vandee
questo scopo è conseguito mediante lo stilo del rostello. I due picciuoli giacciono nelle Vandee
adagiati e fissati in una profonda fessura delle masse polliniche e sono di rado visibili prima della
loro distensione, poiché le masse polliniche s’appoggiano immediatamente allo stilo del rostello.
Questi picciuoli corrispondono per posizione come per funzione ai filamenti elastici, che servono
nelle Ophrydee a collegare le masse polliniche nel punto dove essi si saldano assieme; poiché la
funzione dei veri picciuoli nelle Vandee è quella di lacerarsi, quando le masse polliniche trasportate
dagli insetti vengono ad aderire alla faccia dello stigma.
In molte Vandee i picciuoli si lacerano facilmente e la fecondazione del fiore, per questo riguardo,
avviene in modo semplice; ma in altri casi è meravigliosa la loro tenacità e la lunghezza che
raggiungono prima di rompersi. Dapprincipio era imbarazzato a spiegare lo scopo a cui queste
proprietà potessero servire. Probabile spiegazione è questa, che le masse polliniche in questo gruppo
sono un oggetto assai prezioso; nel maggior numero dei generi un fiore ne produce solo due, e
giudicando dalla grandezza dello stigma, si attaccano ad esso ordinariamente ambedue. In altri
generi per altro l’apertura che mette nello stigma è così piccola, che probabilmente una sola massa
pollinica viene abbandonata: e in questo caso il polline di un fiore potrebbe bastare a fecondare due
fiori, ma mai un numero maggiore. Giudicando dalla considerevole grandezza dei fiori di molte
Vandee, è da ritenersi per certo che esse vengano fecondate da grandi insetti, i quali, nel volare
attorno, perderebbero facilmente i pollinii a loro aderenti, se i picciuoli non fossero assai robusti e
molto elastici. Così pure, se un insetto carico dei pollinii visitasse un fiore troppo giovane, il cui
stigma non fosse ancora sufficientemente viscoso, oppure un fiore già fecondato, il di cui stigma
cominciasse a disseccarsi, la robustezza del picciuolo impedirebbe che le masse polliniche venissero
inutilmente allontanate e sciupate.
Sebbene la faccia dello stigma in molte di queste orchidee sia a suo tempo in alto grado viscosa,
come, per es., in Phalænopsis e Saccolabium, tuttavia, avendo io introdotto nella cavità stimmatica i
loro pollinii aderenti alla superfice aspra di un oggetto, essi non s’attaccarono con forza sufficiente
da distaccarsi dall’oggetto. Io li lasciai perfino qualche tempo in contatto colla faccia viscosa, come
farebbe un insetto durante il pasto; ma quando cavai fuori i pollinii direttamente dalla cavità
stimmatica, i picciuoli non si ruppero, quantunque distesi fino a grande lunghezza, nè la loro
aderenza all’oggetto cedè tanto da permettere il distacco delle masse polliniche. In seguito a ciò mi
venne in mente, che un insetto, nel volar via, non trascini le masse polliniche fuori della cavità
stimmatica in linea retta, ma in una direzione che stia ad angolo quasi retto colla sua apertura.
Conforme a ciò, imitai il modo d’agire di un insetto che stia ritirandosi e trascini le masse polliniche
in una direzione perpendicolare all’apertura della cavità dello stigma, e in tal modo bastava
ordinariamente l’attrito così prodotto sui picciuoli, in unione alla viscosità dello stigma, a romperli,
e le masse polliniche rimanevano addietro sullo stigma. Per la qual cosa sembra che la
considerevole robustezza ed elasticità dei picciuoli, i quali sono raccolti fino alla loro distensione
nelle masse polliniche, possa servire a proteggere queste ultime dall’esser sciupate inutilmente da
un insetto che volasse attorno, e a permettere loro tuttavia di restare aderenti alla faccia dello stigma
nell’epoca conveniente, quando anche un attrito venga in gioco, e così viene assicurata la
fecondazione del fiore.
I dischi e gli stili del rostello presentano grandi differenze di forma e un numero apparentemente
inesauribile di adattamenti. Perfino nelle specie dello stesso genere, come Oncidium, differiscono
queste parti considerevolmente fra loro. Do qui alcuni disegni che si possono dire scelti a caso (fig.
24). Lo stilo consta ordinariamente, per quanto ho osservato, di una sottile membrana nastriforme
(fig. A); talvolta esso è quasi cilindrico (fig. C), spesso poi ha forme le più diverse. Lo stilo è per lo
più quasi diritto, ma nella Miltonia Clowesii è naturalmente piegato; come ben presto vedremo, esso
assume, in certi casi, dopo l’allontanamento, forme diverse. I filamenti elastici ed estensibili, che
fissano le masse polliniche allo stilo, o non si vedono, o sono difficilmente visibili, essendo
racchiusi in una fessura o cavità di ciascuna massa pollinica. Il disco che è viscoso alla sua faccia
inferiore, è formato da un pezzo di membrana sottile o grossa di forma diversa. Nell’Acropera è
conformata a guisa di berretto acuminato; in altri casi ha la forma ligulata o di cuore (fig. C), oppure
di sella, come in alcune Maxillaria, ossia di grosso cuscino (fig. A), come in molte specie di
Oncidium, in cui lo stilo, invece di essere inserito, come di solito, quasi nel mezzo, lo è ad una
estremità. Nell’Angræcum distichum e sesquipedale, il rostello è incavato e possono essere separati
due dischi sottili e membranosi, ciascuno dei quali porta su breve peduncolo una massa pollinica.
Nel Sarcanthus teretifolius il disco ha una forma assai strana (fig. D): e poiché la cavità dello stigma
è molto profonda e di forma pure singolare, veniamo indotti nella supposizione che il disco venga
fissato con grande esattezza al capo prominente e quadrangolare di un insetto.
(
76
)
76
()
Osserverò qui che DELPINO (Fecondazione nelle piante, Firenze, 1867, p. 19) riferisce di aver esaminato fiori di
Vandea, Oncidium, Epidendrum, Phaius e Dendrobium e dice di poter confermare in generale le mie asserzioni.
Fig. 24. – MASSE POLLINICHE DI VANDEE.
d. disco adesivo – p. masse polliniche – ped. stilo.
I picciuoli non si vedono perché nascosti dentro le masse polliniche.
A. Massa pollinica di Oncidium grande dopo una leggera depressione.
B. Massa pollinica di Brassia maculata (copiata da Bauer).
C. Massa pollinica di Stanhopea saccata dopo la depressione.
D. Massa pollinica di Sarcanthus teretifolius dopo la depressione.
Nel maggior numero dei casi vi è un nesso evidente fra la lunghezza del peduncolo e la profondità
del ventricolo dello stigma, in cui devono penetrare le masse polliniche. In alcuni pochi casi però, in
cui esiste contemporaneamente un lungo peduncolo e uno stigma piano, avremo ben presto
occasione d’incontrare dei processi complementari meravigliosi. Dopo che il peduncolo e il disco
sono stati allontanati, la forma della porzione del rostello rimasta addietro è naturalmente cambiata,
e si presenta considerevolmente più breve, più sottile e talora incavata. Nel genere Stanhopea vien
levata via tutta l’estremità superiore del rostello, e rimane solo una prominenza leggera, acuminata,
simile ad un ago, la quale originariamente percorreva il disco nel suo mezzo.
Se ora rivolgiamo la nostra attenzione al disegno schematico (fig. 23), e ci immaginiamo il rostello
curvato ad angolo retto un po’ più sottile, lo stigma che sta sotto di esso più ingrossato di quello
colà rappresentato, noi vedremo che se un insetto con un pollinio aderente al suo capo volasse sopra
un altro fiore e su questo prendesse esattamente la stessa posizione che aveva prima che fosse
avvenuta l’aderenza, le masse polliniche si troverebbero nella posizione più adatta per il contatto
collo stigma, particolarmente se esse pel loro peso si abbassassero alquanto. Tutto ciò avviene in
Lycaste Skinnerii, Cymbidium giganteum, Zygopetalum Mackai, Angræcum eburneum, Miltonia
Clowesii, in una Warrea, e credo anche nella Galeandra Funkii. Ma se noi pensiamo ora al nostro
disegno, e immaginiamo per esempio che lo stigma sia collocato più in basso sulla colonnetta nel
fondo d’una profonda cavità, oppure che l’antera sia posta più in alto, o che il peduncolo del rostello
si prolunghi maggiormente in alto, ecc., – circostanze tutte che si verificano nelle diverse specie, –
in tali casi un insetto con un pollinio aderente al suo capo, volando sopra un altro fiore, non
porterebbe la massa pollinica a contatto collo stigma, se essa non avesse mutato in modo
considerevole la sua posizione, dopo avvenuta l’inserzione.
Questo cambiamento si verifica in molte Vandee nella stessa maniera che nelle Ophrydee è tanto
comune, vale a dire mediante un movimento di depressione dei pollinii, compiuto nel corso di circa
mezzo minuto, dopo il loro allontanamento dal rostello. Ho potuto osservare distintamente questo
movimento, per il quale il pollinio gira ordinariamente per un quarto di cerchio, in parecchie specie
di Oncidium, Odontoglossum, Brassia, Vanda, Ærides, Sarcanthus, Saccolabium, Acropera e
Maxillaria. Nella Rodriguezia suaveolens questo movimento di depressione è notevole per la sua
straordinaria lentezza, e nella Eulophia viridis per la sua poca estensione. Il signor Charles Wright
dice in una lettera diretta al prof. Asa Gray, di aver veduto in Cuba il pollinio di un Oncidium,
inserito al capo d’un pecchione, e di aver dapprima conchiuso, che io sono perfettamente in errore
riguardo al movimento di depressione; ma dopo parecchie ore esso si mosse per portarsi nella
posizione adatta alla fecondazione del fiore. In alcuni casi precedentemente esposti, in cui i pollinii
non eseguivano apparentemente alcun movimento di depressione, non sono ben sicuro che tuttavia
non ne avvenisse uno poco considerevole dopo alcun tempo. Nelle diverse Ophrydeæ, le logge
dell’antera giacciono talvolta all’esterno, e tal’altra all’interno di fronte allo stigma, e
conseguentemente avvengono nei pollinii dei movimenti verso l’esterno o verso l’interno; ma nelle
Vandee, per quanto ho potuto osservare, le logge dell’antera sono sempre collocate direttamente
sopra lo stigma e il movimento del pollinio è volto sempre direttamente all’in giù. Nel genere
Calanthe tuttavia ambedue gli stigmi sono collocati all’esterno delle logge dell’antera, e le masse
polliniche vengono portate, come vedremo, a contatto di essi col mezzo di un particolare apparato
meccanico delle parti.
Nelle Ophrydee il punto della contrazione producente il movimento di depressione è nella faccia
superiore del disco adesivo, presso al punto d’inserzione dei picciuoli: nella maggior parte delle
Vandee, questo punto è pure situato nella faccia superiore del disco, ma presso il punto d’inserzione
del peduncolo, è quindi lontano per un tratto considerevole dal punto d’inserzione dei veri picciuoli.
La contrazione è determinata da cause igrometriche; io ritornerò su questa questione nel nono
capitolo; e quindi il movimento non si verifica prima che il pollinio sia stato allontanato dal rostello,
e che il punto di congiunzione fra il disco e il peduncolo sia stato esposto per alcuni secondi o
minuti all’aria libera. Se tutta la parte, dopo la contrazione e il conseguente movimento del
peduncolo, s’immerge nell’acqua, allora il peduncolo ritorna indietro e riprende di fronte al disco la
sua primiera posizione. Estratto di nuovo dall’acqua, eseguisce nuovamente il suo movimento di
depressione. È importante constatare questi fatti, poichè ci offrono il mezzo di distinguere questi
movimenti da certi altri.
Nella Maxillaria ornithorhynca incontrasi un fatto unico nel suo genere. Il peduncolo del rostello è
assai allungato, e coperto perfettamente dal labbro anteriore sporgente dell’antera; e in tal modo è
conservato umido. Allorchè viene allontanato si ravvolge rapidamente su se stesso, a un dipresso sul
suo punto centrale; cosicchè diventa la metà della lunghezza primiera. Posto nell’acqua riprende la
sua forma diritta originaria. Se il peduncolo non venisse in qualche modo accorciato, si potrebbe
difficilmente ottenere la fecondazione del fiore. Dopo questo movimento possono i pollinii aderenti
ad un qualsiasi piccolo oggetto essere facilmente introdotti nel fiore, e le masse polliniche si
attaccano facilmente alla faccia dello stigma. Abbiamo qui un esempio di uno di quei processi di
compensazione che avvengono nei pollinii di fronte alla forma piana dello stigma, di cui poco prima
fu fatta menzione.
In alcuni casi viene in giuoco, oltre i movimenti igrometrici, anche la elasticità. Nella Ærides
odorata e virens e in un Oncidium (roseum?) il peduncolo del rostello è fissato in basso in linea
retta, col mezzo del disco ad una estremità e mediante l’antera all’altra. Esso ha però una forte
tendenza elastica a sollevarsi in modo da formare un angolo retto col disco. Se ora il pollinio
fissandosi col mezzo del suo disco adesivo ad un qualche oggetto, viene allontanato dall’antera, il
peduncolo in conseguenza di ciò s’innalza immediatamente e viene a collocarsi quasi in una linea
perpendicolare alla sua primiera posizione portando in alto le masse polliniche. Ciò fu notato da
alcuni osservatori, ed io sono d’accordo con essi in ciò, che lo scopo con tal mezzo raggiunto, sia
quello di liberare le masse polliniche dalle logge dell’antera. Dopo questo salto elastico verso l’alto
incomincia tosto il movimento igrometrico verso il basso, il quale, per strana coincidenza,
riconduce il peduncolo nella posizione quasi precisa di fronte al disco, che teneva quando formava
ancora parte del rostello. Nell’Ærides l’estremità del peduncolo, a cui sono inserite le masse
polliniche col mezzo di brevi picciuoli pendenti, rimane dopo il movimento istantaneo di elevazione
un poco ripiegata in alto; e questo ripiegamento sembra essere assai adatto a lasciar cadere le masse
polliniche nella profonda cavità stimmatica attraverso la sua apertura. La differenza fra il primo
movimento elastico e il secondo o inverso igrometrico si potè chiaramente vedere, immergendo
nell’acqua il pollinio dell’Oncidium sopra nominato, dopo che ambedue i movimenti s’erano
compiuti; il peduncolo ritornò nella stessa posizione che aveva dapprima conseguita in grazia della
sua elasticità, e questo movimento non fu in nessun modo modificato dall’acqua. Dopo l’estrazione
dall’acqua il movimento di depressione igrometrico ricominciò prestamente per la seconda volta.
Nella Rodriguezia secunda non avvenne alcun movimento igrometrico di depressione nel
peduncolo, come nella precedente R. suaveolens, ma invece un rapido movimento verso il basso in
conseguenza della elasticità; di questo processo non ho veduto nessun altro esempio; poichè il
peduncolo messo nell’acqua non presentò alcuna tendenza a riprendere la sua posizione primiera,
come avvenne in molti altri casi.
Nella Phalænopsis grandiflora ed amabilis lo stigma è poco incavato e il peduncolo del rostello
allungato. È quindi necessario un qualche processo di compensazione, il quale è operato in un modo
diverso dalla Maxillaria ornithorhynca a mezzo della elasticità. Un movimento di depressione non
avviene; ma se il pollinio è allontanato, il peduncolo diritto si curva istantaneamente nel mezzo;
così ( ): il punto a sinistra rappresenta la massa pollinica, e la linea grossa a destra
s’immagini rappresentare il disco triangolare. Il peduncolo non si raddrizza, venendo collocato
nell’acqua. L’estremità che porta la massa pollinica è dopo questo movimento elastico sollevata un
poco verso l’alto e il peduncolo, con una estremità alquanto sollevata e la parte centrale curvata in
alto, è assai bene accomodato a lasciar cadere in avanti le masse polliniche entro la cavità dello
stigma attraverso un margine a guisa di soglia. Fritz Müller mi fa noto un caso, in cui
l’accorciamento d’un peduncolo lunghissimo avviene in parte in forza dell’elasticità e in parte per
un movimento igrometrico. Un piccolo Ornithocephalus che cresce nel Sud del Brasile, è
provveduto d’un peduncolo assai lungo, inserito immediatamente al rostello e che è rappresentato
dall’annessa figura in A.
Fig. 25. – Pollinio di ORNITHOCEPHALUS
(Da uno schizzo di Fritz Müller).
A. Pollinio inserito ancora al rostello; le masse polliniche giacciono ancora
nel clinandro sul vertice della colonnetta.
B. Pollinio nella posizione che assume dapprincipio per la elasticità del
peduncolo.
C. Pollinio nella posizione finale da esso raggiunta in seguito al movimento
igrometrico.
Il peduncolo si curva istantaneamente appena libero nella forma rappresentata in B, e in seguito
alla contrazione igrometrica ravvolgesi subito dopo nel modo rappresentato dalla figura in C. Se
viene messo nell’acqua riprende la forma rappresentata in B.
Nella Calanthe masuca e nella forma ibrida C. dominii, la struttura è molto diversa da quella della
maggior parte delle Vandee. Incontransi in queste forme due stigmi ovali in forma di fosse a ciascun
lato del rostello (fig. 26). Il disco adesivo è ovale (fig. B) ed è privo di peduncolo, ma porta otto
masse polliniche su picciuoli assai brevi e fragili. Queste masse polliniche sono disposte a raggi
sopra il disco a guisa dei raggi d’un ventaglio. Il rostello è largo e i suoi lati discendono di fianco
verso le due fosse laterali rappresentanti gli stigmi. Allontanando il disco, si vede che il rostello
(Fig. C) è nel mezzo incavato. Il labello è saldato alla colonnetta fin quasi al suo apice, e lascia
aperto in tal modo un ingresso nel lungo nettario immediatamente sotto il rostello. Il labello è sparso
di escrescenze particolari sferiche simili a papille.
Fig. 26. – CALANTHE MASUCA.
p. masse polliniche – ss. gli stigmi laterali – n. ingresso del nettario – l.
labello – d. disco adesivo – cl. in C, clinandro dopo l’allontanamento delle
masse polliniche.
A. Fiore visto dall’alto; la loggia dell’antera è allontanata e le otto masse
polliniche si vedono al loro posto entro il cilindro. Tutti i sepali e i petali
ad eccezione del labello sono asportati.
B. Masse polliniche aderenti al disco adesivo, viste dalla faccia inferiore.
C. Fiore nella stessa posizione come in A, ma il disco e le masse polliniche
sono allontanate; si può vedere il rostello profondamente incavato e il
clinandro vuoto, entro cui giacevano le masse polliniche. Entro lo stigma
al lato sinistro si vedono due masse polliniche aderire alla sua faccia
viscosa.
Se s’introduce un grosso ago nell’ingresso del nettario (fig. A.) e poi si ritira, si trascina fuori con
esso il disco adesivo, il quale porta seco l’elegante ventaglio formato dalle masse polliniche
disposte a raggi. Queste non modificano punto la loro posizione. Ma se s’introduce lo stesso ago nel
nettario di un altro fiore, le estremità delle masse polliniche vengono ad urtare necessariamente
contro i lati superiori e discendenti del rostello, e avanzandosi in ambedue le direzioni, vengono a
cadere nei due stigmi laterali foveati. E poiché i sottili picciuoli si lacerano facilmente, le masse
polliniche restano infisse nella faccia viscosa dei due stigmi a guisa di piccole freccie (vedi lo
stigma sinistro nella fig. C) e la fecondazione dei fiori si compie in semplice modo, che è bello
osservare.
Credo di avere già detto, che un’esile commessura trasversale di tessuto stimmatico congiunge fra
loro i due stigmi laterali, ed è probabile che alcune delle masse polliniche mediane possano essere
introdotte nel rostello attraverso la sua fessura e vengano in tal modo ad aderire a questa
commessura. Inclino a questa opinione tanto più, che nella elegante Calanthe vestita ho visto il
rostello estendersi tanto al disopra dei due stigmi laterali, che evidentemente tutte le masse
polliniche devono esservi introdotte al disotto della sua superficie.
Angræcum sesquipedale. – Questa specie, i di cui grandi fiori esameri, simili a stelle formate di
candida cera, hanno destato nel Madagascar l’ammirazione dei viaggiatori, non può essere
sorpassata. Sotto il labello pende al basso un nettario verde di straordinaria lunghezza e simile ad
una frusta. In parecchi fiori, che mi furono spediti dal signor Bateman, ho trovato nettarii lunghi
undici pollici e mezzo, e solo la porzione inferiore fino alla lunghezza di un pollice e mezzo ripiena
di nettare. Si può domandare, a quale scopo possa servire un nettario di una lunghezza tanto
sproporzionata. Io penso che noi arriveremo a persuaderci, che la fecondazione della pianta è
condizionata ad una tale lunghezza e alla presenza del nettare solo nella porzione inferiore
assottigliata. Noi però restiamo stupiti, che un insetto qualsiasi possa mai essere capace di
raggiungere questo nettare. Le nostre specie inglesi di Sphinx hanno proboscidi lunghe quanto il
loro corpo; ma nel Madagascar devono esistere farfalle notturne, la di cui proboscide può essere
allungata fino a dieci o undici pollici! Questa mia idea è stata messa in ridicolo da alcuni
entomologi; ma noi sappiamo al presente da Fritz Müller,
(
77
)
che nel Sud del Brasile esiste una
Sphinx, con una proboscide che raggiunge quasi la necessaria lunghezza; questa proboscide
misurava allo stato di disseccamento fra i dieci e gli undici pollici. Quando non è distesa, è ravvolta
su se stessa a spirale in non meno di venti giri.
Il rostello è largo e fogliaceo e si ripiega ad angolo retto sopra lo stigma e l’ingresso del nettario:
esso è percorso da profonda fessura, la quale è nella sua estremità interna ingrandita ed allargata.
Per cui il medesimo somiglia all’incirca a quello di Calanthe, dopo l’allontanamento del disco (vedi
fig. 26, C). Le facce inferiori dei due bordi della fessura sono circondate, presso alle loro estremità,
da esili striscie di membrana vischiosa, che possono essere facilmente allontanate, così che esistono
due distinti dischi adesivi. Nel mezzo della faccia superiore di ogni disco è inserito un breve
peduncolo membranoso, il quale porta all’opposta sua estremità una massa pollinica. Sotto il
rostello trovasi uno stigma viscoso e sottile.
Non potei per lungo tempo comprendere in qual modo i pollinii di questa orchidea vengano
allontanati o in qual maniera lo stigma venga fecondato. Introdussi setole ed aghi entro l’ingresso
aperto del nettario, e per la fessura nel rostello, ma senza risultato alcuno. Pensai che il fiore in
causa della lunghezza del nettario dovesse essere visitato dalle grandi farfalle notturne, la di cui
proboscide è ingrossata alla base; e che per raggiungere le ultime goccie di nettare anche le
maggiori farfalle fossero costrette a spingere giù la loro proboscide quanto più è possibile. Ora, sia
che la farfalla introduca dapprima la sua proboscide nell’ingresso aperto del nettario, ciò che sembra
essere più probabile giudicando dalla forma dei fiori, oppure la introduca nel rostello per la fessura,
la farfalla sarà in ogni caso obbligata alla fine, per succhiare il nettare, a spingere la sua proboscide
attraverso la fessura, essendo questa la via più breve; e così in seguito ad una leggera pressione
l’intiero labello fogliaceo verrà abbassato. La distanza del lato esterno del fiore dal fondo del
nettario può in tal modo essere diminuita di un quarto di pollice. Presi per ciò un bastoncino
cilindrico del diametro d’un decimo di pollice e lo introdussi nel rostello attraverso la fessura. I
margini di questa si allontanarono facilmente e vennero depressi contemporaneamente al rostello.
Allorchò ritirai lentamente il cilindro, il rostello si sollevò per la sua elasticità e i margini della
fessura furono trascinati all’in su, in modo da circondare il cilindro. In tal maniera le striscie
membranose e viscose esistenti sulla faccia inferiore del rostello vennero in contatto col cilindro, e
vi si attaccarono, e le masse polliniche vennero estratte. Operando così riuscii ogni volta ad
allontanare i pollinii; non credo potersi dubitare che una grande farfalla agisca in questo modo, vale
a dire introducendo la sua proboscide fino alla base per la fessura del rostello, allo scopo di
raggiungere il fondo del nettario; e in tal caso i pollinii aderendo alla base della sua proboscide
vengono certamente levati via.
Io non potei ottenere un esito tanto felice, come nel trasporto delle masse polliniche, riguardo al
modo di deposizione delle stesse sugli stigmi. Dovendo i margini della fessura del rostello essere
trascinati verso l’alto, prima che i dischi aderiscano al corpo cilindrico durante la sua estrazione, ne
segue che le masse polliniche verranno fissate ad esso un poco lungi dalla base. I due dischi non
s’attaccarono sempre esattamente su due punti opposti dello stesso. Ora se una farfalla notturna che
porti delle masse polliniche aderenti alla base della sua proboscide fa per introdurre quest’ultima
un’altra volta nel nettario, impiegando tutta la sua forza per deprimere il più possibile il rostello, ne
segue che le masse polliniche aderiscono di solito all’esile stigma, che sporge sotto il rostello, e
verranno lasciate su di esso. Avendo esperimentato in tal guisa facendo uso d’un oggetto cilindrico
a cui aderivano dei pollinii, ottenni che due volte le masse polliniche fossero distaccate e
abbandonate sullo stigma.
Nel caso che l’Angræcum secerni nelle foreste native maggior copia di nettare di quello secreto
dalle robuste piante speditemi dal signor Bateman, così che il nettario venga qualche volta
77
()
Vedi una lettera con un disegno di HERMANN MÜLLER, in Nature, vol. VIII, 1873, p. 223.
riempiuto, anche le piccole farfalle potranno averne la loro parte, ma senza giovare però mai alla
pianta. I pollinii non verrebbero estratti finchè una farfalla gigantesca provveduta di una
lunghissima proboscide non faccia il tentativo di succhiarne le ultime goccie.
(
78
)
Se nel Madagascar
simili farfalle perissero, perirebbe certamente anche l’Angræcum. D’altra parte l’estinzione
dell’Angræcum, essendo il suo nettare almeno nella porzione inferiore del nettario assicurato contro
la rapina di altri insetti, sarebbe probabilmente una perdita considerevole per questi lepidotteri. Da
ciò possiamo comprendere, come la straordinaria lunghezza del nettario possa essere gradatamente
raggiunta per una serie di successive variazioni. Nello stesso modo che certe farfalle del
Madagascar per elezione naturale riguardo alle generali condizioni di vita divennero più grandi, o
nello stadio larvale, o in quello di immagine, oppure se la proboscide divenne più lunga per
raggiungere il nettare dell’Angræcum e di altri fiori tubulosi profondi, così saranno stati meglio
fecondati quelli individui di Angræcum che abbiano avuti i più lunghi nettarii (e i nettarii variano
assai in lunghezza in parecchie orchidee), e che per conseguenza abbiano obbligato le farfalle a
spingere le loro proboscidi giù fino alla base. Queste piante produrranno maggior copia di semi e la
prole erediterà ordinariamente lunghi nettarii; questo succederà della pianta e della farfalla in una
serie successiva di generazioni. Si potrebbe da ciò conchiudere che è avvenuta una concorrenza per
raggiungere una lunghezza considerevole fra il nettario dell’Angræcum e la proboscide di certe
farfalle; ma l’Angræcum ha vinto alla fine, poiché è prosperoso e nelle foreste del Madagascar è
assai comune, e fa sì che ogni farfalla si sforzi ad introdurre la propria proboscide quanto più è
possibile nel suo nettario per conseguire le ultime gocce di nettare.
Potrei aggiungere qui la descrizione di molte altre particolarità singolari di struttura riscontrate nelle
Vandee, togliendole principalmente dalle lettere di Fritz Müller, che trattano delle Vandee del
Brasile, ma non voglio stancare il lettore. Devo tuttavia fare ancora qualche osservazione su alcuni
generi, la di cui fecondazione resta un mistero, principalmente a cagione della ristrettezza
dell’ingresso dello stigma, che rende straordinariamente difficile l’introduzione delle masse
polliniche. Io ho osservato parecchi anni due specie assai affini o varietà di Acropera, vale a dire A.
luteola e A. Loddigesii, e ogni particolarità della loro struttura sembra tendere a rendere quasi
impossibile la loro fecondazione. Non mi è occorso mai un simile caso, non già perché io
comprenda perfettamente gli apparecchi di alcuna orchidea, poiché nuove e meravigliose
particolarità mi si manifestano quanto più io stesso studio qualunque delle nostre orchidee inglesi
più comuni.
Il rostello sottile ed allungato di Acropera è disposto ad angolo retto di fronte alla colonnetta (vedi il
disegno schematico, fig. 23) e il peduncolo del pollinio è naturalmente di eguale lunghezza e molto
più sottile. Il disco si presenta in forma di un berretto estremamente piccolo, è viscoso all’interno, e
si adatta all’estremità del rostello. La sostanza viscosa si indurisce solo lentamente. I sepali
superiori formano un cappuccio, che racchiude e protegge la colonnetta. Il labello è un organo
affatto fuori dell’ordinario, e si sottrae a qualsiasi descrizione; è inserito alla colonnetta mediante
una sottile listerella tanto elastica e pieghevole, che un soffio lo fa oscillare. Esso pende al basso e la
conservazione di questa positura sembra essere importante, poiché il fusto (ovario) di ciascun fiore
è curvato a semicerchio, così che esso compensa la posizione pendente della pianta. I due petali
superiori e i lobi laterali del labello servono di guida entro il sepalo superiore foggiato a cappuccio.
Il pollinio, quando aderisce col mezzo del suo disco ad un qualche oggetto, eseguisce il solito
movimento di depressione; e ciò sembra essere superfluo, poiché la cavità stimmatica è collocata in
alto presso la base del rostello sporgente ad angolo retto. Ma ciò costituisce una difficoltà
relativamente poco importante; la difficoltà vera sta in ciò, che l’ingresso nella cavità stimmatica è
così ristretto, che le masse polliniche, quantunque formate da strati sottili, pure difficilmente vi
possono essere introdotte. Io ne feci più volte l’esperimento e solo tre o quattro volte con risultato.
Anche dopo averle riscaldate per quattro ore al fuoco e quindi fatte disseccare e avvizzire alquanto,
ottenni solo di rado di poterle spingere dentro lo stigma. Esaminai fiori giovanissimi e fiori affatto
78
()
Il sig. BELT suppone (The Naturalist in Nicaragua, 1876, p. 133) che la notevole lunghezza del nettario in questa
pianta possa servire ad impedire che altre farfalle non adattate alla fecondazione del fiore succhino il nettare, e che sia
da spiegare a questo modo il suo straordinario sviluppo. Io non dubito dell’esattezza di questo principio; ma in questo
caso si può applicare difficilmente, poichè la farfalla deve essere obbligata a spingere la sua proboscide quanto più è
possibile dentro il fiore.
appassiti, poiché mi era immaginato che l’ingresso dello stigma potesse essere più ampio in un
qualche stadio di sviluppo, ma la difficoltà dell’introdurle restò sempre uguale. Se noi ora
riflettiamo che il disco adesivo è d’una piccolezza non ordinaria, e per conseguenza la sua forza
adesiva non è tanto intensa, come nelle orchidee provvedute di grandi dischi, e che il peduncolo è
molto lungo e sottile, sembrerebbe quasi inevitabilmente che la cavità stimmatica dovesse essere
d’una grandezza maggiore dell’ordinario, invece di essere notevolmente contratta, affinché
potessero introdursi facilmente i pollinii. Oltre di ciò anche la faccia dello stigma, come ha
osservato pure il D
r
Hooker, è in modo singolare poco viscosa.
I fiori, quando sono maturi ed atti ad essere fecondati, non secernono il nettare;
(
79
)
ciò non
costituisce tuttavia una difficoltà, poiché avendo il D
r
Crüger osservato dei pecchioni che rodevano
le papille sparse sul labello della specie affine, Gongora maculata, si può quasi con certezza
ritenere che la porzione distale nappiforme del labello eserciti un simile adescamento per gl’insetti.
Dopo numerosi esperimenti eseguiti in tutti i modi potei ottenere un sicuro allontanamento dei
pollinii spingendo il rostello un poco verso l’alto col mezzo di un pennello formato di peli di
camello, tenuto in modo che la sua estremità scivoli lungo la faccia inferiore del rostello, e così
allontani la piccola cappa viscosa che sta alla sua estremità, penetrando entro essi coi suoi peli che
ne restano attaccati. Trovo inoltre che se s’introduce il pennello, il quale porti aderente alla sua
estremità un pollinio, entro la cavità dello stigma, allorché poscia ne viene ritirato attraverso
all’apertura che è provveduta d’una listarella acuta, la estremità del peduncolo, portante la cappa
viscosa, resta spesso aderente entro la cavità assieme alle masse polliniche. Molti fiori furono
trattati in tal modo, e tre di essi produssero belle capsule. Il sig. Scott è pure riuscito a fecondare due
fiori nello stesso modo, che secondo ogni apparenza è innaturale, come pure vi è riuscito in un’altra
circostanza coll’introdurre masse polliniche, asperse colla sostanza viscosa di una diversa specie di
orchidee, entro l’apertura della cavità stimmatica. Questi fatti mi inducono a ritenere, che un insetto,
il quale abbia la sua estremità addominale prolungata in una punta acuta, si arresti sopra un fiore e
vi faccia delle rivoluzioni per rodere la porzione distale del labello. Se fa ciò, esso allontana i
pollinii aderendo la loro cappa viscosa all’estremità del di lui addome. Poscia l’insetto visita un
altro fiore e nell’intervallo per il movimento di depressione si otterrà che il peduncolo si estenda
orizzontalmente sul dorso dell’insetto, prendendo la stessa posizione di prima, introdurrà
probabilmente l’estremità del suo addome entro la cavità dello stigma, per cui sarà levata via la
cappa viscosa del margine anteriore e le masse polliniche verranno abbandonate immediatamente
presso lo stesso, come negli sperimenti precedenti. L’intiero processo sarà probabilmente favorito
dal movimento oscillatorio del labello, mentre è roso dagli insetti. Questa spiegazione è molto
improbabile; è tuttavia l’unica, a mio modo di vedere, che possa spiegare la fecondazione del fiore.
I generi affini Gongora, Acineta e Stanhopea presentano all’incirca la stessa difficoltà a cagione
della ristrettezza dell’ingresso della cavità stimmatica. Il signor Scott ha ripetutamente tentato, ma
invano, d’introdurre le masse polliniche nello stigma di Gongora atropurpurea e truncata; ma le
fecondò facilmente asportando il clinandro e deponendo le masse polliniche sullo stigma così messo
a nudo; la stessa cosa fece anche per l’Acropera. Il D
r
Crüger
(
80
)
dice, che la Gongora maculata «in
Trinidad porta spesso frutti. Essa viene visitata, per quanto potei osservare, solo di giorno da una
magnifica ape, probabilmente una Euglossa, la quale ha una lingua lunga quasi due volte il proprio
corpo. La lingua esce fuori dietro l’addome ed è qui ripiegata in alto. Poichè queste api visitano i
fiori solo per mordere e rosicchiare il lato esterno del labello; ne segue che la lingua distendendosi
viene ad urtare ad ogni movimento all’indietro dell’insetto la glandola (cioè il disco adesivo),
oppure viene ad essa vicina. Per cui difficilmente sfuggirà di venir caricata presto o tardi delle
masse polliniche, le quali poscia vengono facilmente intromesse nella fessura dello stigma. Questo
fatto io non l’ho però ancora osservato». Mi stupisce che il D
r
Crüger dica, «le masse polliniche
vengono facilmente intromesse», e io suppongo che egli abbia esperimentato su esemplari disseccati
ed avvizziti. La proboscide ripiegata e straordinariamente lunga, che si protende oltre l’addome,
79
()
Il sig. SCOTT ha osservato che, dopo eseguita la fecondazione di Acropera e di due specie del genere affine Gongora,
trasuda una grande copia di nettare dalla faccia anteriore della colonnetta; ma in nessun’altra epoca potè egli trovare
alcuna traccia di nettare. Questo trasudamento non può quindi essere di nessuna utilità per la pianta riguardo alla sua
fecondazione, e deve essere considerato come un’escrezione
80
()
Journal Linn. Soc. Botany, vol. VIII, 1864, p. 131.
potrebbe servire così bene allo scopo come un’estremità assottigliata e acuminata dell’addome, la
quale io credo essere nel genere Acropera l’istrumento per l’allontanamento delle masse polliniche;
suppongo però che nel genere Gongora non sia il disco adesivo che viene introdotto nella cavità
dello stigma, ma le larghe e libere estremità delle masse polliniche. Ho trovato che anche nel genere
Gongora, come nell’Acropera, è quasi impossibile introdurre le masse polliniche nello stigma; ma
alcune di esse allontanate dall’antera ed esposte al sole per quasi cinque ore divennero assai
avvizzite e formarono sottili fogliolini, e questi poterono essere introdotti senza gravi difficoltà
nella fessura dello stigma. I pollinii aderenti ad un insetto, che vada volando attorno nelle zone
calde, potrebbero avvizzire dopo qualche tempo; e questo indugio può assicurare la fecondazione
incrociata dei fiori.
Relativamente alla Stanhopea, il D
r
Crüger
(
81
)
dice, che nelle Indie Occidentali un’ape la visita
spesso, allo scopo dì rosicchiarne il labello, ed egli ne catturò una che portava aderente al proprio
dorso un pollinio; egli aggiunge tuttavia, che non può comprendere, come le masse polliniche
possano essere introdotte entro la ristretta apertura dello stigma. Nella Stanhopea oculata ho trovato
che i pollinii quasi sempre aderivano al mio dito nudo o coperto dal guanto, ogni volta che strofinai
dolcemente la faccia concava della colonnetta; ciò avveniva però solo in un breve periodo
dell’antesi dei fiori e mentre questi erano ancora in alto grado odorosi. Quando faceva di nuovo
scivolare il mio dito lungo la colonnetta e verso il basso, le masse polliniche venivano quasi sempre
distaccate dal margine acuto della cavità dello stigma, e restavano attaccate assai vicine alla di lui
apertura. I fiori trattati in tal guisa danno occasionalmente, sebbene di rado, dei frutti. Il
distaccamento dei pollinii dal mio dito sembrava dipendere dalla presenza di una punta sporgente
sul disco adesivo, la quale io credo essere adatta in modo particolare a tale scopo. Se è così, le
masse polliniche devono emettere i loro tubi, senza venire introdotte nella cavità dello stigma.
Aggiungo ancora, che le masse polliniche si contraggono assai poco per un completo
disseccamento, e che in tale stato non possono essere facilmente intromesse.
L’ingresso dello stigma è pure, come mi fa sapere Fritz Müller,
(
82
)
molto ristretto nella Cirrhea e
nella Notylia, due generi appartenenti ad un altro sottogruppo delle Vandee, tanto che l’introduzione
dei pollinii in esso si può ottenere solo colla massima difficoltà. Riguardo alla Cirrhea, egli trovò,
che in questo genere ciò avviene più facilmente, in seguito ad un leggero avvizzimento, proveniente
da un disseccamento prolungato per mezz’ora od anche per un’ora. Egli osservò due fiori, nei quali
le masse polliniche erano state introdotte nei loro stigmi in modo naturale con qualche mezzo. In
parecchie occasioni lo stesso fu testimonio d’un processo di contorsione assai mirabile, dopo che
aveva a stento introdotto una massa pollinica entro l’apertura dello stigma. L’estremità delle masse
polliniche si gonfia per assorbimento d’umidità, e a misura che la cavità discendendo si fa più
ampia, si spinge oltre la porzione ingrossata di essa; e in tal modo alla fine tutto si ritira nell’interno
e sparisce. Fritz Müller osservò, che nella Notylia l’ingresso dello stigma si era fatto un poco più
ampio, dopo che il fiore era restato aperto per una settimana all’incirca. In qualunque modo avvenga
la fecondazione di quest’ultima pianta, è certo però che essa deve venir fecondata dal polline
d’un’altra pianta, poiché verificasi in essa uno di quei casi singolari, in cui il proprio polline agisce
come un veleno sullo stigma.
Nell’ultima edizione di questo libro fu dimostrato, che gli ovarii di fiori maturi di Acropera non
contengono ovuli. Ma io mi ingannai di molto nella spiegazione di questo fatto; poiché ne trassi la
conseguenza che i sessi sieno separati. Il sig. Scott mi convinse però tosto del mio errore, essendogli
riuscito di fecondare i fiori artificialmente e col proprio polline. Lo stato dell’ovario nella Acropera
illustra una meravigliosa scoperta di Hildebrand,
(
83
)
cioè che in molte orchidee gli ovuli non si
sviluppano, se lo stigma non viene compenetrato dai tubi pollinici, e che il loro sviluppo incomincia
solo dopo un periodo di parecchie settimane od anche mesi. Dalle notizie di Fritz Müller
(
84
)
si sa
che anche gli ovuli di molte Epidendree e Vandee endemiche restano nel Brasile in uno stadio di
sviluppo assai imperfetto alcuni mesi, e in un caso perfino mezzo anno, dopo avvenuta la
81
()
Journal Linn. Soc. Botany, vol. VIII, 1861, p. 130. BRONN ha descritto la struttura della Stanhopea devoniensis nella
sua traduzione della prima edizione di questo libro.
82
()
Botanische Zeitung, 1868, p. 630.
83
()
Botanische Zeitung, 1863, 30 ott. e seg., e 4 agosto 1865.
84
()
Botanische Zeitung, 1868, p. 164.
fecondazione dei fiori. Quest’autore pensa che una pianta, la quale produce centinaia di migliaia di
ovuli, sciuperebbe molta forza vitale inutilmente producendo questi, se poscia accidentalmente non
venisse fecondata, e noi sappiamo che in molte orchidee la fecondazione è un’operazione difficile e
di esito incerto. Sarebbe dunque un vantaggio per simili piante la proprietà di non dar luogo allo
sviluppo degli ovuli, finché la loro fecondazione non sia assicurata dai tubi pollinici penetrati nello
stigma.
Fig. 27. – CORYANTHES SPECIOSA (copiata da Lindley, Vegetable Kingdom).
L. Labello – B. Cavità del labello – H. Appendici secernenti l’umore – P.
Apertura del canale di scolo della cavità, sopra di cui è ripiegata l’estremità
della colonnetta che porta l’antera e lo stigma.
Coryanthes. – Chiuderò questo capitolo colla descrizione del modo di fecondazione dei fiori di
Coryanthes, che forse si avrebbe potuto dedurre dalla loro struttura, ma che sarebbe parso tuttavia
assolutamente incredibile, se non fosse stato visto ripetute volte da quell’accurato osservatore che fu
il defunto D
r
Crüger Direttore del Giardino botanico di Trinidad. I fiori sono assai grandi e pendono
in basso. L’estremità libera del labello (L) nel seguente disegno, fig. 27, è trasformata in una grande
cavità. Due appendici (H), che hanno origine dalla base assottigliata del labello, sono sospese in
linea retta sopra quelle cavità, e secernono tanta copia di umore, che si vede cadere a goccie dentro
di essa. Questo liquido è limpido e leggermente dolce, tanto poco però da meritare appena il nome
di nettare, quantunque evidentemente abbia lo stesso significato; non serve tuttavia ad adescare gli
insetti. Il sig. Ménière calcola che la quantità secreta da un unico fiore raggiunga all’incirca il peso
di un’oncia inglese. Quando la cavità o secchia ne è ripiena, il liquido ne esce per il canale (P).
(
85
)
Immediatamente sopra di questo canale se ne sta curvata l’estremità della colonnetta, la quale porta
lo stigma e le masse polliniche in tale posizione, che un insetto che voglia aprirsi una via dalla
cavità attraverso questo canale, deve strofinare il suo dorso dapprima contro lo stigma e poscia
contro i dischi adesivi dei pollinii, che in tal guisa vengono allontanati. Noi siamo ora in istato di
comprendere quello che il D
r
Crüger dice sulla fecondazione di una specie affine, della Coryanthes
macrantha, il di cui labello è fornito di coste.
(
86
)
Premetterò che egli mi ha spedito esemplari delle
api da lui vedute rosicchiare queste coste; esse appartengono, come mi ha fatto sapere il sig. F.
Smith, al genere Euglossa. Il D
r
Crüger dice, che si «può vedere queste api in grande numero
contendersi un posto sulla costa dell’hypochilum (vale a dire della parte basale del labello). In parte
per cagione di questa lotta, e in parte forse anche per l’ebbrezza causata dalla sostanza gustata, esse
cadono giù nella cavità del labello, che è ripiena per metà di un liquido secreto da organi situati
presso la base della colonnetta. Qui si muovono entro il liquido verso la parte anteriore della cavità,
dove vi ha una via d’uscita fra l’ingresso di essa e la colonnetta. Chi si accinge di buon mattino a
questa osservazione, ciò che è necessario perchè questi imenotteri si svegliano assai per tempo, può
vedere come si compia la fecondazione in ciascun fiore. Il pecchione per aprirsi una via d’uscita dal
suo bagno involontario è obbligato a fare sforzi considerevoli, poichè l’apertura dell’epichilo (cioè
della parte distale del labello) e la faccia anteriore della colonnetta combaciano esattamente e sono
assai rigide ed elastiche. Al primo imenottero caduto nel bagno si attaccheranno per conseguenza le
glandole delle masse polliniche. Poscia carico di queste particolari appendici l’insetto riuscirà
all’esterno percorrendo il canale e ritornerà quasi subito dopo al suo posto; per lo più cade una
seconda volta entro la cavità del labello e ne esce all’esterno per la stessa via, e nell’aprirsi la via
introduce le masse polliniche nello stigma, fecondando così lo stesso oppure un altro fiore. Io ho
osservato ciò più volte; talvolta intorno a questi fiori sono radunati tanti pecchioni, che ha luogo una
processione continua attraverso il descritto canale».
Non si può menomarnente dubitare, che la fecondazione del fiore dipenda assolutamente da ciò, che
gli insetti devono uscire per il canale formato dalla estremità del labello e dalla colonnetta curvata
sopra di esso. Se la grande porzione distale del labello, oppure la cavità di esso fosse asciutta, gli
imenotteri potrebbero facilmente uscirne al volo. Noi dobbiamo quindi ritenere che il liquido
secreto in così grande copia dalle appendici e accumulato nella cavità non serva qual saporito
85
()
Bulletin de la Soc. Bot. de France, tom. II, 1855, p. 351.
86
()
Journal Linn. Soc. Botany, vol. VIII, 1864, p. 130. Si trova un disegno di questa specie in PAXTONS Mag. of Botany,
vol. V, p. 31, ma è troppo complicata perché si possa qui riprodurre. Si trova pure una figura di C. Feildingii nel Journal
Horticult. Soc., vol. III, p. 16. Devo alla cortesia del sig. Thiselton Dyer questi citati.
mezzo di adescare gli insetti, poichè si sa che essi rosicchiano il labello, ma serva invece allo scopo
di bagnare le loro ali per costringerli in tal guisa a scivolar fuori attraverso il canale.
Ho dato fin qui, fors’anche con troppi dettagli, la descrizione di alcuni pochi apparecchi, col mezzo
dei quali si compie la fecondazione delle Vandee. La posizione reciproca e la forma delle parti, –
attrito, viscosità, movimenti elastici ed igrometrici, tutti esattamente collegati fra loro, – tutto ciò
viene in giuoco. Ma tutti questi apparati sono subordinati all’intervento degli insetti. Senza il loro
ajuto neppure una delle piante appartenenti alle specie dei ventinove generi di questo gruppo da me
esaminate porterebbe neanche traccia di semi. Per la maggior parte dei casi è anche sicuro, che gli
insetti trasportano i pollinii dai fiori solo nella loro ritirata, e da quell’allontanamento ne segue che
essi fanno ordinariamente compiersi l’unione di due fiori appartenenti a piante diverse. Ciò
difficilmente può mancare in tutti i numerosi casi, in cui i pollinii cambiano lentamente la propria
posizione, dopo che vennero allontanati dal rostello, per mettersi in una posizione adatta
all’incontro dello stigma; poiché durante questo intervallo gli insetti hanno il tempo necessario per
volare dai fiori d’una pianta, che fungono da maschi, ai fiori di un’altra pianta, che fanno l’ufficio di
femmine.
Capitolo VII.
VANDEæ (Conti n uazio n e ) CATASETIDæ.
Catasetidæ, le più meravigliose di tutte le Orchidee. – Il meccanismo da cui i pollinii di Catasetum sono lanciati a
distanza e trasportati dagli insetti. – Sensibilità delle corna del rostello. – Considerevoli differenze fra le forme maschili,
femminili ed ermafrodite del Catasetum tridentatum. – Mormodes ignea, mirabile struttura dei fiori; ejezione dei
pollinii. – Mormodes luxata. – Cycnoches ventricosum, processo della fecondazione.
Ho riservato una sottofamiglia delle Vandeæ, cioè le Catasetidæ, le quali, secondo me, sono da
considerarsi le più meravigliose fra le orchidee, per farle oggetto di una descrizione particolare.
Comincierò col genere Catasetum. Un esame superficiale dei fiori ci rende persuasi essere qui
necessario un qualche ajuto meccanico, come nella maggior parte delle orchidee, per allontanare le
masse polliniche dalle loro logge e portarle sulla faccia dello stigma. Del resto vedremo ben presto,
che Catasetum è unicamente una forma maschile, per cui è necessario che le masse polliniche
vengano trasportate sulla pianta femminile, affinché avvenga la produzione di semi. Il pollinio è
provveduto di un disco adesivo di grandezza colossale; ma quest’ultimo invece d’essere situato in
modo da rendere probabile il contatto di esso con un insetto, il quale visiti il fiore, e da poter ad esso
aderire, è collocato all’interno e precisamente presso la faccia postero-superiore di una cavità, che
deve essere chiamata stimmatica; quantunque non funzioni da stigma. In questa cavità non vi ha
nulla che possa adescare gli insetti, e anche nel caso che essi vi penetrassero, sarebbe impossibile un
contatto di essi colla superficie viscosa del disco.
Quale è dunque il processo della natura? Essa ha dato alla pianta ciò che, per mancanza di una
migliore espressione, si deve chiamare sensibilità, ed il potere meraviglioso di lanciare i propri
pollinii con forza fino ad una considerevole distanza. Per cui se un insetto tocca certi determinati
punti, i pollinii vengono lanciati a distanza a guisa di freccia, non pinnata, ma provveduta di una
punta ottusa e assai viscosa. L’insetto, contrariato da un colpo tanto violento, oppure, dopo finito il
suo pasto, se ne vola via ed arriva presto o tardi sur una pianta femminile e arrestandosi colà nella
stessa posizione di prima, l’estremità della freccia portante il polline viene introdotta nella cavità
dello stigma, e una quantità di polline è abbandonata sulla di lui superficie vischiosa. In questo
modo, e non altrimenti, possono essere fecondate le cinque specie di Catasetum da me esaminate.
In molte Orchidee, per es. in Listera, Spiranthes e Orchis, la superficie del rostello è sensibile in
quanto che, se viene toccata o esposta ai vapori di cloroformio, scoppia secondo certe linee
determinate. Lo stesso avviene nel gruppo delle Catasetidæ, solo colla mirabile differenza, che nel
Catasetum il rostello si prolunga in due corna curvate e assottigliate in punta, che io chiamerò
antenne, le quali sono situate sopra il labello, e su cui si arrestano gli insetti. Se queste antenne
vengono toccate anche nel modo più leggero, trasmettono un certo irritamento alla membrana che
circonda il disco del pollinio e lo collega colla superficie limitrofa, il quale produce uno scoppio
subitaneo di essa; e subito dopo, il disco è messo istantaneamente in libertà. Abbiamo veduto anche
in parecchie Vandee che i peduncoli dei pollinii sono tenuti fissi al basso e orizzontali in uno stato
di tensione e che sono in alto grado elastici, di modo che, appena liberati, scattano verso l’alto,
secondo ogni probabilità allo scopo di estrarre le masse polliniche dalle logge dell’antera. Nel
genere Catasetum, i peduncoli sono invece tenuti fissi al basso in una posizione incurvata, e se
diventano liberi per lo scoppio dei margini del disco a cui sono inseriti, si distendono con tal forza
da allontanare non solo le masse polliniche assieme alle logge dell’antera dai loro punti
d’inserzione, ma da lanciare l’intiero pollinio all’innanzi fin oltre le estremità delle così dette
antenne, talvolta fino ad una distanza di due o tre piedi. Dal fin qui detto risulta che anche qui, come
comunemente avviene in natura, certe particolarità di struttura e proprietà già esistenti furono rese
utili a nuove funzioni.
Catasetum saccatum.
(
87
)
– Descriverò dapprima le forme maschili di cinque specie comprese nel
genere Catasetum. L’aspetto generale della presente specie è rappresentato nella fig. 28. Un profilo
del fiore, da cui furono levati tutti i sepali ed i petali ad accezione del labello, è dato in B, e A
presenta di prospetto la colonnetta. Il sepalo e due petali superiori circondano e proteggono la
colonnetta; i due sepali inferiori sporgono all’infuori ad angolo retto. Il fiore è più o meno inclinato
su di un lato, il labello invece guarda in basso, come è rappresentato nella figura. La colorazione
ramea sporca con macchie aranciate, – la cavità aperta nel grande e frangiato labello, – la sporgenza
di una antenna mentre l’altra è pendente — tutto ciò dà al fiore un aspetto strano, triste e per così
dire di rettile.
Sulla faccia anteriore della colonnetta si vede nel mezzo la profonda cavità stimmatica (fig. 28, A,
s); questa è però meglio visibile nello spaccato (fig. 29, C, s), nel quale le parti sono disegnate un
po’ distanti l’una dall’altra per renderne meglio intelligibile il meccanismo. Nel mezzo del tetto
della cavità stimmatica e molto addietro (d, in A, fig. 28) si può vedere il margine anteriore del
disco adesivo rivolto in alto. La faccia superiore membranosa del disco è congiunta, prima della
lacerazione, colle basi frangiate delle due antenne, fra cui è situata. Il rostello si protende sopra il
disco e la cavità stimmatica (vedi lo spaccato C, fig. 29) ed è stato allungato ai lati per dar origine
alle due antenne; la parte mediana è coperta dal peduncolo nastriforme (ped.) del pollinio. La
estremità inferiore del peduncolo è inserita al disco e la superiore alle due masse polliniche (p),
entro la loggia dell’antera. Il peduncolo è mantenuto nella sua posizione naturale fortemente curvato
sopra il rostello sporgente; se viene liberato si distende con forza in linea retta, e
contemporaneamente i suoi bordi laterali si ravvolgono all’indentro. In uno dei primi stadii di
sviluppo esso è in continuità col rostello e si separa da esso più tardi per la dissoluzione di uno
strato di cellule.
Fig. 28. – CATASETUM SACCATUM.
a. antera – an. antenne del rostello – d. disco del pollinio – f. filamento
dell’antera – g. ovario – l. labello – p. masse polliniche – pd. o ped.
peduncolo del pollinio – s. cavità stimmatica.
Il pollinio, come si presenta dopo che si è reso libero e disteso, è disegnato in D, fig. 29. La sua
faccia inferiore che si addossa al rostello si può vedere in E, dove i suoi margini laterali sono
ravvolti all’indentro. In quest’ultimo disegno si può anche vedere le fessure esistenti sulle facce
inferiori delle due masse polliniche. Entro queste fessure e presso la loro base è inserito uno strato
di tessuto assai estensibile, il quale costituisce i picciuoli che servono a unire le masse polliniche col
peduncolo. La estremità inferiore del peduncolo è fissata al disco col mezzo di un’articolazione
mobile, la quale in nessun altro genere esiste, cosicchè il peduncolo può muoversi all’innanzi ed
all’indietro, per quanto lo è concesso dall’estremità ripiegata in alto del disco (fig. D). Il disco è
grande e grosso; è formato da una robusta membrana superiore, a cui è inserito il peduncolo, e d’un
cuscino sottoposto di grande spessore e costituito da una massa polposa, fioccosa e viscosa. Il
margine posteriore è la parte più viscosa di tutte ed è questa che necessariamente viene per la prima
a contatto con un oggetto qualunque il quale urti il pollinio. La sostanza vischiosa s’indurisce
rapidamente. L’intiera superficie del disco è conservata umida prima della eiezione per la sua
positura, essendo addossata al tetto della cavità stimmatica; ma nello spaccato (fig. C.) è disegnata
separata dal tetto, come le altre parti.
87
()
Esprimo la mia obbligazione al sig. James Veitch di Chelsea per avermi spedito il primo esemplare di questa
orchidea, da me veduto; più tardi il sig. S. Rucker, ben noto per la sua magnifica collezione di orchidee, mi ha spedito
con molta liberalità due belle infiorescenze e mi ha giovato nel modo più cortese con altri esemplari.
Fig. 29. – CATASETUM SACCATUM.
a. antera – an. antenne del rostello – d. disco del pollinio – f. filamento
dell’antera – g. ovario – l. labello – p. masse polliniche – pd. o ped.
peduncolo del pollinio – s. cavità stimmatica.
A. Prospetto della colonnetta.
B. Profilo del fiore, tutti i sepali e i petali, ad eccezione del labello, sono
allontanati.
C. Spaccato ideale della colonnetta, tutte le parti sono un po’ allontanate fra
loro.
D. Pollinio, faccia superiore.
E. Pollinio, faccia inferiore, la quale prima del trasporto sta intimamente a
contatto col rostello.
Il connettivo dell’antera (a in tutte le figure) è protratto in un filamento o punta, la quale è inserita
lassamente all’estremità appuntita della colonnetta. Questa estremità appuntita (f, fig. C) è omologa
al filamento dell’antera.
L’antera sembra avere questa forma particolare allo scopo di eseguire dei movimenti simili a
quelli di una leva, di modo che può facilmente essere staccata alla sua estremità inferiore in seguito
ad uno strappo, quando la massa pollinica è lanciata a distanza per la elasticità del peduncolo.
Il labello è situato ad angolo retto di fronte alla colonnetta o pende un poco al basso; i suoi lobi
laterali e basilari sono ripiegati sotto la sua parte centrale, di maniera che un insetto può solo
arrestarsi davanti la colonnetta. Nel mezzo del labello esiste una profonda cavità, che è incorniciata
da liste salienti. Questa cavità non secerne nettare, ma le sue pareti sono grosse e carnose e d’un
sapore leggermente dolce e gradito; e noi vedremo fra breve che vengono rosicchiate dagli insetti.
L’estremità dell’antenna sinistra se ne sta direttamente sopra la cavità e viene toccata infallibilmente
da un insetto, il quale visiti questa parte del labello per qualsiasi scopo.
Le antenne sono gli organi più singolari del fiore e non si incontrano in nessun altro genere. Esse
hanno la forma di corna rigide, curve e assottigliate in punta. Constano di un sottile nastro
membranoso, i di cui margini sono ravvolti verso l’interno fino a toccarsi; ciascuna antenna risulta
quindi tubulosa e porta su uno de’ suoi lati un’apertura, come il dente velenifero di una vipera. La
loro struttura è determinata da numerose cellule assai allungate, per lo più esagonali, e ai due capi
appuntite, e queste cellule possiedono (come quelle del maggior numero dei tessuti dei fiori) nuclei
con nucleoli. Le antenne sono prolungamenti dei lati della faccia anteriore del rostello. Essendo il
disco adesivo in nesso di continuità con una piccola piega membranosa in ambedue i lati, e questa
piega congiunta alla sua volta colle basi delle antenne, ne segue che questi organi sono direttamente
uniti col disco. Il peduncolo del pollinio passa, come fu già detto, fra le due basi delle antenne. Le
antenne non sono libere in tutta la loro lunghezza, ma i loro bordi esterni sono congiunti per un
tratto considerevole coi margini della cavità stimmatica e saldati con essi.
In tutti i fiori da me esaminati e appartenenti a tre piante, le antenne, sempre identiche nella loro
struttura, occupavano la stessa relativa posizione. La porzione estrema dell’antenna sinistra si
ripiega in alto (vedi B, fig. 28, dove si può meglio vedere la posizione che in A) e un poco
all’indentro, cosicchè la sua punta viene a collocarsi nella linea mediana e vigila l’ingresso della
cavità del labello. L’antenna destra pende in basso e la sua punta è un poco ripiegata all’esterno;
come vedremo fra breve, essa è, per così dire, paralizzata e quindi priva di funzione.
Passiamo ora a vedere la funzione delle parti. Se si tocca l’antenna di sinistra di questa specie
(oppure una delle due antenne nelle tre specie seguenti), i margini della membrana superiore del
disco, i quali sono in nesso di continuità colla superficie circostante, si lacerano tosto e il disco
diventa libero. Il peduncolo, che è assai elastico, lancia subito dopo il pesante disco fuori della
cavità stimmatica con tal forza, che l’intiero pollinio lo segue portando seco le due masse di polline
e strappa l’antera dal vertice della colonnetta, a cui è debolmente inserita. Il pollinio viene sempre
lanciato pel primo assieme al suo disco adesivo. Io ho imitato questo atto facendo uso di una
listerella minutissima di osso di balena, la quale ad una sua estremità portava un piccolo peso che
imitava il disco; ravvolsi questa listerella per metà intorno ad un cilindro e fermai debolmente la sua
estremità superiore al capo piatto di uno spillo, per rappresentare l’azione dell’antera. L’estremità
inferiore fu poscia istantaneamente abbandonata a se stessa e la listerella fu lanciata a distanza, a
guisa del pollinio di Catasetum, coll’estremità carica all’innanzi.
Che il disco venga lanciato fuori pel primo dalla cavità stimmatica, potei convincermi, premendo
nel mezzo del peduncolo; poichè toccando subito dopo l’antenna, il disco scattò subito fuori; ma il
pollinio non fu tratto fuori dalla cavità stimmatica in causa della compressione del peduncolo. Oltre
lo scatto dipendente dalla distensione del peduncolo, viene in giuoco ancora l’elasticità in una
direzione trasversale: se si fende longitudinalmente il tubo o cannucolo di penna e si preme nella
direzione della lunghezza una delle due metà su di una matita troppo grossa, questa salta via nel
momento in cui cessa la pressione; una azione analoga ha luogo nel peduncolo del pollinio, in
conseguenza dell’avvolgimento istantaneo de’ suoi margini verso l’interno appena che esso diviene
libero. Queste forze combinate bastano a lanciare il pollinio con forza notevole fino ad una distanza
di due o tre piedi. Parecchie persone mi hanno raccontato che, avendo toccato i fiori di questo
genere coltivati nelle proprie serre, sono state colpite in faccia dai pollinii di essi. Io ho toccato le
antenne di C. callosum, tenendo il fiore alla distanza di un yard da una finestra ed il pollinio colpì la
lastra e si attaccò col suo disco adesivo a quella faccia liscia e verticale.
Delle seguenti osservazioni risguardanti la natura dell’irritazione che è causa della separazione del
disco dalle parti circostanti, si riferiscono alcune alle specie che seguono. Parecchi fiori mi furono
spediti per la posta e colla ferrovia, e dovevano essere stati scossi assai; tuttavia non avevano
esploso. Io lasciai cadere due fiori dall’altezza di due o tre pollici sopra una tavola ed i pollinii non
furono emessi. Tagliai con una forbice e con un sol colpo il grosso labello e l’ovario
immediatamente sotto il fiore; ma neppure questa violenza ebbe alcun effetto; così pure a nulla
riuscirono le profonde punture fatte in diverse parti della colonnetta, e perfino dentro la cavità
stimmatica. Un urto abbastanza forte per abbassare l’antera produce l’emissione del pollinio, come
una volta per caso lo esperimentai. Due volte ho esercitato pressione abbastanza fortemente sul
peduncolo e per conseguenza sul rostello sottostante, ma senza alcun risultato. Per comprimere il
peduncolo allontanai dolcemente l’antera, e in seguito a ciò, l’estremità del pollinio portante il
polline scattò verso l’alto per la propria elasticità, e questo movimento ebbe per conseguenza la
liberazione del disco. Il signor Ménière, tuttavia, afferma
(
88
)
che la loggia dell’antera si stacca, o
può essere dolcemente distaccata, senza che avvenga la separazione del disco, e che in tal caso
l’estremità superiore del peduncolo, che porta le masse polliniche, viene a collocarsi in basso e
davanti alla cavità dello stigma.
Dagli esperimenti fatti su quindici fiori di tre specie diverse, mi risultò che nessuna violenza
moderata esercitata su qualunque parte del fiore, ed eccezione delle antenne, produce un qualche
risultato. Ma se si tocca l’antenna sinistra di C. saccatum o una delle due antenne delle tre specie
seguenti, il pollinio viene istantaneamente eietto. È sensibile la estrema punta come tutto il resto
delle antenne. In un esemplare di C. tridentatum bastò il contatto di una setola; in cinque esemplari
di C. saccatum era necessario un dolce contatto di un ago sottile; ma in quattro altri esemplari
abbisognava un leggero urto. In C. tridentatum nè un soffio d’aria, nè una corrente d’acqua fredda
spinta fuori da un piccolo tubo non bastavano all’uopo, e in nessun caso neppure il contatto di un
capello umano, e quindi le antenne sono meno sensibili del rostello di Listera. Una tale estrema
sensibilità sarebbe stata realmente inutile per la pianta; poiché i fiori, per quanto è noto al presente,
vengono visitati da insetti robusti.
Che il disco non si separi in causa del semplice movimento meccanico delle antenne, è certo; poiché
esse aderiscono per un tratto considerevole ai lati della cavità stimmatica e sono in tal guisa
immobilmente fissate in vicinanza delle loro basi. Se una vibrazione può propagarsi lungo esse,
questa deve essere di natura speciale, poiché gli urti ordinarii di un’intensità anche molto maggiore
non producono l’atto della esplosione. Subito dopo l’arrivo dei fiori, questi non erano in alcuni casi
sensitivi, ma lo divennero poscia per la immersione prolungata per due o tre giorni delle
infiorescenze nell’acqua. Se ciò sia stato una conseguenza di una più completa maturità, oppure di
un assorbimento dell’acqua, non posso dirlo. I fiori di C. callosum, che erano completamente inerti,
furono immersi durante un’ora nell’acqua tiepida, e in seguito a ciò le antenne divennero sensibili in
alto grado; questo fatto indica o che il tessuto cellulare delle antenne deve diventare turgido per
essere in istato di percepire e di propagare le azioni di un contatto, oppure, ciò che è ancora più
probabile, che il calore aumenta la loro sensitività. Due altri fiori, che io immersi nell’acqua calda,
non tanto calda però da scottarmi le dita, espulsero spontaneamente i loro pollinii. Una pianta di C.
88
()
Bullet. de la Soc. Bot. de France, tom. I, 1854, p. 367.
tridentatum fu conservata alcuni giorni in un locale piuttosto freddo e in conseguenza di ciò
trovavansi le antenne in uno stato di inerzia; un fiore ne fu levato e collocato nell’acqua che aveva
la temperatura di 100° F. (37.7° C.); non ne seguì immediatamente alcuna azione; ma avendolo io
esaminato dopo un’ora e mezza, trovai che il pollinio era stato espulso. Un altro fiore fu messo
nell’acqua riscaldata a 90° F. (32.2° C.), e dopo 25 minuti il pollinio era stato espulso; due altri
fiori, immersi per 20 minuti nell’acqua riscaldata a 87° F. (30.5° C.), non esplosero, quantunque più
tardi si fossero mostrati sensibili ad un contatto. Finalmente furono messi in un bagno d’acqua a 83°
F. (28.3° C.) quattro fiori: due di essi non espulsero i loro pollinii nel periodo di 45 minuti e si
mostrarono sensitivi più tardi, mentre gli altri due, dopo 1 ora e 15 minuti, avevano espulso
spontaneamente i proprii pollinii. Questi esperimenti dimostrano che l’immersione nell’acqua
riscaldata ad una temperatura un poco superiore a quella cui la pianta era stata esposta produsse lo
scoppio della membrana da cui i dischi sono tenuti fissi. Fu fatto cadere un debole getto d’acqua
quasi bollente col mezzo di un sottile tubo sulle antenne di alcuni fiori delle piante sopra nominate;
esse si rammollirono e perirono, ma i pollinii non furono espulsi. Neppure l’acido solforico, fatto
cadere in goccie sugli apici delle antenne, valse a provocare alcuna azione, sebbene le loro parti
superiori non toccate dall’acido solforico si siano mostrate sensibili ad un posteriore contatto. In
questi ultimi casi, credo che l’azione sia stata tanto subitanea e violenta, che il tessuto rimase
istantaneamente ucciso. Dai fatti sopra esposti possiamo conchiudere, che debba essere una qualche
modificazione molecolare la quale, propagandosi lungo le antenne, cagiona lo scoppio della
membrana che cinge circolarmente i dischi. Nel C. tridentatum, le antenne raggiungevano la
lunghezza di un pollice e un decimo, ed un leggero contatto eseguito con una setola sulla loro punta
estrema si propagò, per quanto potei osservare, istantaneamente per tutta la loro lunghezza. Ho
misurato parecchie cellule costituenti le antenne di questa specie, e dietro un calcolo
approssimativo, questa impressione deve essersi propagata per non meno di settanta od ottanta
cellule.
Noi possiamo conchiudere con sicurezza almeno questo, che le antenne, le quali sono caratteristiche
pel genere Catasetum, hanno la speciale destinazione di ricevere le impressioni e di trasmetterle al
disco del pollinio. Questa è la causa che fa scoppiare la membrana e il pollinio viene allora espulso
in causa della elasticità del suo peduncolo. Se abbisognassimo di novelle prove, queste ci sarebbero
date dalla natura nel così detto genere Monacanthus, il quale, come ben presto vedremo, è la
femmina del Catasetum tridentatum; il genere Monacanthus è privo di pollinii da espellere e manca
completamente di antenne.
Ho detto, che nel C. saccatum la antenna di destra è sempre pendente in basso, colla punta
leggermente ripiegata all’infuori, e che è quasi del tutto paralizzata. Questa mia idea è basata su
cinque esperimenti, nei quali percossi violentemente, piegai e punsi questa antenna; non si
manifestò nessuna azione; ma avendo io poco dopo toccato con forza assai minore la antenna di
sinistra, il pollinio fu espulso con violenza. In un sesto esperimento un colpo violento sulla antenna
di destra cagionò l’atto della espulsione, così che essa non è completamente paralizzata. Ma poiché
questa antenna non vigila il labello, il quale in tutte le orchidee è la parte che adesca gli insetti, la
sua sensibilità sarebbe inutile.
Dalla considerevole grandezza dei fiori e specialmente del disco adesivo e dalla sua straordinaria
facoltà adesiva tirai già prima la conseguenza, che questi fiori dovevano essere visitati da grandi
insetti, ed al presente è noto che è così. La sostanza viscosa aderisce tanto fortemente quando è
indurita, e il peduncolo è così robusto (sebbene assai sottile e largo solo un ventesimo di pollice
presso l’articolazione), che con mia grande meraviglia un pollinio fissato ad un oggetto portò per
pochi secondi un peso di 1262 grani ossia quasi tre oncie; e portò poi per un tempo considerevole
un peso poco inferiore. Nell’espulsione del pollinio viene per lo più trascinata fuori anche la grande
antera a forma di borchia. Se il disco incontra una faccia piana, come una tavola, avviene spesso che
la forza d’inerzia dipendente dal peso dell’antera trascina l’estremità portante il polline al di là del
disco e in tal caso il pollinio viene ad aderire in un modo improprio alla fecondazione di un altro
fiore, dato il caso che si fosse attaccato al corpo d’un insetto. La direzione del moto del pollinio è
spesso un poco curva.
(
89
)
Non si deve però dimenticare, che allo stato di natura la espulsione è
89
()
Il sig. BAILLON dice (Bullet. de la Soc. Bot. de France, tom. I, 1854, p. 285) che il Catasetum luridum espelle sempre
i suoi pollinii in linea retta e in tale direzione che vanno ad attaccarsi al fondo della concavità del labello; e suppone che
causata dal contatto delle antenne con un grande insetto, mentre questo sta sul labello e quindi ha il
suo capo e il suo torace presso l’antera. Un oggetto cilindrico tenuto in tal posizione vien sempre
colpito esattamente nel mezzo, e se esso viene allontanato col pollinio aderente, allora il peso
dell’antera abbassa l’articolazione del pollinio, e in questa posizione la loggia dell’antera si stacca
facilmente e lascia in libertà le masse polliniche nella posizione conveniente per la fecondazione dei
fiori femminili. L’utilità d’una espulsione così violenta è senza dubbio quella di lanciare la molle e
viscosa massa del disco contro il torace peloso dei grandi imenotteri che visitano i fiori. Una volta
attaccato il disco e il peduncolo ad un insetto, nessuna forza che può esercitare un insetto varrebbe
sicuramente ad allontanarli; ma i picciuoli si rompono senza molta difficoltà e in grazia di ciò
possono le masse polliniche essere trattenute facilmente sullo stigma viscoso del fiore femminile.
Catasetum callosum. – I fiori di questa specie
(
90
)
sono più piccoli di quelli della precedente, ma
concordano con essi nella maggior parte dei caratteri. Il margine del labello è coperto di papille; la
cavità di mezzo è piccola e dietro ad essa trovasi una prominenza allungata simile ad un’incudine. –
Circostanze di cui faccio menzione in grazia delle somiglianze esistenti in alcuni di questi punti fra
il labello di questa specie e quello di Myanthus barbatus, la forma ermafroditica di Catasetum
tridentatum, che io passerò tosto a descrivere. Se si tocca una delle due antenne il pollinio viene
espulso con forza considerevole. Il peduncolo di color giallo è fortemente curvato e unito al disco
assai vischioso mediante articolazione. Le due antenne sono situate simmetricamente ai due lati
della sporgenza simile ad incudine, e i loro apici stanno entro la piccola cavità del labello. Le pareti
di questa cavità hanno un sapore gradevole e nutriente. Le antenne sono notevoli per l’asprezza di
tutta la loro superficie sparsa di papille. La pianta è maschile e la femminile è fin qui sconosciuta.
Catasetum tabulare. – Questa specie appartiene allo stesso tipo del C. saccatum, ma ne differisce
considerevolmente nell’abito. La parte centrale del labello è formata da una prominenza sottile,
allungata, tabulare di un colore quasi bianco e consta di una densa massa di tessuto succoso che ha
sapore dolciastro. Presso la base del labello havvi una grande cavità, la quale somiglia esternamente
al nettario d’un fiore comune, ma sembra che non contenga mai nettare. L’apice assottigliato
dell’antenna di sinistra sta entro questa cavità e viene inevitabilmente toccato da un insetto il quale
stia rodendo la estremità basilare biloba della prominenza mediana del labello. L’antenna di destra è
ripiegata all’indietro e la sua porzione estrema curvata ad angolo retto e compressa contro la
colonnetta; per cui non dubito che essa sia come nel C. saccatum paralizzata; ma i fiori da me
esaminati avevano perduto quasi affatto la loro sensibilità.
Catasetum planiceps (?). – Questa specie non differisce molto dalla seguente; per cui la descriverò
solo brevemente. Il labello di colore verde con macchie è collocato al lato superiore del fiore: è
nappiforme e provveduto di una piccola apertura. Le due antenne allungate e aspre sono separate per
un piccolo tratto, e fra loro parallele entro il labello. Esse sono ambedue sensibili al contatto.
Catasetum tridentatum. – La forma generale esterna di questa specie assai diversa da C. saccatum,
callosum e tabulare è rappresentata dalla fig. 30, in cui è asportato un sepalo di ciascun lato.
Fig. 30. – CATASETUM TRIDENTATUM.
a. antera – pd. peduncolo del pollinio – an. antenne – l. labello.
A. Profilo del fiore nella posizione naturale; due sepali sono asportati.
B. Prospetto della colonnetta in posizione inversa da quella della fig. A.
Il fiore è rivolto assieme al suo labello all’in su, dimodochè paragonato a quelli della maggior parte
essi in una tal posizione fecondino il fiore in un modo non ben conosciuto. In uno scritto posteriore inserito nello stesso
volume (p. 367) il sig. MÉNIÈRE combatte la conclusione del sig. Baillon, e con ragione. Egli osserva, che la loggia
dell’antera si stacca facilmente e talvolta anche spontaneamente: i pollinii sono lanciati per la elasticità del peduncolo in
basso, mentre il disco adesivo resta sempre fisso alla parete superiore della cavità stimmatica. Il sig. Ménière accenna
che le masse polliniche possano venir attratte dentro la cavità stimmatica per la successiva e graduale contrazione del
peduncolo. Ciò è impossibile nelle tre specie da me esaminate e sarebbe inutile. Ma il sig. Ménière dimostra in seguito
quanto importanti sieno gli insetti per la fecondazione delle orchidee e conchiude anche, a quanto sembra, che la loro
azione venga in giuoco anche nel Catasetum e che questa pianta non si feconda da sè. Tanto il signor Baillon come il
signor Ménière descrivono esattamente la posizione incurvata del peduncolo prima della sua libertà. Nessuno dei due
botanici sembra sapere, che le specie di Catasetum (almeno le cinque specie da me studiate) sono unicamente piante
maschili.
90
()
Il sig. Rucker mi ha cortesemente spedito una magnifica infiorescenza di questa specie; il Dr. Lindley me ne fece
noto il nome.
delle orchidee, si deve dire inverso. Il labello è foggiato ad elmo e la sua parte distale è ridotta a tre
piccole punte. Per la sua posizione non può contenere nettare; ma le sue pareti sono grosse e hanno,
come in altre specie, un sapore gradito e nutriente. La cavità stimmatica, sebbene incapace a
funzionare come stigma, ha una grandezza considerevole. Il vertice della colonnetta e l’antera non
sono così notevolmente allungate come nel C. saccatum. In altri punti non havvi nessuna differenza
importante. Le antenne sono più lunghe e le loro estremità sono per circa la ventesima parte della
loro lunghezza rese aspre da cellule trasformate in papille.
Il peduncolo del pollinio è inserito come prima al disco col mezzo d’una articolazione; esso è
mobile liberamente solo in una direzione; e questa limitata mobilità viene in giuoco probabilmente,
allorchè il pollinio è trasportato da un insetto sul fiore femminile. Il disco è come nelle altre specie
di considerevole grandezza e la sua estremità, la quale nell’espulsione incontra per la prima un
qualche oggetto, è assai più attaccaticcia del resto della sua superficie. Quest’ultima faccia è
impregnata d’un umore lattiginoso, il quale esposto all’aria diventa rapidamente bruno, e prende
una consistenza caseosa. La faccia superiore del disco è formata da una robusta membrana,
costituita da cellule poligonali, e s’appoggia ed aderisce ad un grosso cuscino, formato da masse
irregolarmente arrotondate di sostanza bruna (separate fra loro e adagiate in una sostanza
trasparente, priva di struttura e in alto grado elastica). Questo cuscino va a finire all’estremità
posteriore del disco in una sostanza vischiosa, la quale nell’indurirsi diventa bruna, trasparente ed
omogenea. Nel suo complesso il disco di Catasetum presenta una struttura assai più complicata di
quella delle altre Vandee.
Questa specie non abbisogna di una ulteriore descrizione se non riguardo alla posizione delle sue
antenne. In tutti i numerosi fiori che furono esaminati, la posizione delle antenne era sempre
costante. Ambedue se ne stanno ricurve dentro il labello simile ad un elmo; quella di sinistra è un
poco più elevata e la sua estremità ripiegata all’indentro, viene a collocarsi nel mezzo; quella di
destra sta più in basso e incrocia la base del labello, dimodochè il suo apice viene a sporgere
immediatamente sopra il margine sinistro della base della colonnetta. Ambedue sono sensibili, ma
sembra che l’una, quella che è nel mezzo del labello, lo sia in grado maggiore dell’altra. Per la
posizione dei petali e dei sepali, un insetto, visitando il fiore, dovrà quasi inevitabilmente arrestarsi
sul dorso del labello, e difficilmente potrà rodere alcuna parte senza urtare una delle due antenne;
poiché la sinistra invigila la parte superiore, e la destra l’inferiore. Se una di esse viene toccata, il
pollinio viene espulso e il disco colpisce l’insetto al capo o al torace.
La posizione delle antenne, in questo Catasetum, può essere paragonata a quella di un uomo che
abbia sollevato il braccio sinistro e piegato in modo che la mano venga a livello del petto, mentre il
braccio destro incrocia il suo corpo più in basso in modo che le dita sporgano alquanto precisamente
sul fianco sinistro. Nel Catasetum callosum ambedue le braccia sono tenute più in basso e distese
simmetricamente. Nel C. saccatum il braccio sinistro è piegato e tenuto nello stesso modo come nel
C. tridentatum, ma un poco più basso, mentre il braccio destro pende paralizzato, e la mano è torta
alquanto all’esterno. In tutti i casi è data in modo mirabile tosto notizia, allorché un insetto visita il
labello e il tempo opportuno per la espulsione del pollinio è venuta, cosicché questo può venir
trasportato sulla pianta femminile.
Il Catasetum tridentatum è interessante ancora sotto un altro punto di vista. I botanici restarono
stupiti quando Sir R. Schomburgk,
(
91
)
notificò di aver trovato tre forme, che egli credeva appartenere
a tre generi distinti, vale a dire Catasetum tridentatum, Monacanthus viridis e Myanthus barbatus,
le quali crescevano sulla stessa ed unica pianta. Lindley osservò
(
92
)
che «simili casi scuotono fin
91
()
Transactions of the Linnean Soc., vol. XVII, p. 522. Un’altra descrizione di due specie diverse di Myanthus e
Monachanthus apparse sullo stesso asse fiorale fu pubblicata da LINDLEY nel Botanical Register, fol. 1951; egli fa
menzione anche di altri casi. Alcuni fiori si trovarono in tali casi in uno stato intermedio, ciò che non è sorprendente, se
pensiamo che nelle piante dioiche talvolta si osserva una riunione dei caratteri dei due sessi. Il sig. RODGERS di Riverhill
mi fa sapere che avendo importato da Demerara un Myanthus alla seconda fioritura, lo trovò trasformato in un
Catasetum. Il Dr. CARPENTER (Comparative Physiology, 4
a
ediz. p. 633) fa menzione di un caso analogo avvenuto a
Bristol. In fine Dean Herbert molti anni avanti mi aveva notificato che il Catasetum luridum aveva fiorito per nove anni
nel giardino botanico di York e si conservò puro; poi mise un ramo di Myanthus il quale, come vedremo, è un
ermafrodita intermedio per la sua forma fra il maschio e la femmina. DUCHARTRE ha dato una storia completa della
comparsa di queste forme su di una stessa pianta nel Bullet. de la Soc. Bot. de France, vol. IX, p. 113.
92
()
The Vegetable Kingdom, 1853, p. 178.
dalle fondamenta le nostre idee sulla costanza dei generi e delle specie». Sir R. Schomburgk
assicura di aver veduto in Essequibo centinaia di piante di C. tridentatum, senza trovar mai un
esemplare con semi;
(
93
)
mentre egli restò sorpreso delle gigantesche capsule di Monacanthus; e fa su
questo punto la giusta osservazione «che noi abbiamo avanti gli occhi in questo caso traccie della
divisione dei sessi fra le Orchidee». Anche il D
r
Crüger mi fa sapere che non ha mai veduto in
Trinidad frutti prodotti naturalmente da questi fiori di Catasetum,
(
94
)
neppure quando furono
fecondati col proprio polline, ciò che più volte è avvenuto. Ma avendo al contrario fecondato i fiori
di Monacanthus viridis col polline di Catasetum, l’operazione non sbagliò mai. Il Monacanthus
produce di solito frutti anche allo stato di natura.
Dalle mie proprie osservazioni fui indotto a studiare attentamente gli organi femminili di C.
tridentatum, callosum e saccatum. In nessun caso la faccia dello stigma era viscosa, come lo è in
tutte le altre orchidee (ad eccezione di Cypripedium come in seguito vedremo), e come è
indispensabile per assicurarsi le masse polliniche in seguito alla rottura dei picciuoli. Io rivolsi
diligentemente la mia attenzione su questo punto, tanto nei giovani che nei vecchi fiori di C.
tridentatum. Levando via la superficie della cavità e del canale stimmatico delle tre specie
sunnominate, dopo averle conservate nell’alcool, si trova ch’essa è formata di cellule allungate
contenenti nuclei di forma ordinaria, ma in numero di gran lunga inferiore a quello delle comuni
orchidee. Queste cellule sono unite più intimamente fra loro e sono più trasparenti; io esaminai per
il confronto quelle di molte specie di orchidee conservate nell’alcool, e le trovai sempre molto meno
trasparenti. Nel C. tridentatum l’ovario è più breve con solchi meno profondi, più sottile alla base e
più solido all’interno che nel Monacanthus. Di più in queste tre specie di Catasetum i funicoli sono
brevi e gli ovuli si presentano notevolmente diversi nell’aspetto, essendo più sottili, più trasparenti e
carnosi di quelli di numerosissime altre orchidee che furono esaminate a cagion di confronto. Forse
questi corpi non meriterebbero neppure il nome di ovuli, quantunque per l’aspetto generale e per la
posizione corrispondessero esattamente a veri ovuli; poichè io non sono riuscito mai a trovare la
micropila nè il nucleo; e gli ovuli non erano mai inversi.
In seguito a questi fatti diversi, vale a dire: – brevità, glabrezza e sottigliezza dell’ovario, brevità dei
podospermi, stato particolare degli ovuli, mancanza di viscosità della faccia stimmatica, e della
trasparenza delle sue cellule, – e in seguito alle osservazioni di Sir R. Schomburgk e del D
r
Crüger, i
quali non hanno mai veduto il C. tridentatum produrre semi nella sua patria nè in seguito a
fecondazione artificiale, possiamo ammettere con sicurezza che questa e le altre specie di
Catasetum non sieno che piante maschili.
Rispetto al Monacanthus viridis e al Myanthus barbatus, il presidente della Linnean Society mi ha
cortesemente permesso di esaminare le infiorescenze conservate nell’alcool portanti fiori di
ambedue questi così detti generi, che furono spedite da Sir R. Schomburgk. I fiori di Monacanthus
(A, fig. 31), sono abbastanza simili nell’aspetto esterno a quelli del Catasetum tridentatum (fig. 30).
Il labello, il quale occupa la stessa relativa posizione di fronte alle altre parti, non è così basso,
specialmente ai lati, e il suo margine è crenato. Tutti gli altri petali e sepali sono ripiegati e non così
fortemente macchiati come quelli di Catasetum. La brattea alla base dell’ovario è assai più grande.
La colonnetta, e specialmente il filamento e l’antera sono molto più brevi, e il rostello è molto meno
sporgente. Le antenne mancano completamente e le masse polliniche sono rudimentali. Questi sono
fatti interessanti che confermano l’idea che fu esposta sulla funzione delle antenne; poichè non
essendovi pollinii da espellersi, sarebbe inutile un organo destinato a trasmettere al rostello
l’irritazione prodotta dal contatto di un insetto. Io non potei trovare neppure la traccia di un disco
adesivo nè di un peduncolo, e senza dubbio essi andarono perduti; poichè il D
r
Crüger dice,
(
95
)
che
93
()
BRONGNIART (Bull. Soc. Bot. de France, tom. II, 1855, p. 20) dice che al sig. Neumann, un abile coltivatore di
orchidee, non era mai riescita una fecondazione di Catasetum.
94
()
Il Dr. HANCE mi scrive che egli ha nella sua collezione una pianta di Catasetum tridentatum delle Indie occidentali,
la quale porta una bella capsula; ma non sembra deciso se questo fiore singolare sia un Catasetum, e in ciò non havvi
alcuna grande inverosimiglianza che una pianta di Catasetum possa aver portato un singolo fiore di Monachanthus,
oppure una intiera infiorescenza, come spesso è notoriamente avvenuto. J.G. BEER (citato da IRMISCH, Beiträge zur
Biologie der Orchideen, 1853, p. 22) dice aver tentato invano per tre anni di fecondare piante di Catasetum; ma in un
caso, essendo stato introdotto il solo disco adesivo di un pollinio nello stigma, si ebbe un frutto maturo. Ma si può
domandare però: e i semi contenevano embrioni?
95
()
Journal Linn. Soc. Botan., vol. VIII, 1864, p. 127.
«l’antera dei fiori femminei cade immediatamente dopo il principio dell’antesi, vale a dire prima
che il fiore abbia raggiunto la perfezione rispetto al colore, alla grandezza e all’odore. Il disco non
aderisce o solo debolmente alle masse polliniche, e cade nello stesso torno di tempo dell’antera»,
per cui restano addietro solo le masse polliniche rudimentali.
Invece di una grande cavità stimmatica, esiste una esile fessura trasversale immediatamente sotto la
piccola antera. Io sono riuscito ad introdurre una delle masse polliniche della forma maschile
Calasetum entro questa fessura, la quale, essendo stata conservata nell’alcool, era rivestita di uno
strato di granelli coagulati di sostanza viscosa e di cellule. Le cellule erano diverse da quelle di
Catasetum, e dopo essere state conservate nello spirito, ripiene di una massa bruna. L’ovario è più
lungo, più grosso presso la base e con solchi più distinti di quello di Catasetum. I podospermi sono
pure assai più lunghi, e gli ovuli più opachi e pastosi che nelle orchidee ordinarie. Credo di aver
veduto l’apertura della Testa parzialmente introflessa e un grande nucleo sporgente; ma poiché
l’esemplare era stato conservato nell’alcool per molti anni ed era un poco modificato, non oso
affermarlo positivamente. Ma da questi fatti risulta essere quasi certo che Monacanthus sia una
pianta femmina, e, come fu giù detto, tanto Sir R. Schomburgk che il D
r
Crüger l’hanno vista
produrre grandissima copia di semi. Nel suo complesso il fiore di questa pianta differisce in modo
assai notevole da quello maschile di Catasetum tridentatum, e non è da stupirsi se queste due piante
furono considerate come due generi diversi.
Fig. 31.
B. MYANTHUS BARBATUS. A. MONACHANTHUS VIRIDIS.
a. antera – an. antenne – l. labello – p. masse polliniche, rudimentali – s.
fessura dello stigma – sep. i due sepali inferiori.
A. Profilo di Monachanthus viridis in posizione naturale. (L’ombreggiatura è
fatta in ambidue i disegni ad imitazione delle figure di REISS nelle Linnean
Transactions.)
B. Profilo di Myanthus barbatus in posizione naturale.
Le masse polliniche offrono un esempio tanto bello ed istruttivo di un organo rudimentale, che
merita la pena di farne la descrizione; ma io devo prima ritornare sulle masse polliniche perfette
della forma maschile, Catasetum. Queste sono rappresentate dalla figura 29 D ed E, attaccate al loro
peduncolo; sono formate da una grande piastra di granelli pollinici cementati fra loro o cerosi, la
quale è ripiegata su se stessa in modo da formare un sacco munito di una fessura aperta lungo la
faccia inferiore, dentro la quale e precisamente presso la sua estremità inferiore e allungata, aderisce
uno strato di tessuto assai elastico che costituisce il picciuolo, l’altro capo del quale è fissato al
peduncolo del rostello. I granelli pollinici esterni sono più angolosi, hanno pareti più grosse e colore
più giallo dei granelli interni. Entro la gemma immatura le due masse polliniche sono circondate da
due sacchi membranosi fra loro congiunti, i quali ben presto sono attraversati dalle due estremità
allungate delle masse polliniche e dai loro picciuoli; e più tardi le estremità dei picciuoli si
attaccano al peduncolo. Prima dello sbocciamento del fiore, i due sacchi contenenti le due masse
polliniche si aprono e queste restano nude sul dorso del rostello.
Nelle forme di Monacanthus, all’opposto, i due sacchi membranosi contenenti le due masse
polliniche rudimentali non si aprono mai; ma si separano a poco a poco l’uno dall’altro e
dall’antera. Il tessuto di cui sono formati è denso e pastoso. Come la maggior parte degli organi
rudimentali, anche le masse polliniche variano considerevolmente nella forma e nella grandezza,
hanno una circonferenza di circa un decimo di quelle della forma maschile; sono arceolate (p, fig.
31), e l’estremità inferiore è considerevolmente allungata, tanto da perforare quasi il sacco esterno o
membranoso. Manca la fessura lungo la loro faccia inferiore che serve al passaggio dei picciuoli. I
granelli pollinici esterni sono quadrangolari ed hanno pareti più grosse che i granelli interni,
esattamente come nel vero polline maschile, e ciò che è assai meraviglioso, ciascuna cellula ha il
suo nucleo. R. Brown c’informa
(
96
)
che nei primi periodi di sviluppo dei granelli pollinici delle
comuni orchidee (come in altre piante) è visibile spesso un nucleo minutissimo, cosicchè i granelli
pollinici rudimentali di Monacanthus hanno conservato, a quanto sembra, – come tanto
generalmente succede degli organi rudimentali nel Regno Animale – un carattere embrionale. In
fine trovasi alla base e dentro ciascuna massa pollinica urceolata, una piccola massa di tessuno
96
()
Transactions of the Linnean Society, vol. XVI, p. 711.
bruno ed elastico – vale a dire la traccia di un picciuolo, – il quale decorre a lungo per l’estremità
assottigliata della massa pollinica, ma (almeno in alcuni esemplari) non raggiunge la superficie e
mai va a congiungersi a nessun punto del peduncolo. Questi picciuoli rudimentali e inchiusi sono
perciò affatto inutili. Ad onta della piccolezza e dello stato quasi abortito, le masse polliniche delle
forme femminili messe dentro lo stigma di un fiore femminile dal D
r
Crüger poterono tuttavia
emettere «qua e là un tubo pollinico rudimentale». I petali poscia appassirono e l’ovario s’ingrossò,
ma dopo una settimana divenne giallo e finalmente cadde, senza portare a maturità alcun seme.
Questo mi sembra un esempio assai bello del modo lento e graduato con cui gli organi si
modificano; poiché le masse polliniche delle forme femminili, le quali mai possono essere
trasportate naturalmente e portate sullo stigma, conservano ancora sempre in parte le loro primiere
proprietà e funzioni.
Così ogni particolarità di struttura caratteristica delle masse polliniche maschili è rappresentata nella
pianta femminile in uno stato rudimentale. Simili fatti sono notissimi a ciascun naturalista, ma non
possono mai essere osservati senza un nuovo interesse. In un tempo non molto lontano i naturalisti
udranno con stupore e fors’anche sorridendo che uomini assai serii e dottissimi una volta avevano
sostenuto, che tali organi inutili non sieno rudimenti conservati dalla ereditabilità, ma creati
appositamente da una mano onnipotente e disposti nel loro posto conveniente «per completare lo
schema della natura», come i piatti sopra una tavola (immagine usata da un distinto botanico).
La terza forma, Myanthus barbatus (fig. 31, B), si trova talvolta sulla stessa pianta assieme alle due
precedenti. I fiori differiscono notevolmente quanto all’aspetto esterno, ma non essenzialmente
nella struttura da quelli delle altre due forme. Essi sono ordinariamente in posizione inversa di
fronte a quelli di Catasetum tridentatum e Monacanthus viridis, vale a dire col labello in basso. Il
labello è orlato di papille in modo singolare; ha una cavità mediana assai poco considerevole, dal
cui margine posteriore si diparte una singolare appendice curvata e appiattita, la quale sostituisce la
prominenza ad incudine del labello della forma maschile, C. callosum. Gli altri petali e i sepali sono
macchiati ed allungati, e solo i due sepali inferiori ripiegati. Le antenne non sono così lunghe come
nella forma maschile C. tridentatum; esse sono disposte simmetricamente ai due lati dell’appendice
corniforme presso la base del labello, e le loro estremità, che non sono rese aspre da papille, entrano
quasi nella cavità mediana. La cavità stimmatica ha una grandezza a un dipresso intermedia fra
quella della forma maschile e quella della femminile; è rivestita di cellule ripiene di una sostanza
bruna. L’ovario, che è diritto e percorso da solchi evidenti, è lungo quasi due volte quello della
forma femminile Monacanthus, ma non tanto ingrossato nel suo punto di unione col fiore. Gli ovuli,
dopo conservati nell’alcool, si presentano opachi e pastosi e somigliano sotto ogni aspetto a quelli
della forma femminile, ma non sono tanto numerosi. Io credo di aver visto trasparire il nucleo dallo
spermoderma, ma come per il Monacanthus, non posso positivamente affermarlo. I pollinii
raggiungono circa il quarto della grandezza di quelli della forma maschile Catasetum, ma il loro
disco e il peduncolo sono perfettamente sviluppati. Negli esemplari da me esaminati le masse
polliniche erano andate perdute; ma il sig. Reiss ha dato di esse un disegno nelle Linnean
Transactions, dal quale si vede che esse hanno proporzionalmente una conveniente grandezza e
possedono le pieghe o fessure entro cui sono inseriti i picciuoli. Dal sopra esposto risulta che gli
organi maschili sono come i femminili perfettamente sviluppati, per cui il Myanthus barbatus può
essere considerato come una forma ermafrodita della stessa specie, di cui Catasetum è la forma
maschile e Monocanthus la femminile. Tuttavia il dottor Crüger non ha veduto mai che le forme
intermedie, le quali sono frequenti in Trinidad e somigliano più o meno al Myanthus testè descritto,
abbiano portato semi.
È un fatto assai maraviglioso che questa forma sterile ed ermafrodita somigli nel suo aspetto
generale e nella struttura più ai maschi di due altre specie, cioè C. saccatum e specialmente C.
callosum, che alle forme sia maschile che femminile della specie stessa. Poiché tutte le orchidee, ad
eccezione di alcune poche appartenenti alla presente sotto-famiglia, sono ermafrodite, come lo sono
i membri di parecchi altri gruppi di piante affini, non è lecito dubitare che lo stipite comune delle
orchidee non sia stato un ermafrodita. Noi dobbiamo quindi ascrivere l’ermafroditismo e l’abito
generale di Myanthus alla riversione ad una forma precedente; e se ciò è esatto, i progenitori di tutte
le specie di Catasetum dovevano essere simili ai maschi di C. saccatum e C. callosum; poiché,
come poc’anzi abbiamo veduto, sono queste due piante colle quali il Myanthus presenta tante
evidenti somiglianze.
(
97
)
Da ultimo mi si permetta ancora di aggiungere, che il D
r
Crüger avendo attentamente studiato queste
tre forme in Trinidad, riconosce completamente la esattezza della mia conclusione, che Catasetum
tridentatum, sia il maschio, e Monacanthus viridis la femmina di una sola ed identica specie. Egli
conferma inoltre la mia supposizione che gli insetti siano adescati dai fiori per rosicchiarne il labello
e che essi trasportino le masse polliniche dalla pianta maschile sulla femminile. Ecco le sue parole:
«Il fiore maschile circa ventiquattro ore dopo il suo sbocciamento spande un odore particolare,
e le antenne raggiungono nello stesso tempo il massimo di irritabilità. Un grande pecchione
pronto alla lotta va ronzando intorno ad esso e viene adescato dal suo colore, e se ne può vedere
un gran numero di essi sul far del mattino in lotta fra loro per acquistarsi un posto nell’interno
del labello allo scopo di divorare il tessuto cellulare esistente di fronte alla colonnetta e al lato
opposto, in modo che essi devono volgere il proprio dorso alla colonnetta. Appena uno di questi
pecchioni tocca la antenna superiore del fiore maschile, la massa pollinica col suo disco e la sua
glandola vien spinta contro il suo dorso, a cui aderisce, e se ne vedono spesso di questi animali
che ronzano coperti da tale particolare ornamento. Io l’ho sempre veduto attaccato esattamente
nel mezzo del torace. Mentre l’insetto va ronzando attorno la massa pollinica se ne sta
orizzontale sul dorso e sulle ali; ma quando l’insetto entra in un fiore femminile, il di cui labello
è sempre rivolto in alto, il pollinio che è inserito alla glandola col mezzo di un tessuto elastico,
ricade all’indietro pel proprio peso e viene a collocarsi sulla faccia anteriore della colonnetta. E
quando l’insetto esce dal fiore retrocedendo, le masse polliniche vengono prese dal margine
superiore della cavità stimmatica il quale sporge alquanto sulla faccia della colonnetta; e se allora
la glandola viene distaccata dal dorso dell’insetto oppure si lacera il tessuto che congiunge i
pollinii col picciuolo o questo colla glandola, la fecondazione si compie».
Il D
r
Crüger mi ha spedito degli esemplari di pecchioni da lui catturati mentre rodevano il labello:
appartenevano all’Euglossa nov. spec., cajennensis e piliventris.
Secondo le notizie di Fritz Müller
(
98
)
il Catasetum mentosum e un Monacanthus crescono assieme
nello stesso distretto del Brasile del Sud, ed egli potè ottenere facilmente la fecondazione
dell’ultima forma col polline della prima. Le masse polliniche si potevano introdurre solo in parte
nella stretta fessura dello stigma; ma se ciò riusciva, incominciava ben tosto un processo di
contorsione, simile a quello descritto nel genere Cirrhea, e lentamente compievasi. All’opposto non
ebbero alcun risultato i suoi tentativi di fecondare i fiori di questo Catasetum col loro proprio
polline, né con quello di un’altra pianta. I pollinii della forma femminea Monacanthus sono
piccolissimi; i granelli del polline variano di grandezza e di forma; l’antera non si apre mai e le
masse polliniche non sono inserite ai picciuoli. Se queste masse polliniche rudimentali, le quali non
potrebbero mai naturalmente allontanarsi dalle loro logge, vengono portate sullo stigma poco
viscoso della forma maschile Catasetum, esse emettono tuttavia i loro tubi.
Il genere Catasetum è assai interessante sotto diversi rapporti. La separazione dei sessi è sconosciuta
nelle altre orchidee, ad eccezione forse del genere affine Cycnoches. Nel Catasetum abbiamo tre
forme sessuate, portate comunemente da piante diverse, ma talvolta esistenti frammischiate fra loro
sulla stessa pianta; e queste tre forme sono meravigliosamente diverse fra loro, molto più differenti
che il maschio dalla femmina del pavone. La comparsa di queste tre forme cessa però ora di essere
una anomalia e non si deve più ritenere come un caso senza esempio di variabilità.
Questo genere è ancora più interessante per il processo della fecondazione. Noi vediamo un fiore
che aspetta tranquillamente colle sue antenne distese e in posizione conveniente finché un insetto
introduce il suo capo nella cavità del labello, per darne tosto notizia. La forma femminile
Monacanthus, non avendo vere masse polliniche da espellere, è priva di antenne. Nelle forme
maschili ed ermafrodite, cioè nel Catasetum tridentatum e nel Myanthus barbatus i pollinii se ne
97
()
Il maschio dell’Antilope indiana (A. bezoartica) sviluppa, dopo la castrazione, corna di forma assai diversa da quelle
del maschio perfetto, più grosse e più grandi di quelle sviluppate occasionalmente dalla femmina. Noi vediamo qualche
cosa di simile nelle corna del bue comune. Io ho fatto osservare nella mia Origine dell’uomo che simili fatti sono
probabilmente da ascriversi ad una riversione ai caratteri antichi della specie, poichè abbiamo buone ragioni per ritenere
che qualsiasi causa che leda la costituzione abbia per conseguenza una riversione. Quantunque Myanthus posseda gli
organi d’ambo i sessi, pure sembra completamente sterile; la sua costituzione sessuale fu quindi modificata e questa
sembra essere la causa della riversione dei suoi caratteri a forme antiche.
98
()
Botan. Zeitung, 1868, p. 630.
stanno ripiegati come una molla e pronti a slanciarsi istantaneamente, appena le antenne vengano
toccate. L’estremità del disco va sempre in avanti ed è rivestita di sostanza vischiosa, la quale si
indurisce rapidamente e fissa fortemente il peduncolo ad essa inserito sul corpo dell’insetto.
L’insetto vola di fiore in fiore finché alla fine arriva su una pianta femminea; e allora introduce una
massa pollinica dentro la cavità stimmatica. Nel mentre l’insetto si allontana, il picciuolo elastico,
che è abbastanza tenero per cedere alla viscosità della faccia stimmatica, si rompe, e abbandona una
massa pollinica; poscia vengono emessi lentamente i tubi pollinici, che percorrono il canale dello
stigma, e l’atto della fecondazione è compiuto. Chi avrebbe ardito supporre che la riproduzione di
una specie sia dipendente da un apparato così complicato, così altamente artificioso e ad un tempo
tanto mirabile?
Ho studiato altri tre generi pure ascritti da Lindley alla piccola sottofamiglia delle Catasetidæ, vale
a dire Mormodes, Cycnoches e Cyrtopodium. L’ultima pianta fu da me comperata sotto questo
nome; portava un asse fiorale lungo circa quattro piedi con brattee gialle macchiate di rosso; ma i
fiori non presentavano alcuna delle maravigliose particolarità degli altri tre generi, ad eccezione che
l’antera era inserita ad un punto sporgente dal vertice della colonnetta come nel Catasetum.
Mormodes ignea. – Per dimostrare quanto alle volle sia difficile a comprendere il modo di
fecondazione di una orchidea, voglio ricordare che io ho esaminato accuratamente dodici fiori,
(
99
)
ho
fatto parecchi esperimenti e registrato i risultati prima di potermi spiegare in massima il significato
e la funzione delle diverse parti. Era chiaro che i pollinii venivano espulsi come nel genere
Calasetum, ma quale funzione compiesse ciascuna parte del fiore, non poteva neppure immaginarlo.
Aveva rinunziato a farlo, disperando di riuscire, quando un riepilogo delle mie osservazioni che
verrò ad esporre e poscia ripetuti esperimenti mi permisero di trovare una spiegazione che più tardi
si manifestò come vera.
Il fiore ha un aspetto non ordinario e il suo meccanismo è ancor più singolare dell’aspetto (fig. 32).
La base della colonnetta è ripiegata all’indietro ad angolo retto di fronte all’ovario o allo stelo e
diventa nuovamente diritta fin presso alla sua estremità, dove è di nuovo curvata. Essa è inoltre torta
in un modo che non ha esempio, così che la sua faccia anteriore compresa l’antera, il rostello e la
porzione superiore dello stigma sono rivolti verso un lato del fiore; a destra o a sinistra secondo la
posizione del fiore sulla spica. La faccia contorta dello stigma si estende fino alla base della
colonnetta ed è profondamente incavata alla sua estremità superiore. Il grande disco adesivo del
pollinio giace in questa cavità e immediatamente sotto il rostello; e il rostello si vede nella figura
coperto dal peduncolo ricurvo (pd).
La loggia dell’antera (a nella fig.) è allungata, triangolare e assai simile a quella di Catasetum; ma
non si estende tanto in alto da raggiungere il vertice della colonnetta. Il vertice è formato da un esile
filamento piatto, il quale io suppongo essere un allungamento del filamento dello stame, basandomi
sull’analogia con Catasetum; ma può essere anche un prolungamento di un’altra parte della
colonnetta. Entro la gemma è diritto; ma ancora prima dello sbocciamento del fiore viene
fortemente curvato dalla pressione esercitata dal labello. Un fascio di vasi spirali decorre lungo la
colonnetta fino all’apice della loggia dell’antera: quindi si ripiegano e discendono per un certo tratto
lungo la loggia medesima. Nel punto dove ha luogo il ripiegamento si forma una breve ed esile
articolazione, per cui l’apice della loggia dell’antera è inserito alla colonnetta sotto il punto di
curvatura della sua estremità. Sebbene questa articolazione sia di una circonferenza minore del capo
di uno spillo, tuttavia ha una importanza grandissima, poichè è sensitiva e trasmette l’irritazione al
disco del pollinio, per virtù della quale avviene il distacco di esso dal suo punto di inserzione.
L’articolazione serve anche a dirigere il pollinio quando viene espulso. Poiché essa ha la missione
di trasmettere la necessaria irritazione al disco, si potrebbe supporre che una parte del rostello, che
sta in prossimo contatto col filamento dell’antera, potesse estendersi fino a questo punto; ma io non
potei scorgere qui alcuna differenza di struttura nella comparazione di queste parti con quelle di
Catasetum. Il tessuto cellulare che sta intorno all’articolazione è pregno di umori, e quando l’antera
viene strappata dalla colonnetta, durante l’espulsione del pollinio, ne esce una grande goccia.
Questo stato di gonfiezza potrebbe forse facilitare la rottura dell’articolazione.
99
()
Devo esprimere i miei più vivi ringraziamenti al sig. Rucker di West-Hill, Wandsworth, per avermi prestato una
pianta di questa Mormodes, con due bellissime spiche portanti numerosissimi fiori, e per avermi conceduto di tenerla
presso di me per molto tempo.
Il pollinio non è considerevolmente diverso da quello di Catasetum (fig. 29, D); è ripiegato in modo
analogo attorno al rostello, il quale è meno sporgente che in quel genere. L’estremità superiore ed
allargata del peduncolo si estende fin sotto le masse polliniche entro l’antera; e queste sono inserite
col mezzo di deboli picciuoli ad una cresta mediana della sua faccia superiore.
La superficie viscosa del grande disco è a contatto col tetto della cavità stimmatica, cosicchè non
può essere toccata da un insetto il quale visiti il fiore. La estremità anteriore del disco è provveduta
di una piccola appendice discendente (poco visibile nella fig. 32); e questa è in nesso di continuità
ad ambo i lati coi margini superiori della cavità stimmatica prima dell’espulsione.
Fig. 32 – MORMODES IGNEA.
Profilo del fiore, il sepalo superiore e il petalo rivolto verso lo spettatore sono
allontanati.
NB Il labello è nel disegno alquanto sollevato per mostrare la cavità della sua
faccia inferiore, la quale dovrebbe essere abbassata in modo da toccare il
vertice della colonnetta.
a. antera pd. peduncolo della massa pollinica s. stigma l. labello l.s.
sepalo laterale.
Il peduncolo è congiunto coll’estremità posteriore del disco, e quando questo diventa libero, allora
la porzione inferiore del peduncolo è doppiamente ripiegata, di maniera che sembra inserita per
articolazione al centro del disco.
Il labello è un organo assai meraviglioso; è assottigliato e quasi cilindrico alla base, ed i suoi bordi
sono fortemente introflessi, tanto da incontrarsi quasi sul dorso, per cui forma una cresta ripiegata
sul vertice del fiore. Dopo essersi innalzato in linea retta, si ripiega sopra il vertice della colonnetta,
sul quale si appoggia. Il labello presenta in questo punto (perfino entro la gemma) una leggera
infossatura che accoglie il vertice ricurvo della colonnetta. Questa leggera depressione rappresenta
evidentemente la grande cavità della faccia anteriore del labello nelle diverse specie di Catasetum,
le di cui pareti grosse e carnose servono di nutrimento agli insetti. In forza di un singolare scambio
di funzione, questa cavità serve in questo caso a mantenere il labello nella conveniente posizione
presso il vertice della colonnetta; ma adesca forse gli insetti in modo eguale. Nella figura 32 il
labello è sollevato un poco a forza, per rendere visibile la depressione ed il filamento ricurvo. Nella
sua posizione naturale può essere quasi paragonato ad un grande cappello tricorne portato da un
peduncolo e piantato sul capo della colonnetta.
La torsione della colonnetta, che da me non fu vista in nessun’altra orchidea, è la causa per cui tutti
gli organi importanti della fecondazione sono rivolti a sinistra nei fiori posti sul lato destro della
spica, e a destra nei fiori collocati sul lato sinistro. Da ciò risulta che due fiori tolti dai due lati
opposti della stessa spica, tenuti nella stessa posizione relativa, sono torti in direzione opposta. Un
fiore che fu compresso fra gli altri non era torto e la sua colonnetta era rivolta verso il labello.
Anche il labello è leggermente torto; così, per es., nel fiore qui disegnato, che era torto a sinistra, la
costa mediana del labello era torta prima a destra e poi, ma in grado minore, a sinistra, e premeva
colla sua curvatura sulla faccia posteriore del vertice incurvato della colonnetta. La torsione di tutte
le parti del fiore principia già entro la gemma.
La posizione dei diversi organi raggiunta con questo mezzo è della più alta importanza; poichè se la
colonnetta ed il labello non fossero rivolti lateralmente, i pollinii andrebbero a colpire il labello
sovrapposto nella loro espulsione, come di fatto avvenne nell’unico fiore anomalo, il quale aveva
una colonnetta quasi diritta. Se gli organi dei due lati opposti di una stessa fitta infiorescenza non
avessero opposte direzioni, non rimarrebbe alcuno spazio libero per la espulsione dei pollinii e per
l’aderenza al corpo degli insetti.
Allorché il fiore è maturo, i tre sepali pendono in basso; ma i due petali superiori si conservano
quasi eretti. Le basi dei sepali e specialmente quelle dei due petali superiori sono ingrossate e gonfie
ed hanno un colore giallognolo; e quando sono completamente mature sono pregne di liquido,
cosicchè, se vengono punte con un piccolo tubetto di vetro, il liquido sale entro esso fino ad un
certo livello per forza di capillarità. Queste parti ingrossate possiedono, come il peduncolo del
labello, un sapore dolciastro e gradito, e per me non vi ha dubbio che servano ad adescare gli insetti,
poiché nettare libero non viene secreto.
Tenterò ora di mostrare come le singole parti del fiore sieno coordinate fra loro e come funzionino
assieme. Il peduncolo del pollinio è ripiegato attorno al rostello come nel genere Catasetum; in
quest’ultimo genere, appena esso diventa libero, si distende semplicemente con forza in linea retta;
nel genere Mormodes avviene qualche cosa di più. Se il lettore rivolgerà la sua attenzione alla fig.
34, troverà uno spaccato della gemma fiorale del genere affine Cynoches, il quale differisce solo per
la forma dell’antera e per la presenza di un’appendice del disco adesivo più lunga e che si estende
più in basso. Supponga ora che il peduncolo del pollinio sia così elastico che appena liberato non
solo si drizzi, ma si ripieghi istantaneamente su se stesso in senso contrario, in modo da formare un
laccio irregolare. La faccia curva, che prima era a contatto della sporgenza del rostello, forma dopo
ciò la faccia esterna del laccio. La faccia esterna dell’appendice che pende dalla parte inferiore del
disco non è viscosa, giace ora sulla loggia dell’antera, colla superficie viscosa del disco all’esterno.
Questo è quello che avviene esattamente nel genere Mormodes. Ma il pollinio raggiunge con tal
forza la sua curvatura inversa (a quanto sembra aiutato da un distornimento trasversale dei margini
del peduncolo), che non solo forma un laccio, ma salta via istantaneamente dalla faccia sporgente
del rostello. Essendo le due masse polliniche fissate dapprincipio piuttosto fortemente alla loggia
dell’antera, quest’ultima viene pure staccata; e poiché la debole articolazione che sta all’apice della
loggia dell’antera non cede tanto facilmente come il margine basilare, ne segue che la massa
pollinica si slancia rapidamente in alto assieme alla loggia dell’antera, oscillando a guisa di pendolo.
Ma durante lo slancio verso l’alto, l’articolazione cede e tutta la massa è lanciata verticalmente
nell’aria uno o due pollici sopra l’estremità distale del labello e innanzi ad essa. Se nessun oggetto
intercetta la via, avviene che il pollinio, discendendo, cade per lo più sulla cresta pieghettata del
labello immediatamente sopra la colonnetta e aderisce, sebbene non fortemente, ad essa. Io ho
veduto più volte avvenire quanto ho qui descritto.
L’appendice del disco, la quale, dopo che il pollinio si è ripiegato in forma di laccio, giace sulla
loggia dell’antera, è di grande importanza per ciò che impedisce al margine vischioso del disco di
fissarsi all’antera e con ciò al pollinio di conservare permanentemente la sua forma di laccio. Questa
circostanza renderebbe impossibile, come ben presto vedremo, un ulteriore movimento del pollinio,
che è necessario allo scopo della fecondazione. Nei miei esperimenti avvenne ciò allorchè fu
impedita la libera azione delle parti, e in questo caso il pollinio restò fisso permanentemente alla
loggia dell’antera in forma di laccio irregolare.
Ho già accennato, che la piccola articolazione che congiunge la loggia dell’antera colla colonnetta è
sensibile ad un contatto per un breve tratto sotto il suo apice filamentoso e curvo. Io ne ho fatto
quattro volte l’esperimento e trovai che poteva toccare qualunque altra parte con una certa forza; ma
appena toccava anche leggermente questo punto con un ago sottilissimo, la membrana che
congiunge il disco coi margini della cavità stimmatica, entro cui giace, si lacerava istantaneamente,
ed il pollinio veniva lanciato in alto nel modo avanti descritto, per ricadere poscia sulla cresta del
labello.
Supponiamo ora che un insetto si arresti sul margine pieghettato del labello – e una stazione più
comoda non si trova — e si avanzi fin oltre la faccia anteriore della colonnetta per mordere o
succhiare le basi dei petali gonfie per una grande copia di liquido dolce in esse contenuto. Il peso ed
i movimenti dell’insetto sposteranno dalla loro posizione il labello ed il vertice sottoposto della
colonnetta. Quest’ultimo eserciterà una pressione ai lati sull’articolazione e produrrà la espulsione
del pollinio, il quale infallibilmente colpirà il capo dell’insetto e vi aderirà. Io ho fatto questo
esperimento, collocando un mio dito coperto da guanto sul vertice del labello, in modo che la punta
di esso sporgesse un poco oltre il suo margine; e allorché mossi dolcemente il mio dito, fu
meraviglioso a vedersi come il pollinio istantaneamente sia stato lanciato in alto e come la
superficie viscosa del disco abbia esattamente colpito il mio dito e vi abbia aderito. Tuttavia dubito
ancora che il peso e i movimenti di un insetto bastino ad agire indirettamente nel modo sopra detto
sul punto sensitivo, ma osservando il disegno, si vede quanto sia probabile che un insetto
curvandosi possa allungare le sue zampe anteriori oltre il margine del labello sull’apice della loggia
dell’antera, toccando in tal guisa il punto sensitivo. Il pollinio verrà allora espulso o il disco adesivo
colpirà il capo dell’insetto aderendovi.
Prima di procedere oltre potrebbe esser prezzo dell’opera ricordare alcuni miei esperimenti
anteriori. Io punsi profondamente la colonnetta in diversi punti, compreso lo stigma, tagliai i petali e
lo stesso labello senza ottenere l’espulsione del pollinio; ciò avvenne tuttavia una volta, avendo io
alquanto bruscamente troncato il grosso peduncolo del labello, dove senza dubbio fu irritato il
vertice filamentoso della colonnetta.
Avendo io sollevato dolcemente la loggia dell’antera alla base o ad un lato, la massa pollinica fu
espulsa, ma in questo caso dovette necessariamente essere stata piegata l’articolazione sensibile.
Quando il fiore è da lungo tempo aperto e quasi pronto alla espulsione spontanea, basta il più
insignificante urto di una parte qualunque del fiore per produrre quest’atto. Una pressione sul sottile
peduncolo del pollinio e quindi sulla sottoposta sporgenza del rostello ha per conseguenza la
espulsione delle masse polliniche; ma ciò non deve stupirci, perché l’irritazione derivante dal
contatto dell’articolazione sensitiva deve essere trasmessa al disco attraverso questa parte del
rostello. Nel genere Catasetum, una leggera pressione su questo punto non produce l’espulsione; ma
in questo genere la parte sporgente del rostello non è sulla via lungo la quale deve essere trasmessa
l’irritazione delle antenne al disco. Una goccia di cloroformio, di alcool o di acqua bollente portata
su questo punto non provocò alcuna attività, e con mia meraviglia non si ebbe alcun effetto, neppure
esponendo tutto il fiore ai vapori di cloroformio.
Vedendo che questa parte del rostello era sensibile ad una pressione e che il fiore stava aperto
ampiamente da un lato, ed impressionato da quanto aveva osservato nel Catasetum, era dapprima
convinto che gli insetti entrassero nella parte inferiore del fiore e toccassero il rostello. Per
conseguenza premei sul rostello con oggetti di diversa forma, ma il disco adesivo non si attaccò mai
all’oggetto in modo conveniente. Avendo io fatto uso di un grosso ago, avvenne che il pollinio
formasse un laccio attorno ad esso esponendo all’esterno la faccia viscosa; avendo usato un oggetto
largo e piatto, il pollinio si attorcigliò intorno ad esso e si ravvolse talvolta a spirale; ma il disco o
non aderiva punto o in modo imperfetto. Alla fine del decimosecondo esperimento disperava di un
risultato. La strana posizione del labello, collocato sopra il vertice della colonnetta, mi avrebbe
dovuto indicare che qui stava il punto da sottoporre all’esperimento. Io avrei dovuto rigettare l’idea
che il labello avesse una tal posizione senza uno scopo speciale. Questo indizio evidente fu da me
trascurato e perciò per un certo tempo non riuscii a comprendere affatto la struttura del fiore.
Noi abbiamo veduto che quando il pollinio è espulso e lanciato in alto, esso aderisce colla faccia
viscosa del disco ad un oggetto il quale sporga oltre il margine del labello direttamente sopra la
colonnetta. Fissato in tal guisa, esso forma un laccio irregolare e la loggia dell’antera strappata
copre ancora le masse polliniche, le quali stanno intimamente unite al disco; ma prima di aderire ad
esso sono protette dall’appendice discendente. Mentre esse si trovano in tal positura, la porzione
sporgente e curva del peduncolo potrebbe eventualmente impedire che le masse polliniche venissero
a contatto dello stigma, ammesso pure che la loggia dell’antera fosse caduta. Ammettiamo ora che
una massa pollinica sia fissata al capo di un insetto e vediamo che cosa avviene. Il peduncolo,
appena distaccato dal rostello, è umido, e disseccandosi va lentamente distendendosi, e quando è
perfettamente diritto, la loggia dell’antera se ne stacca e cade. Le masse polliniche sono ora nude e
inserite all’estremità del peduncolo col mezzo di picciuoli assai fragili e precisamente ad una
distanza conveniente per essere introdotte nello stigma viscoso quando l’insetto si arresti sopra un
altro fiore. In tal guisa ogni particolarità di struttura del fiore è perfettamente coordinata all’atto
della fecondazione.
Quando la loggia dell’antera si stacca, ha compiuta già la sua triplice funzione, vale a dire come
organo sensitivo mediante la sua articolazione; come guida per la sua debole aderenza alla
colonnetta, inducendo la massa pollinica a lanciarsi verticalmente in alto; e mediante l’unione del
suo margine inferiore coll’appendice del disco, come organo di difesa per le masse polliniche contro
una permanente aderenza al disco adesivo.
Dalle osservazioni da me fatte su quindici fiori risulta che la distensione del peduncolo non ha
luogo prima che sieno trascorsi dodici o quindici minuti. Il primo movimento che è causa dell’atto
di espulsione è una conseguenza della elasticità, e il secondo lento movimento è una conseguenza
del disseccamento della superficie esterna e convessa; quest’ultimo movimento differisce però da
quello osservato nelle masse polliniche di molte Vandee e Ophrydee; poichè se la massa pollinica di
questa Mormodes viene collocata nell’acqua, non riprende nuovamente la sua forma di laccio che
aveva prima raggiunto in forza della elasticità.
I fiori sono ermafroditi. Le masse polliniche sono perfettamente sviluppate. La faccia allungata
dello stigma è estremamente viscosa ed ha tubi innumerevoli, il di cui contenuto si contrae e si
coagula per una immersione nell’alcool della durata minore di mezz’ora. Se l’immersione
nell’alcool dura un’intiera giornata, l’azione operata sui tubi è così forte, che essi spariscono; e ciò
non ho osservato in nessun’altra orchidea. Gli ovoli, in seguito all’azione dell’alcool prolungata per
uno o due giorni, offrirono il solito aspetto pastoso pellucido, carattere che è comune a tutte le
orchidee ermafroditiche e femminili. Per la lunghezza non ordinaria della faccia dello stigma io mi
aspettava che, se le masse polliniche non venissero espulse in seguito all’irritazione prodotta da un
contatto, la loggia dell’antera si distaccasse e le masse polliniche, dirigendosi in basso, fecondassero
gli stigmi dello stesso fiore. Conforme a ciò, lasciai quattro fiori senza toccarli; dopo essere stati
aperti otto o dieci giorni, la elasticità del peduncolo aveva superato la forza di adesione e le masse
polliniche furono espulse spontaneamente; ma esse non caddero sullo stigma e per conseguenza
andarono perdute.
Quantunque la specie Mormodes ignea sia ermafrodita, tuttavia, rispetto alle sue funzioni, deve
essere dioica così bene come un Catasetum; poiché occorrendo dodici o quindici minuti prima che il
peduncolo d’un pollinio espulso si distenda in linea retta e si distacchi la loggia dell’antera, egli è
quasi certo che nel frattempo un insetto, il quale porti una massa pollinica aderente al suo capo, avrà
abbandonato una pianta per volare su di un’altra.
Mormodes luxata. – Questa rara e bellissima specie viene fecondata nello stesso modo della
Mormodes ignea, ma ne differisce per varii punti di struttura. Il lato destro e sinistro di uno stesso
fiore differiscono fra loro in grado ancora maggiore che nella specie precedente. Uno dei petali e
uno dei sepali si discostano ad angolo retto dalla colonnetta, mentre i corrispondenti del lato
opposto sono eretti e lo circondano. Il labello ripiegato in alto e torto è provveduto di due grandi
lobi laterali: di questi uno racchiude la colonnetta, mentre l’altro, situato da quella parte dove un
petalo e un sepalo sono orizzontali, è parzialmente aperto. Gli insetti possono quindi penetrare
facilmente nel fiore da questo lato. Tutti i fiori situati al lato sinistro della spica sono aperti a
sinistra, mentre quelli situati al destro lato di essa sono aperti a destra. La colonnetta contorta ha
tutte le parti accessorie importanti e la sua pianta piegata ad angolo retto assai simili alle parti
corrispondenti della M. ignea. Ma la faccia inferiore del labello non s’appoggia e non preme sulla
punta ricurva ad angolo retto della colonnetta; questa se ne sta libera nel mezzo di un nappo formato
dalla porzione estrema del labello.
Io non potei avere molti fiori adatti allo studio, poiché tre di essi, in conseguenza delle scosse avute
durante il viaggio, avevano già espulso le loro masse polliniche. Eseguii delle profonde punture nel
labello, nella colonnetta e nello stigma senza nessun risultato; ma avendo toccato leggermente con
un ago non l’articolazione dell’antera, come nell’ultima specie, ma l’apice della colonnetta, la
massa pollinica fu espulsa immediatamente. La base dei petali e dei sepali non è ingrossata e
carnosa come nella Mormodes ignea; e dubito appena che gli insetti rodano il labello, il quale è
grosso e carnoso ed ha lo stesso particolare sapore come quello di Catasetum. Se un insetto
mordesse il nappo terminale di esso potrebbe difficilmente far a meno di toccare l’apice della
colonnetta, e allora la massa pollinica verrebbe lanciata in alto e si attaccherebbe ad una qualche
parte dell’insetto. Nello spazio di quindici minuti dopo l’atto dell’espulsione, i peduncoli delle
masse polliniche si distendono e le logge dell’antera cadono. Noi possiamo quindi, senza tema di
errare, ammettere che questa specie venga fecondata nello stesso modo speciale come la Mormodes
ignea.
Cycnoches ventricosum. – Il signor Veitch mi usò le cortesia di spedirmi due volte parecchi fiori e
gemme fiorali di questa pianta. La fig. 33 rappresenta uno schizzo di un fiore in posizione naturale,
ma con un sepalo asportato, e la fig. 34 uno spaccato longitudinale di una giovine gemma.
Fig. 33. – CYCNOCHES VENTRICOSUM.
(Fiore nella sua naturale posizione pendente).
c. colonnetta dopo l’espulsione della massa pollinica coll’antera – f. filamento
dell’antera – s. cavità dello stigma –L. labello – pet. i due petali laterali –
sep. sepali.
Il labello è grosso e carnoso ed ha il sapore solito a quest’organo nelle Catasetidæ; somiglia per la
forma ad un bacino piatto colla faccia superiore volta in basso. I due altri petali ed i tre sepali sono
ripiegati all’indietro. La colonnetta è quasi cilindrica, sottile, flessibile, elastica e di lunghezza non
ordinaria; e ripiegata in modo da portare lo stigma e l’antera di fronte e sotto la faccia convessa del
labello. L’apice della colonnetta non è così allungato come nei generi Mormodes e Catasetum. I
pollinii sono assai simili a quelli di Mormodes; ma il disco è più grande e la sua appendice, che è
frangiata, è tanto grande da chiudere tutto l’ingresso nella cavità stimmatica. La struttura di queste
parti si comprende bene esaminando lo spaccato alla fig. 34; ma qui il peduncolo della massa
pollinica non si è staccato ancora dal rostello, tuttavia la futura linea di separazione è indicata da
una linea di tessuto ialino (punteggiata nella figura). Il filamento dell’antera (f, fig. 34) non ha
ancora raggiunto la sua completa lunghezza. Quando è perfettamente sviluppato porta due piccole
appendici fogliacee collocate sopra l’antera. In fine trovansi ai due lati dello stigma due deboli
prominenze (fig. 33), le quali evidentemente sostituiscono le antenne del Catasetum, ma non hanno
però la stessa funzione.
Fig. 34.
(Spaccato schematico di una gemma, la colonnetta è eretta).
a. antera – f. filamento dell’antera – p. massa pollinica – pd. peduncolo del
pollinio, appena separato dal rostello – d. disco del pollinio colla sua
appendice discendente – s. cavità dello stigmag. canale stimmatico.
Nè il labello nè le prominenze laterali dello stigma sono sensitive; ma avendo io in tre esperimenti
toccato istantaneamente il filamento nel punto che sta fra le piccole appendici fogliacee, la massa
pollinica fu espulsa nello stesso modo e col mezzo dello stesso meccanismo come nel genere
Mormodes; ma non fu lanciata che alla distanza di circa un pollice. Se il filamento fosse stato
toccato da un oggetto che non fosse stato allontanato rapidamente o da un insetto, il disco adesivo vi
avrebbe sicuramente aderito. Il signor Veitch mi fa noto che egli ha toccato spesse volte l’estremità
della colonnetta e che ogni volta la massa pollinica si è appiccicata al suo dito. Allorchè la massa
pollinica viene espulsa il peduncolo forma un laccio e la faccia esterna dell’appendice del disco
poggia sull’antera e la ricopre. Nello spazio di circa quindici minuti il peduncolo si drizza e la
loggia dell’antera cade; e allora la massa pollinica è nella posizione opportuna per fecondare un
altro fiore. Appena che la sostanza viscosa della faccia inferiore del disco è esposta all’aria, cambia
prestamente il suo colore e si indurisce. Essa si attacca allora con forza sorprendente ad ogni
oggetto. Da questi fatti diversi e dall’analogia colle altre Catasetide, possiamo conchiudere che gli
insetti visitano questi fiori allo scopo di morderne il labello; ma non si può prevedere se essi si
arrestino sulla faccia che nel disegno è la superiore (fig. 33), e poscia si avanzino oltre il margine
per rodere la faccia convessa, toccando in tal modo col loro addome la estremità della colonnetta,
oppure se si arrestino dapprincipio su questa parte della colonnetta; in ambedue i casi però essi
provocheranno l’espulsione delle masse polliniche, le quali andranno ad attaccarsi ad un qualche
punto del loro corpo.
Gli esemplari da me esaminati erano senza dubbio piante maschili; poichè i pollinii erano
perfettamente sviluppati. La cavità stimmatica era rivestita di un grosso strato di sostanza pastosa
che non era attaccaticcia. Ma poiché i fiori non possono venir fecondati prima che i pollinii sieno
stati espulsi assieme alla grande appendice del disco che copre tutta la cavità stimmatica, così è
possibile che questa faccia diventi più tardi viscosa per assicurarsi le masse polliniche. Gli ovuli
conservati qualche tempo nell’alcool si presentarono ripieni di una sostanza pastosa e bruna, come
succede sempre degli ovuli perfetti. Da ciò si potrebbe inferire che questo Cycnoches debba essere
un ermafrodita, e il signor Bateman, nella sua opera sulle Orchidee, dice che questa specie produce
semi senza essere fecondata artificialmente, secondo il mio modo di vedere; come ciò sia possibile,
non mi è dato comprendere. D’altro canto, Beer
(
100
)
dice che lo stigma di Cycnoches è asciutto e la
pianta non produce mai semi. Secondo le notizie di Lindley, il C. ventricosum porta sullo stesso
stelo fiori con labello semplice e altri con labello profondamente segmentato e variegato (il così
detto C. egertonianum) ed altri con labello intermedio. Dalle differenze analoghe dei fiori di
Catasetum siamo tentati di ritenere che queste sieno forme maschili, femminili ed ermafrodite della
stessa specie di Cycnoches.
(
101
)
Io ho ora finita la mia descrizione delle Catasetidæ e di molte altre Vandeæ. Lo studio di questi
100
()
Citato da IRMISCH, Beiträge zur Biologie der Orchideen, 1853, p. 22.
101
()
LINDLEY, Vegetable Kingdom, 1853, p. 177. Lo stesso ha pubblicato nel Botanical Register, fol. 1951, un caso di
un’altra specie di Cycnoches che portava due forme sullo stesso stelo. Anche il sig. Bateman dice aversi esperimentato
che il C. egertonianum, a Guatemala e una volta anche in Inghilterra, ha prodotto fiori di un coloro purpureo e altri assai
diversi, mentre di solito in Inghilterra porta i fiori del comune C. ventricosum.
magnifici e spesso mirabili esseri con tutti i numerosi loro adattamenti, con organi atti al
movimento e con altri organi provvisti di una proprietà tanto simile alla sensibilità, sebbene senza
dubbio diversa, mi è apparso assai interessante. I fiori delle orchidee, nella loro strana ed
interminabile moltiplicità di forme, possono essere paragonati alla grande ed infima classe dei
vertebrati, i pesci; oppure, meglio ancora, agli omotteri dei tropici, i quali presentano forme tali che
ci sembrano prodotti in un momento di stranissimo umore; tuttavia è certo essere ciò una
conseguenza della nostra ignoranza dei loro bisogni e delle loro condizioni di vita.
Capitolo VIII.
CYPRIPEDIEæ. OMOLOGIE DEI FIORI
DELLE ORCHIDEE.
Cypripedium, differisce notevolmente da tutte le altre orchidee. – Labello a forma di pantofola con due piccole aperture
per le quali possono sfuggire gli insetti. – Modo della fecondazione coll’intervento di piccole api del genere Andrena. –
Omologia delle diverse parti dei fiori delle orchidee. — Profonda modificazione da esse subita.
Noi siamo ora giunti alla settima ed ultima tribù di Lindley, la quale, per consenso della maggior
parte dei botanici, comprende un solo genere, Cypripedium, il quale differisce da tutte le altre
orchidee più di quello che differiscono due altre qualsiasi fra di loro. Una estinzione operatasi su
grande scala deve aver distrutto una grande quantità di forme intermedie e aver lasciato questo solo
genere, al presente molto esteso, a testimonianza di uno stato anteriore e più semplice del grande
ordine delle orchidee. Il genere Cypripedium è privo di rostello; poiché tutti e tre gli stigmi sono
sviluppati perfettamente, sebbene saldati fra loro. Quell’antera che esisteva unica in tutte le altre
orchidee è in questo genere rudimentale ed è rappresentata da un corpo particolare prominente in
forma di scudo, profondamente crenato o incavato al suo margine inferiore. Esistono due antere
fertili, le quali fanno parte di un ciclo interno rappresentato da diversi rudimenti nelle comuni
orchidee. I granelli pollinici non sono riuniti in gruppi di tre o quattro, come si osserva in tanti
generi, e non sono neppure tenuti assieme da filamenti elastici, non possedono un picciuolo, nè sono
aggruppati in masse cerose. Il labello raggiunge una grandezza notevole ed è, come in tutte le altre
orchidee, un organo composto.
Le osservazioni che seguono furono fatte sulle sei specie da me studiate, cioè: C. barbatum,
purpuratum, insigne, venustum, pubescens e acaule; però ho esaminato occasionalmente anche altre
specie. La porzione basilare del labello è ripiegata intorno alla breve colonnetta in modo che i suoi
margini s’incontrano quasi lungo la faccia dorsale, e la sua estremità allargata forma una piega
particolare che assomiglia ad una specie di scarpa, la quale racchiude l’estremità del fiore. Da ciò ha
origine il suo nome volgare di «scarpa di dama». I margini accartocciati del labello sono pieghettati
o talvolta soltanto lisci e glabri internamente; questa circostanza è molto importante, poichè
impedisce che gl’insetti, i quali una volta siano arrivati nel labello, possano sfuggire attraverso la
grande apertura della faccia superiore. Nella sua posizione naturale del fiore, come è qui disegnato,
la faccia dorsale della colonnetta è la più alta. La faccia stimmatica sporge solo lievemente e non è
viscosa; essa è a un dipresso parallela alla faccia inferiore del labello. Nel fiore situato nella sua
posizione naturale il margine della faccia dorsale dello stigma si può appena distinguere fra i
margini del labello e attraverso la cavità dell’antera rudimentale scutiforme (a’); ma nel disegno (s,
fig. A) il margine dello stigma fu portato fuori dai lembi del labello depresso, e l’estremità digitale è
alquanto ripiegata in basso, cosicché il fiore è figurato più aperto di quello che sia in realtà. I bordi
delle masse polliniche delle due antere laterali (a) sono visibili attraverso le due piccole aperture o
fori del labello (fig. A) situati ai due lati della colonnetta e presso di essa. Questi due fori sono
essenziali per la fecondazione del fiore.
Fig. 35. – CYPRIPEDIUM.
a. antera – a’. antera rudimentale scudiformes. stigmal. labello.
A. Fiore visto dal di sopra, i sepali e i petali ad eccezione del labello sono in
parte asportati. Il labello è stato leggermente depresso così che resta
esposta la faccia dorsale dello stigma; in conseguenza di ciò i margini del
labello sono stati allontanati alquanto e l’estremità digitale sta più in basso
che in natura.
B. Profilo della colonnetta, tutti i sepali e i petali furono asportati.
I granelli pollinici sono immersi in un umore vischioso e tanto pastoso che può essere stirato in
brevi fili. Poichè le due antere sono situate all’indietro e sopra la superficie inferiore convessa dello
stigma (s, fig. B), egli è impossibile che il polline vischioso possa giungere senza un qualche aiuto
meccanico su questa faccia, che è precisamente quella che funziona da stigma. Qui si osserva una
meravigliosa economia della natura rispetto al modo di raggiungere lo stesso scopo. In tutte le altre
orchidee da me studiate, lo stigma è viscoso e più o meno concavo, e con tal mezzo il polline, che è
asciutto, viene trattenuto dalla sostanza vischiosa secreta dal rostello o dallo stigma modificato. Nel
genere Cypripedium il polline è vischioso e assume la funzione della viscosità, la quale in tutte le
orchidee, ad eccezione del genere Vanilla, appartiene al rostello e ai due stigmi saldati assieme.
All’opposto, nel genere Cypripedium questi organi hanno perduto affatto ogni vischiosità e sono
nello stesso tempo divenuti alquanto convessi, per poter così più efficacemente levare il polline che
sia aderente al corpo d’un insetto. Oltre di ciò in parecchie specie dell’America del Nord, ad
esempio nel C. acaule e pubescens, la superficie dello stigma è sparsa, come ha osservato il
professore Asa Gray,
(
102
)
«di papille minutissime, rigide, appuntite, dirette tutte all’innanzi e molto
adatte a raschiare il polline dal capo o dal dorso d’un insetto». Esiste tuttavia una parziale eccezione
alla regola sopraddetta, che il polline di Cypripedium è vischioso, mentre lo stigma non è
vischioso concavo; poichè nel C. acaule il polline, secondo le osservazioni di Asa Gray, è
granuloso e meno viscoso che nelle altre specie americane, e solo nel C. acaule lo stigma è
leggermente concavo e vischioso. L’eccezione conferma per così dire la verità della regola generale.
Io non ho mai potuto scoprire nettare nell’interno del labello, e Kurr
(
103
)
fa la stessa osservazione
riguardo al C. calceolus. Tuttavia la superficie interna del labello, nelle specie da me osservate, è
rivestita di peli, gli apici dei quali secernono piccole goccie di un liquido pochissimo vischioso. Se
queste fossero dolci e nutritive, basterebbero ad adescare gl’insetti. Questo umore col disseccarsi
forma una fragile crosta sull’apice del pelo. Qualunque sia la parte che adesca, è certo che spesso
piccoli imenotteri entrano nel labello.
Io aveva dapprima supposto che gl’insetti si arrestassero sul labello e introducessero le loro
proboscidi nell’interno fin presso le antere attraverso uno dei due fori, poichè aveva trovato che
introducendo in tal modo una setola, il polline vi si attaccava e poteva più tardi essere abbandonato
sullo stigma; ma quest’ultima parte del processo non riusciva bene. Dopo la pubblicazione del mio
libro mi scrisse il professor Asa Gray,
(
104
)
essere egli persuaso dallo studio di parecchie specie
americane, che i fiori fossero fecondati da piccoli insetti, i quali penetrando entro il labello fin
presso le antere attraverso la grande apertura della faccia superiore, ne uscissero poi presso le antere
e lo stigma per uno dei due fori minori. In seguito a ciò introdussi dapprima alcune mosche nel
labello di C. pubescens dentro la grande apertura superiore; ma esse erano troppo grandi o troppo
inette e non uscivano come si conveniva. Presi allora un’ape piccolissima, che mi sembrava a un
dipresso di una grandezza conveniente, vale a dire l’Andrena parvula, e la misi dentro il labello, e
per uno strano caso avvenne, come ben presto vedremo, che essa appartenesse al genere da cui
dipende allo stato di natura la fecondazione di C. calceolus. L’ape tentò invano di retrocedere per la
stessa via per cui era entrata, poichè cadeva sempre all’indietro, essendo i margini ripiegati
all’indentro. Il labello si comporta in questo caso come una di quelle trappole coniche coi margini
ripiegati all’indentro, che si usano per accalappiare gli scarafaggi e le blatte nelle cucine di Londra.
Essa non potè uscire fuori per l’apertura esistente fra i margini ripiegati della porzione basilare del
labello, poichè il filamento staminale allungato, triangolare e rudimentario chiude quella via. In fine
si aperse un passaggio all’esterno attraverso una delle piccole aperture presso una delle antere, e
quando fu presa si mostrò coperta del polline vischioso. Introdussi la stessa ape di nuovo nel labello
ed essa ritornò nuovamente fuori per una delle piccole aperture e sempre carica del polline. Ho
ripetuto l’esperienza cinque volte e sempre collo stesso risultato. Poscia asportai il labello per
esaminare lo stigma, e trovai tutta la sua superficie cospersa di polline. È da notarsi, che un insetto
nell’uscire deve venir a contatto prima collo stigma e solo dopo coll’antera, e quindi non può
lasciare polline sullo stigma, se non quando, essendo carico del polline di un fiore, entra in un altro;
102
()
American Journal of Science, vol. XXXIV, 1862, p. 428.
103
()
Bedeutung der Nektarien, 1833, p. 29.
104
()
V. anche American Journal of Science, vol. XXXIV, 1862, p. 427.
per cui avviene assai probabilmente la fecondazione incrociata di due piante diverse. Delpino
(
105
)
ha
con molto acume preveduto che si verrebbe a scoprire un insetto che si comportasse in tal modo;
poiché se, come io aveva supposto, un insetto introducesse la propria proboscide dall’esterno per
una delle piccole aperture esistenti presso l’antera, ne seguirebbe assai facilmente la fecondazione
dello stigma, mediante il polline della stessa pianta; ciò che egli non ammetteva, essendo convinto
del fatto su cui io ho spesso insistito, – che cioè tutti gli apparecchi della fecondazione sono disposti
in modo che lo stigma debba ricevere il polline da un fiore o da una pianta diversa. Ma tutte queste
speculazioni sono ora superflue dopo che, dalle mirabili osservazioni del D
r
H. Müller,
(
106
)
sappiamo
che il Cypripedium calceolus viene fecondato allo stato di natura nel modo sopra descritto da
imenotteri appartenenti a cinque specie del genere Andrena.
Dopo ciò si comprende l’utilità di tutte le parti del fiore, – cioè dei margini ripiegati o delle faccie
interne liscie del labello, – delle due aperture e della loro posizione presso le antere e lo stigma, – e
della grandezza considerevole del rudimentale filamento staminale medio. Un insetto arrivato entro
il labello è costretto per questi apparecchi ad uscirne per uno dei due piccoli fori, ai lati dei quali
stanno le masse polliniche e lo stigma. Noi abbiamo veduto che nel genere Coryanthes si raggiunge
lo stesso scopo per ciò che il labello è ripieno per metà di un secreto liquido, e nel genere
Pterostylis e in alcune altre orchidee dell’Australia perchè il labello è irritabile in modo, che il fiore
si chiude in seguito al contatto di un insetto, ad eccezione di un unico e stretto canale.
(
107
)
OMOLOGIE
DELLE DIVERSE PARTI DEI FIORI DELLE ORCHIDEE.
La struttura teorica di pochi fiori fu tanto diligentemente studiata come quella dei fiori delle
orchidee; nè ciò deve far meraviglia se si consideri quanto differiscano dai fiori comuni; credo
essere questo un luogo acconcio per trattare di questo soggetto. Nessun gruppo di organismi può
comprendersi bene se non sono chiarite le loro omologie, vale a dire prima che si abbia inteso lo
schema generale, come spesso si è detto, o il tipo ideale dei diversi membri del gruppo. Non esiste
forse oggi nessun membro del gruppo, il quale presenti perfetto lo schema; ma ciò non diminuisce
l’importanza del soggetto per i naturalisti, – e anzi probabilmente lo rende ancora più importante per
la completa intelligenza del gruppo.
Le omologie di un essere qualsiasi o di un gruppo di esseri possono chiarirsi nel modo più certo
seguendo il loro sviluppo embrionale, se ciò è possibile, o collo studio degli organi rudimentali,
oppure colla ricerca esatta dei passaggi graduati di una parte in un’altra in una lunga serie di esseri,
finché le due parti o organi, per quanto sieno discoste per le loro funzioni e assai diverse fra loro,
possano essere collegate da una serie di brevi anelli. Non si conosce nessun caso di un lento
passaggio fra due organi che non siano omologicamente l’identico organo.
L’importanza della dottrina delle omologie sta in ciò che essa ci dà in mano la chiave per calcolare
la somma delle variazioni possibili nel piano di uno stesso gruppo: essa rende possibile la
classificazione di organi assai dissimili in esatte categorie: essa ci indica passaggi i quali altrimenti
sarebbero sorpassati e con ciò ci è di aiuto nella classificazione; essa dà la spiegazione di molte
mostruosità; ci conduce alla scoperta di parti oscure o nascoste o di sole traccie di parti, e ci
dimostra il significato dei rudimenti. Oltre queste utilità, l’omologia rischiara la nebbia che circonda
certe espressioni, come schema della natura, tipo ideale, piani fondamentali o idee, ecc., poiché
simili espressioni vengono a significare veri fatti. Il naturalista, guidato da ciò, vede che le parti
omologhe od organi, per quanto abbiano potuto diventare dissimili, sono tuttavia modificazioni
d’uno stesso organo primitivo; seguendo la serie dei passaggi attualmente esistenti conquista una
chiave per seguire, per quanto è possibile, il probabile processo di modificazione verificatosi negli
105
()
Fecondazione nelle Piante Antocarpee, 1867, p. 20.
106
()
Verh. d. Nat. Ver. für Pr. Rheinland und Westfal. Jahrg. XXV, 3 Folge, 5 Bd., p. 1; vedi pure: Die Befruchtung der
Blumen, ecc., 1873, p. 76.
107
()
Selenipedium palmifolium è una Cypripediea e porta, secondo le notizie del Dr. CRÜGER (Journ. Linn. Soc. Bot., vol.
VIII, 1864, p. 134), fiori assai odorosi, i quali «con tutta probabilità vengono sempre fecondati dagli insetti. Il labello è
conformato, come in alcuni fiori di Aristolochia, secondo il sistema delle nasse dei pescatori, vale a dire, v’ha
un’apertura infundibuliforme che mette in esso e gli insetti possono uscirne solo con sforzo. L’altra apertura esistente
presso la base del labello è chiusa in parte dall’apparato sessuale, e l’insetto deve aprirsi una via attraverso esso.
esseri per una lunga serie di generazioni. Sia che esso segua lo sviluppo embrionale o ricerchi i più
minuti rudimenti o esamini i passaggi fra i diversi esseri, di ciò può essere sempre certo, che esso
segue lo stesso oggetto, solo per vie diverse, e che tende alla conoscenza più vicina del vero e reale
progenitore del gruppo, come crebbe e visse altra volta. Per ciò la dottrina delle omologie guadagna
notevolmente d’interesse.
Sebbene questo soggetto, da qualsiasi punto di vista considerato, sia del massimo interesse pel
Naturalista, egli è tuttavia assai dubbioso se i seguenti dettagli sulle omologie dei fiori delle
orchidee offriranno al maggior numero dei lettori un qualsiasi interesse. Ad ogni modo, se
gl’importa di vedere quanta luce arrechi ad un soggetto la conoscenza delle omologie, sebbene assai
lontana dall’essere completa, potrà forse questo esempio essere migliore di qualunque altro. Egli
vedrà, in qual modo mirabile un fiore possa essere modificato in molte singole parti, – come possa
divenire perfetta la coesione di parti originariamente diverse, – come agli organi possano essere
assegnate funzioni assai diverse dalla propria tipica destinazione, – come altri organi possano essere
affatto soppressi o lasciare solo inutili traccie della loro primitiva esistenza. In fine noi vedremo
quanto sia stata enorme la somma delle variazioni dalla loro forma tipica ed originaria, subite da
questi fiori.
Robert Brown
(
108
)
ha trattato pel primo con chiarezza delle omologie delle orchidee e, come si
poteva aspettarsi, ha lasciato addietro poco da fare. Guidato dalla struttura generale delle piante
monocotiledoni e da diverse altre considerazioni, stabilì la dottrina, che il fiore in realtà sia formato
da tre sepali, tre petali, sei antere disposte in due cicli (delle quali solo un’antera del ciclo esterno è
perfetta in tutte le forme comuni) e da tre pistilli, uno dei quali è stato trasformato nel rostello.
Questi quindici organi sono come di solito alterni, disposti a tre a tre in cinque cicli. Per l’esistenza
di tre di queste antere in due di quei cicli R. Brown non ha prove sufficienti, ma egli crede che esse
siano combinate col labello o col labbro inferiore, ogni volta che quest’organo presenta delle creste
o delle listarelle. Lindley accoglie e propugna queste idee di R. Brown.
(
109
)
Brown seguì i vasi spirali nel fiore mediante spaccati trasversali e solo occasionalmente, secondo
rilevasi dal suo lavoro, col mezzo di spaccati longitudinali.
(
110
)
Poiché si trovano vasi spirali in un
periodo di accrescimento assai primitivo, e questa circostanza in un organo è di grande valore per lo
studio delle omologie, e poiché essi hanno evidentemente un’alta importanza funzionale, sebbene la
loro funzione non sia esattamente conosciuta, così mi sembrò, guidato anche dal consiglio del D
r
Hooker, prezzo dell’opera di seguire tutti i vasi spirali dei sei gruppi che stanno attorno all’ovario in
direzione longitudinale. Di questi sei gruppi ovariali di vasi io chiamerò (sebbene non sia del tutto
corretto) gruppo anteriore quello che sta sotto il labello, gruppo posteriore quello che sta sotto il
petalo superiore, e gruppo laterale anteriore e posteriore i due gruppi che stanno ai due lati
dell’ovario.
Il risultato delle mie ricerche è esposto nel seguente spaccato schematico (figura 36). I quindici
piccoli circoli rappresentano altrettanti gruppi di vasi spirali i quali in ogni caso furono seguiti in
basso fino ad uno dei sei grandi gruppi ovarici. Essi sono disposti in cinque cicli e alternanti, come
è rappresentato dalla figura; ma io non ho tentato di riprodurre le reali distanze fra loro esistenti. Per
dirigere l’occhio, i tre gruppi centrali decorrenti ai tre pistilli sono riuniti col mezzo di un triangolo.
Cinque gruppi di vasi decorrono nei tre sepali e nei due petali superiori, tre entrano nel labello e
sette decorrono all’in su entro la grande colonnetta centrale. Questi vasi sono, come si può vedere,
108
()
Io credo che le sue idee ulteriori sieno contenute nel suo rinomato scritto, che fu letto al 1
o
e al 15 Nov. 1831 e
pubblicato nelle Linnean Transactions, vol. XVI, p. 685.
109
()
Il professore ASA GRAY ha descritto in American Journal of Science, luglio 1866, un fiore mostruoso di
Cypripedium candidum e fa questa osservazione: «noi abbiamo qui una prova (e forse la prima diretta) che il tipo dei
fiori delle orchidee possiede due cicli di stami, come Brown ha sempre accentuato». Anche il Dr. CRÜGER (Journ. Linn.
Soc. Bot., vol. VIII, 1864, p. 132) porta delle prove a favore della esistenza di cinque cicli di organi; ma nega che la
omologia delle parti possa esser desunta dal decorso dei vasi e non ammette che il labello sia formato dalla unione di un
petalo con due stami petaloidi.
110
()
Linnean Transactions, vol. XVI, p. 696-701. LINK sembra pure aver fatto uso di spaccati trasversali nelle sue
Osservazioni sulla struttura delle orchidee (Botanische Zeitung, 1849, p. 745. Se egli avesse seguito i vasi nel loro
decorso longitudinale, non potrei credere, che egli avesse combattuto l’idea di Brown sulla natura delle due antere di
Cypripedium. BRONGNIART dimostra occasionalmente nel suo stimato scritto (Annales des Sciencec Nat., tom. XXIV, 1831)
il decorso di alcuni vasi spirali.
disposti in raggi i quali partono dall’asse del fiore: e tutti quelli d’un raggio decorrono senza
eccezione nello stesso gruppo ovarico; così i vasi che percorrono il petalo superiore, l’antera fertile
(A
1
) e il pistillo superiore si riuniscono tutti a formare il gruppo ovarico posteriore. Così pure i vasi
percorrenti il sepalo inferiore sinistro, il margine del labello o uno degli stigmi (S) dello stesso lato,
si riuniscono a formare il gruppo laterale anteriore e così via degli altri.
Fig. 36. – SPACCATO TRASVERSALE DI UN FIORE DI ORCHIDEA.
(I piccoli cerchi mostrano la posizione dei vasi spirali).
SS. Stigmi; Sr
1
stigma trasformato nel rostello.
A
1
. Antera fertile del ciclo esterno; A
2
A
3
antere dello stesso ciclo riunite col
petalo inferiore per formare il labello.
a
1
a
2
. Antere rudimentali del ciclo interno (fertili nel genere Cypripedium), le
quali danno origine per lo più al clinandrio; a
3
terza antera dello stesso
ciclo, che forma quando esiste la faccia anteriore della colonnetta.
Se quindi si può fondarsi sulla presenza dei gruppi dei vasi spirali, il fiore di un’orchidea è formato
certamente da quindici organi modificati e saldati assieme. Noi troviamo tre stigmi, dei quali i due
inferiori sono per lo più saldati fra loro, mentre il superiore è trasformato nel rostello. Vediamo sei
stami disposti in due cicli, dei quali solo uno (A
1
) è fertile. Nel genere Cypripedium però sono fertili
due stami del ciclo interno (a
1
e a
2
), e in altre orchidee questi due stami sono più distintamente
rappresentati degli altri. Il terzo stame del ciclo interno (a
3
) forma, se si possono seguire i suoi vasi,
la faccia anteriore della colonnetta: Brown ha creduto che esso formasse spesso una protuberanza
mediana o una lista che aderisce al labello, oppure nel genere Glossodia,
(
111
)
un organo filamentoso
che sporge liberamente sul davanti del labello. La prima opinione non concorda colle mie ricerche;
quanto al genere Glossodia non ne so nulla. Dei due stami sterili del ciclo esterno (A
2
A
3
) Brown ha
creduto, che essi sieno solo qualche volta rappresentati, e in questo caso da due escrescenze laterali
del labello; ma io trovo che i vasi corrispondenti esistono senza eccezione nel labello di tutte le
orchidee da me esaminate, – perfino quando il labello è assai esile e perfettamente semplice come
nei generi Malaxis, Herminium o Habenaria.
Noi possiamo dedurre da ciò, che un fiore di orchidea è formato da cinque parti semplici, e cioè da
tre sepali e da due petali, e da due parti composte, la colonnetta e il labello. La colonnetta è formata
da tre pistilli e per lo più da quattro stami, tutti saldati perfettamente assieme. Il labello è formato da
un petalo con due stami petaloidi del ciclo esterno, i quali pure sono completamente fusi assieme.
Mi piace ricordare che questo fatto è reso più probabile da ciò che nelle Marentacee, piante affini
alle Orchidee, gli stami, anche i fertili, sono spesso petaloidi e parzialmente collegati fra loro.
Questa opinione sul significato del labello spiega la sua considerevole grandezza, la sua frequente
forma triloba e in ispecie la sua maniera di unione colla colonnetta assai diversa da quella degli altri
petali.
(
112
)
Poiché gli organi rudimentali variano considerevolmente, noi possiamo comprendere in
questo modo quella variabilità che, come mi dice il D
r
Hooker, è caratteristica per le escrescenze del
labello. In alcune Orchidee provvedute di un nettario speroniforme i due lati sono formati
probabilmente dai due stami modificati; così nella Gymnadenia conopsea (non però nella Orchis
pyramidalis) i vasi che hanno origine dai due gruppi ovarici lacero-anteriori decorrono all’ingiù sui
lati del nettario; quelli dell’unico gruppo anteriore decorrono in basso esattamente sulla parte
mediana del nettario e formano poscia risalendo sulla faccia opposta la costa media del labello. La
circostanza, che i lati del nettario sono formati, come appare dal suesposto, da due organi distinti,
spiega evidentemente la tendenza, che si manifesta in Calanthe, nell’Orchis morio, ecc., ad avere
l’estremità bifida.
Il numero, la posizione e il decorso di tutti i vasi rappresentati nel disegno schematico (fig. 36)
vennero osservati in alcune Vandee ed Epidendree.
(
113
)
Nelle Malaxee furono osservati tutti, ad
111
()
V. le osservazioni di BROWN sul gen. Apostasia in Plantæ Asiaticæ rariores di WALLICH, 1830, p. 74.
112
()
LINK espone alcune osservazioni sulla unione del labello colla colonnetta nelle sue Bemerkungen, in: Botan.
Zeitung, 1849, p. 745.
113
()
Potrebbe essere utile di dare alcuni pochi dettagli dei fiori da me studiati; ma certi punti speciali, come il decorso
dei vasi nel labello, non ho creduto in molti casi che valga la pena di comunicarli. Fra le Vandee ho seguito tutti i vasi
nel Catasetum tridentatum e saccatum; il grande gruppo di vasi che va al rostello si separa (come anche in Mormodes)
eccezione di a
3
, i quali sono assai difficili a seguirsi e sembrano mancare nel maggior numero dei
casi. Inoltre furono seguiti tutti nelle Cypripediee, ad eccezione di a
3
,
(
114
)
i quali, io credo con
bastante certezza, che qui realmente manchino; in questa tribù lo stame (A
1
) è rappresentato da un
rudimento a forma di scudo evidente; a
1
e a
2
sono sviluppati in due antere fertili. Nelle Ophrydee e
Neottiee furono seguiti tutti i vasi, coll’importante eccezione di quelli appartenenti ai tre stami del
ciclo interno (a
1
, a
2
, a
3
). Nella Cephalanthera grandiflora vidi a
3
distintamente provenire dal
gruppo ovarico anteriore e percorrere la faccia anteriore della colonnetta. Questa orchidea anomala è
priva di rostello, e il vaso segnato S
2
nel disegno schematico mancava completamente, quantunque
si potesse vedere in ogni altra specie.
Quantunque le due antere (a
1
e a
2
) del ciclo interno non siano sviluppate perfettamente e
normalmente in nessuna Orchidea, ad eccezione del genere Cypripedium, tuttavia esistono per lo
più i loro rudimenti e spesso sono resi utili; esse formano cioè spesso i lati del clinandrio
nappiforme all’apice della colonnetta, il quale accoglie e protegge il polline. Questi rudimenti
aiutano con ciò la funzione delle altre antere fertili. Nella giovane gemma fiorale di Malaxis
paludosa si trovò una assai spiccata somiglianza fra le due membrane del clinandrio e antera fertile
nella forma, a struttura ed altezza alla quale salivano i vasi; era impossibile dubitare di avere in
queste due membrane due antere rudimentali. Nel genere Evelyna, una Epidendrea, il clinandrio è
conformato in modo analogo, così pure le corna del clinandrio nel genere Masdevallia, le quali
servono altresì a tenere il labello ad una distanza conveniente dalla colonnetta. Nella Liparis
pendula e in alcune altre specie queste due antere rudimentali formano non solo il clinandrio, ma
anche una specie di ali, sporgenti ai due lati dell’ingresso della cavità dello stigma e servono di
guida per l’introduzione delle masse polliniche. Nei generi Acropera e Stanhopea, per quanto potei
osservare, i margini membranosi della colonnetta, fino presso la sua base, sono pure analogamente
conformati; in altri casi però, così nel genere Cattleya, i margini pterigoidei della colonnetta
sembrano essere semplici forme di sviluppo dei due pistilli. In quest’ultimo genere, come pure nel
dal gruppo ovarico posteriore sotto la biforcazione che provvede il sepalo superiore e la antera fertile; il gruppo ovarico
anteriore decorre per un certo tratto lungo il labello, prima di biforcarsi e di emettere un gruppo (a
3
) che va alla faccia
anteriore della colonnetta; i vasi provenienti dal gruppo latero-posteriore decorrono lungo il dorso della colonnetta ai
lati di quelli che vanno all’antera fertile e non arrivano ai margini del clinandrio. Nell’Acropera luteola la base della
colonnetta, là dove si inserisce il labello, è fortemente protratta e i vasi dell’intiero gruppo ovarico anteriore sono
protratti in modo corrispondente; quelli che decorrono lungo la faccia anteriore della colonnetta sono repentinamente
ripiegati; i vasi nel punto della curvatura sono in modo mirabile induriti, appiattiti e protratti in creste e punti particolari.
In un Oncidium ho seguito i vasi S
r
fino al disco adesivo del pollinio. Fra le Epidendree ho seguìto tutti i vasi in una
Cattleya, così pure nella Evelyna carinata, ad eccezione di a
3
che non ho cercato. Fra le Malaxee li seguii tutti nella
Liparis pendula ad eccezione di a
3
, i quali, come io credo, non esistono. Nella Malaxis paludosa ho seguito il corso di
quasi tutti i vasi. Nel Cypripedium barbatum e purparatum li seguii tutti ad eccezione di a
3
, i quali sono quasi certo che
non esistono. Fra le Neottiee ho seguìto tutti i vasi, eccettuati quelli corrispondenti al mancante rostello e quelli delle
due appendici auricolari a
1
e a
2
, i quali certamente non esistevano. In Epipactis li seguii tutti ad eccezione di a
1
, a
2
, e a
3
che mancano sicuramente. Nello Spiranthes autumnalis il vaso S
r
decorre presso la base della biforcazione del rostello:
non esistono nè in questa Orchidea nè nel genere Goodyera vasi per le membrane del clinandrio. In nissuna Ophrydea
esistono i vasi a
1
, a
2
, e a
3
. Nella Orchis pyramidalis ho seguìto tutti gli altri, compresi quei due dei due stigmi separati;
in questa specie il contrasto fra i vasi del labello e quelli degli altri sepali e petali è spiccato, poichè negli ultimi i vasi
non si ramificano, mentre il labello ha tre vasi, dei quali i laterali entrano naturalmente nel gruppo ovarico laterale-
anteriore. Nella Gymnadenia conopsea seguii tutti i vasi; ma non sono ben sicuro se i vasi che provvedono i lati del
petalo superiore non deviino dal loro corso ordinario, come avviene nel genere vicino Habenaria, ed entrino nel gruppo
ovarico laterale-posteriore; il vaso che va al rostello, S
r,
entra nella piccola piega membranosa sporgente fra le basi delle
logge dell’antera. Infine ho seguìto tutti i vasi nella Habenaria chlorantha, ad eccezione di quelli dei tre stami interni,
come nelle altre Ophrydee, ed ho cercato con cura il gruppo a
3,
che provvede di vasi l’antera e decorre nel connettivo fra
le due logge, ma non si biforca. Il vaso che va al rostello arriva fino sotto il connettivo dell’antera, ma non si biforca, e
non si estende fino ai due dischi adesivi molto distanti tra loro.
114
()
Dalla descrizione di IRMISCH dello sviluppo della gemma fiorale di Cypripedium (Beiträge zur Biologie der
Orchideen, 1853, p. 78 e 42) si potrebbe dedurre che esista una tendenza alla formazione di un filamento libero davanti
il labello, come nel caso prima accennato del genere Glossodia; e ciò spiega forse la mancanza dei vasi spirali, che
provengono dal gruppo ovarico anteriore e si fondono colla colonnetta. Nel genere Uropedium ritenuto da A.
BRONGNIART assai affine con Cypripedium (Annales Scient. Nat., 3rd series, Bot. tom. 13, p. 114) e fors’anche una
mostruosità dello stesso, la stessa posizione è presa da una terza antera fertile.
Catasetum, questi stessi due stami rudimentali servono, giudicando dalla posizione dei vasi,
principalmente a rafforzare la faccia dorsale della colonnetta; e il rafforzamento della faccia
anteriore della colonnetta è l’unica funzione del terzo stame del ciclo interno (a
3
) in quei casi, in cui
fu osservato. Questo terzo stame percorre nel mezzo la colonnetta estendendosi in alto fino al
margine inferiore o labbro della cavità stimmatica.
Ho detto, che nelle Ophrydee e Neottiee i vasi spirali del ciclo interno, designati nello schema da a
1
,
a
2
, a
3
, mancano completamente, ed io li ho cercati diligentemente; ma in quasi tutti i membri di
queste due tribù esistono due piccole papille o processi auricolari, come furono spesso chiamati,
esattamente nella stessa posizione che sarebbe propria delle due prime di queste antere, se
esistessero. Essi si trovano non solo in questa posizione, ma la colonnetta ha in alcuni casi, come
nel genere Cephalanthera, su ciascun lato una costa sporgente che da essi decorre alla base o alla
costa mediana dei due petali superiori, vale a dire, nella vera posizione dei filamenti di questi due
stami. Non si può inoltre dubitare, che le due membrane del clinandrio nel genere Malaxis siano
formate da queste due antere in uno stato rudimentale e modificato. Ora si può per una serie
completa di gradazioni passare dal clinandrio perfetto di Malaxis attraverso quelli di Spiranthes,
Goodyera, Epipactis latifolia ed E. palustris (v. fig. 16 e fig. 15) fino ai processi auricolari minuti e
leggermente appiattiti del genere Orchis. Io vengo perciò alla conclusione, che questi processi
auricolari sono doppiamente rudimentali; vale a dire essi sono rudimenti dei lati membranosi del
clinandrio, mentre queste membrane stesse sono rudimenti delle antere già più volte nominate. La
mancanza dei vasi spirali, che vadano a questi processi auricolari, non è bastante ad atterrare
l’opinione qui propugnata sul significato tanto contrastato di questi organi; che tali vasi possano
completamente sparire, ne abbiamo la prova nella Cephalanthera grandiflora, in cui il rostello e i
suoi vasi sono affatto abortiti.
In fine, per quanto riguarda i sei stami, che dovrebbero essere rappresentati in ogni orchidea, i tre
del ciclo esterno esistono sempre, il superiore è l’antera fertile (fa eccezione il genere Cypripedium)
e i due inferiori sono senza eccezione petaloidei e formano una parte del labello. I tre stami del ciclo
interno sono meno distintamente sviluppati, specialmente l’inferiore a
3
, il quale, quando può essere
dimostrato, non serve ad altro che a rafforzare la colonnetta e che, secondo le notizie di Brown, in
alcuni pochi casi forma un filamento separato o una sporgenza; le due antere superiori di questo
ciclo interno sono fertili nel genere Cypripedium e sono rappresentate nel maggior numero dei casi
o da espansioni membranose o da minuti processi auricolari privi di vasi spirali. Anche questi
processi auricolari mancano talvolta completamente, come in alcune specie di Ophrys.
Queste idee sulle omologie dei fiori delle Orchidee ci spiegano i seguenti punti: la esistenza della
colonnetta centrale di grandezza notevole, – la grandezza considerevole, la forma per lo più
tripartita e il modo particolare di inserzione del labello, – l’origine del clinandrio, – la posizione
relativa dell’unica antera fertile nel maggior numero dei generi e delle due antere fertili nel genere
Cypripedium, – la posizione del rostello e degli altri organi, – e finalmente la presenza frequente di
uno stigma bilobo e la presenza occasionale di due stigmi distinti. Io ho incontrato un solo caso
difficile a spiegarsi, e questo nel genere Habenaria e in quello affine Bonatea. Questi fiori hanno
subito una torsione tanto straordinariamente estesa, — in causa della grande distanza fra loro delle
logge dell’antera e dei due dischi adesivi del rostello, — che nessuna anomalia da essi presentata
può meravigliarci. L’anomalia riguarda soltanto i vasi che provvedono i lati del sepalo e dei due
petali superiori; poiché quelli delle coste mediane e di tutti gli altri organi più importanti hanno lo
stesso decorso che nelle altre Ophrydee. I vasi che provvedono i lati del sepalo superiore divergono
ed entrano nei gruppi ovarici lacero-posteriori, invece di unirsi a quelli della costa mediana ed
entrare nel gruppo ovarico posteriore. In fine i vasi diventano divergenti sulla faccia anteriore dei
due petali superiori, o deviano dal loro corso ordinario ed entrano nei gruppi latero-anteriori, invece
di riunirsi con quelli della costa mediana e di entrare nei gruppi ovarici latero-posteriori.
Questa anomalìa è importante in quanto che mette alcun poco in dubbio l’idea, che il labello sia
sempre un organo composto da un petalo e da due stami petaloidei; poiché se alcuno volesse
supporre, che per una qualsiasi causa sconosciuta i vasi laterali dei petali inferiori avessero deviato
in un antico progenitore dell’ordine dal loro corso ordinario per andare nei gruppi ovarici lacero-
anteriori e che questa particolarità di struttura sia stata ereditata da tutte le Orchidee oggi viventi,
anche da quelle fornite del più piccolo e più semplice labello, io potrei dare solo la seguente
risposta, che credo tuttavia soddisfacente. Dall’analogia colle altre piante monocotiledoni noi
possiamo attenderci la presenza mascherata di quindici organi disposti alternativamente in cinque
cicli nei fiori delle Orchidee e quindi quindici gruppi di vasi disposti esattamente nello stesso
ordine. Vi è perciò grande probabilità che i vasi A
2
e A
3
, i quali entrano nei lati del labello, e non già
in uno o due casi, ma in tutte le orchidee da me esaminate, e che presentano esattamente la stessa
posizione che avrebbero se avessero da provvedere due stami normali, rappresentino realmente
stami modificati e petaloidi e non sieno vasi laterali del labello deviati dal loro corso ordinario.
D’altro canto è impossibile che quelli dei lati del sepalo e dei due petali superiori, che entrano nei
falsi gruppi ovarici, possano rappresentare nei generi Habenaria e Bonatea
(
115
)
organi ora perduti
ma originariamente distinti.
Noi siamo ora giunti alla fine delle generali omologie dei fiori delle orchidee. Egli è interessante
osservare una delle più splendide specie esotiche, oppure anche una delle nostre forme più modeste,
e considerare quanto siano state profondamente modificate in confronto ai fiori ordinarii.
Consideriamo quel grande labello, formato da un petalo e da due stami petaloidi – le singolari
masse polliniche, di cui più tardi ancora ci occuperemo, – la colonnetta costituita da sette organi fusi
insieme, dei quali tre soli eseguiscono le loro proprie funzioni, vale a dire un’antera e due stigmi per
lo più saldati assieme – e il terzo trasformato nel rostello e inetto alla fecondazione, – le tre antere
fisiologicamente inattive e atte solo a proteggere il polline dell’antera fertile, o a rinforzare la
colonnetta, oppure solo rudimentali, o affatto mancanti. Qual somma di modificazioni, di coesioni,
di aborti e di variazione di funzioni possiamo noi vedere! E sappiamo tuttavia, che nascosti in ogni
colonnetta e nei circostanti petali e sepali esistono quindici gruppi di vasi disposti alternativamente
in cicli di tre elementi, i quali probabilmente si sono conservati fino al presente, perchè esistevano
ben sviluppati in un’epoca antica, prima ancora che la forma o l’esistenza di una parte qualsiasi del
fiore avesse un’importanza per il benessere della pianta.
Possiamo noi essere soddifatti col dire che ogni orchidea sia stata creata esattamente, come è al
presente, secondo un «tipo ideale», e che un creatore onnipotente, dopo aver stabilito un piano per
l’intiero ordine, non volendo allontanarsi dal piano stabilito, abbia assegnato ad uno stesso organo
funzioni diverse, – spesso d’importanza molto subordinata di fronte a quella sua propria, – ed abbia
trasformato altri organi in semplici ed inutili rudimenti, e li abbia ordinati in modo come se
dovessero sussistere isolati e distinti, e facendoli poi fondersi assieme? Non è egli più semplice e
più razionale ammettere, che tutte le orchidee debbano tutto ciò che hanno in comune alla
derivazione da una qualche pianta monocotiledone, la quale, come molte altre piante della stessa
classe, abbia posseduto quindici organi, disposti in cicli di tre elementi alternanti, e che la struttura
oggidì tanto mirabilmente modificata sia una conseguenza di un lungo processo di lente
modificazioni, in cui sia stata conservata ogni modificazione che sia stata utile alla pianta durante le
continue variazioni a cui il mondo organico come l’organico furono soggetti?
Capitolo IX.
GRADUALE SVILUPPO DEGLI ORGANI, ecc.
CONCLUSIONE.
Passaggi degli organi, del rostello, delle masse polliniche. – Formazione del picciuolo o caudicola. – Affinità
genealogiche. – Secrezione del nettare. – Meccanismo del movimento dei pollinii. – Utilità dei petali. – Produzione dei
semi. – Importanza delle minime particolarità di struttura. – Causa delle grandi differenze di struttura dei fiori delle
orchidee. – Causa della perfezione degli apparecchi. – Ricapitolazione sull’attività degli insetti. – La natura aborre da
una autofecondazione continuata per lungo tempo.
115
()
Nella Bonatea speciosa, specie da me studiata solo su esemplari disseccati speditimi dal Dr. Hooker, i vasi dei lati
del sepalo superiore entrano nei gruppi ovarici latero-posteriori, esattamente come nel genere Habenaria. I due petali
superiori sono bipartiti fino alla base e i vasi che provvedono il segmento anteriore e la parte anteriore del segmento
posteriore si uniscono e decorrono poscia, come nell’Habenaria, nel gruppo latero-anteriore (e quindi nel falso). I
segmenti anteriori dei due petali superiori si saldano al labello, così che quest’ultimo è formato da cinque segmenti, ciò
che è un fatto assai fuori dell’ordinario. Anche i due stigmi sporgenti in modo insolito aderiscono alla faccia superiore
del labello, e i sepali inferiori aderiscono essi pure evidentemente alla sua faccia inferiore. Per cui uno spaccato
attraverso la base del labello taglia un petalo inferiore, due antere petaloidi, porzioni dei due petali superiori e
probabilmente anche parte dei due petali inferiori e i due stigmi; tutto compreso, lo spaccato taglia sette o nove organi,
in tutto o in parte. La base del labello è in questo caso un organo tanto complicato come la colonnetta di altre orchidee.
Questo capitolo è destinato a parecchi soggetti diversi, che non si poterono opportunamente trattare
altrove.
Sulla formazione graduata di certi organi. — Il rostello, i pollinii, il labello, e in grado minore
anche la colonnetta, sono i punti più mirabili della struttura delle orchidee. Della formazione della
colonnetta e del labello e dell’aborto parziale di parecchi organi fu detto nell’ultimo capitolo.
Quanto al rostello, non esiste un organo analogo in nessun altro gruppo di piante. Se le omologie
delle orchidee non fossero abbastanza bene conosciute, quelli che credono alla creazione
indipendente di ogni organismo potrebbero portare questo fatto come un esempio eccellente della
creazione speciale di un organo perfettamente nuovo, il quale non avrebbe potuto svilupparsi
neppure per una lunga serie di modificazioni di un’altra parte originariamente esistente. Ma, come
ha già avanti molto tempo osservato Robert Brown, esso non è un organo nuovo. È impossibile
osservare i due gruppi di vasi spirali (fig. 36), i quali dalla base delle coste mediane dei due sepali
inferiori vanno ai due stigmi inferiori, che talvolta sono perfettamente distinti, e poscia osservare il
terzo gruppo di vasi, i quali dalla base della costa mediana del sepalo superiore vanno al rostello,
che tiene esattamente la stessa posizione di un terzo stigma, e poi mettere in dubbio la loro analogia.
Noi abbiamo ogni motivo per credere, che tutto questo stigma superiore, e non una parte soltanto di
esso, si abbia trasformato nel rostello; poiché si hanno moltissimi casi, in cui esistono due stigmi,
ma non un solo caso in cui esistano tre faccie stimmatiche in quelle orchidee che sono fornite di
rostello. D’altro canto la superficie stimmatica nei generi Cypripedium e Apostasia (il quale ultimo
è compreso nell’ordine delle orchidee da Brown) in cui il rostello manca, è tripartita.
Poichè non ci sono note che le piante attualmente viventi, è impossibile seguire tutti gli stadii della
trasformazione dello stigma superiore nel rostello; ma noi possiamo vedere quali indizi esistano
dell’esistenza di sì fatta trasformazione. Quanto alla funzione, la modificazione non fu tanto
profonda quanto sembra a prima vista. La funzione del rostello è quella di secernere sostanza
vischiosa, ed esso ha perduto la proprietà di lasciarsi attraversare dai tubi pollinici. Gli stigmi delle
orchidee, come quelli della massima parte delle piante, secernono sostanza viscosa, che è utilissima
per trattenere il polline trasportato in qualunque maniera su di essi, e di determinare la produzione
dei tubi pollinici. Se noi esaminiamo ora uno dei rostelli più semplici – ad esempio quello di una
Cattleya, o di un Epidendrum, – troviamo un grosso strato di sostanza viscosa, il quale non è
distintamente secreto dalla superficie viscosa dei due stigmi saldati assieme; lo scopo di esso è
semplicemente di fissare le masse polliniche agli insetti che escono dal fiore, e così esse vengono
cavate fuori dall’antera e trasportate su di un altro fiore, dove sono trattenute dalla faccia stigmatica
quasi ugualmente viscosa. La funzione del rostello è quindi sempre quella di trattenere le masse
polliniche, ma qui indirettamente e coll’intervento dell’aderenza al corpo d’un insetto.
La sostanza viscosa del rostello e dello stigma sembrano essere della stessa natura; quella del
rostello ha per lo più la speciale qualità di disseccarsi e d’indurirsi in breve tempo; quella dello
stigma, quando è allontanata dalla pianta si dissecca evidentemente con maggior rapidità di una
soluzione di gomma egualmente densa e tenace. Questa tendenza al disseccamento è tanto più
mirabile, in quanto che Gärtner
(
116
)
ha trovato, che le gocciole del secreto stimmatico della
Nicotiana non si disseccano in due mesi. Se si espone all’aria la sostanza viscosa del rostello di
molte orchidee, essa cambia di colore con una rapidità meravigliosa, e diventa bruno-purpurea; ed
io ho osservato un simile mutamento di colore, sebbene più lento, nel secreto viscoso degli stigmi di
alcune orchidee, ad esempio, nella Cephalanthera grandiflora. Se si colloca il disco adesivo di una
Orchis nell’acqua, come hanno fatto Bauer e Brown, vengono emesse piccolissime particelle in un
modo particolare e con violenza; ed io ho osservato esattamente la stessa cosa nello strato di
sostanza viscosa che ricopriva i tubi pollinici in un fiore non peranco aperto di Mormodes ignea.
Per comparare fra loro l’intima struttura del rostello e dello stigma, ho esaminato delle giovani
gemme di Epidendrum cochleatum e floribundum, le quali allo stato di maturità hanno un rostello
semplice. Le parti posteriori di ambedue gli organi erano perfettamente simili. L’intiero rostello
consisteva in questo periodo di vita in una massa di cellule quasi sferoidali, le quali contenevano
nuclei di una sostanza bruna, che si risolvevano nella sostanza viscosa. Lo stigma era rivestito da
uno strato più sottile di cellule simili, e fra esse trovavansi i tubi fusiformi fra loro collegati. Si
crede che questi abbiano un certo rapporto colla penetrazione dei tubi pollinici, e la loro mancanza
116
()
Beiträge zur Kenntniss der Befruchtung, 1844, p. 236.
nel rostello si spiega per ciò che questo non viene da essi perforato. Se la struttura del rostello e
dello stigma è tale come qui fu descritta, l’unica differenza fra loro sta in ciò, che lo strato di cellule
che secernono la sostanza vischiosa è più grosso nel rostello che nello stigma, e che i tubi sono
spariti nel primo. Non incontrasi dunque alcuna grande difficoltà nell’ammettere che lo stigma
superiore mantenendosi ancora in un certo grado fecondo e atto ad essere perforato dai tubi
pollinici, possa aver conseguito gradatamente la proprietà di secernere una quantità maggiore di
sostanza vischiosa, mentre contemporaneamente andava perdendo la fecondità, e che gli insetti
coperti da questa sostanza attaccatticcia abbiano in un modo sempre più efficace trasportato le
masse polliniche sugli stigmi d’altri fiori. In questo caso si avrebbe formato un rostello incipiente.
Il rostello presenta nei diversi gruppi una grandissima somma di variazioni di struttura; ma la
maggior parte di queste differenze possono essere collegate fra loro senza lacune molto grandi. Una
delle differenze più evidenti sta in ciò, che può essere viscosa tutta intera la faccia anteriore fino ad
una certa profondità, oppure possono divenir viscose solo le parti interne, e in questo caso la
superficie diventa, come nel genere Orchis, membranosa. Ma questi due modi di essere passano
tanto gradatamente l’uno nell’altro, che riesce quasi impossibile tirare una qualsiasi linea di
separazione fra loro. Così nel genere Epipactis la faccia esterna subisce una profonda modificazione
del primitivo suo stato cellulare, poiché vien trasformata in una membrana assai elastica e delicata,
la quale per se stessa è solo pochissimo viscosa e permette di trasudare facilmente alla sostanza
viscosa sottoposta; tuttavia essa funge da membrana e la sua faccia inferiore è rivestita di molta
sostanza viscosa. Nella Habenaria chlorantha la faccia esterna è in alto grado viscosa, ma sotto il
microscopio si presenta assai simile alla membrana esterna di Epipactis. Finalmente, in alcune
specie di Oncidium, ecc., la faccia esterna, che è viscosa, per quanto si può osservare sotto il
microscopio, differisce dallo strato viscoso sottoposto solo nel colore: essa deve tuttavia presentare
una qualche differenza essenziale, poichè trovo, che la sostanza sottoposta si conserva molle, finchè
si mantenga inalterato lo strato esterno esilissimo; ma se quest’ultimo viene distrutto, la sostanza
sottoposta s’indurisce rapidamente. Il passaggio allo stato della superficie del rostello non è tale da
farci meravigliare; poichè in tutti i casi questa faccia è cellulare nella gemma, e quindi non si tratta
d’altro che di conservare più o meno completamente uno stato giovanile.
La natura della sostanza vischiosa è meravigliosamente diversa nelle varie orchidee; nel genere
Listera diventa dura quasi istantaneamente, più rapidamente del gesso; nel genere Malaxis e
Angræcum si conserva liquida parecchi giorni; ma fra questi due estremi esistono molteplici
passaggi. In un Oncidium ho osservato, che la sostanza vischiosa s’indurisce nel periodo di un
minuto e mezzo, in alcune specie di Orchis in due o tre minuti, nel genere Gymnademia in due ore,
e nel genere Habenaria vi impiega più di ventiquattro ore. Dopo che la sostanza viscosa di Listera è
divenuta dura, su di essa non agiscono in alcun modo nè l’acqua nè un alcool debole, mentre quella
di Habenaria bifolia, dopo essersi conservata secca per parecchi mesi, essendo stata umettata
ritornò tanto vischiosa come prima. La sostanza viscosa in alcune specie di Orchis presentò uno
stadio intermedio, in seguito all’umettazione.
Una delle più considerevoli differenze sta in ciò che al rostello possono aderire permanentemente i
pollinii o no. Io non mi riporto qui a quei casi in cui la superficie del rostello è viscosa, come nel
genere Malaxis e in alcune Epidendree e dove le masse polliniche vi si appiccicano semplicemente;
poichè questi casi non presentano difficoltà alcuna. Intendo parlare piuttosto della così detta
inserzione congenita dei pollinii coi loro picciuoli al rostello e al disco adesivo. Egli è tuttavia a
rigore poco corretto il parlare di una inserzione congenita, poichè i pollinii in uno dei primi periodi
di sviluppo sono tutti senza eccezione liberi e si fissano in epoche diverse nelle varie orchidee. Fin
qui non è nota alcuna gradazione reale nel processo dell’inserzione; ma si può dimostrare come esso
dipenda da condizioni e modificazioni assai semplici. Nelle Epidendree i pollinii sono formati da
masse di polline ceroso, con un lungo picciuolo (formato di filamenti elastici, a cui aderiscono
granelli pollinici), il quale mai si attacca al rostello. D’altro canto in alcune Vandee, come nel
Cymbidium giganteum, i picciuoli sono originariamente (nel senso sopracitato) aderenti alle masse
polliniche, ma la loro struttura è la stessa come nelle Epidendree, colla sola differenza, che le
estremità dei filamenti elastici si attaccano al labbro superiore del rostello, invece di poggiarsi
semplicemente su di esso.
In una forma affine al genere Cymbidium, e cioè nell’Oncidium unguiculatum, ho studiato lo
sviluppo del picciuolo. In uno dei primi periodi di vita le masse polliniche sono racchiuse entro
logge membranose, le quali ben tosto si lacerano in un punto. In questo primo periodo si può
osservare entro la fessura di ciascuna massa pollinica uno strato abbastanza grosso di cellule
racchiudenti una sostanza opaca. Si può osservare, come questa sostanza si trasformi a poco a poco
in una massa trasparente, che forma i filamenti dei picciuoli. A seconda che progredisce la
trasformazione, le cellule spariscono. In fine i filamenti si attaccano per una estremità alle masse
polliniche cerose, e per l’altra al rostello contro il quale l’antera viene compressa, dopo che essi allo
stato d’incompleto sviluppo si sono spinti fuori della loggia membranosa attraverso un piccolo foro.
Sembra quindi che l’inserzione del picciuolo al dorso del rostello dipenda dallo scoppio anteriore
della loggia dell’antera e da una poco considerevole protensione dei picciuoli, prima del loro
completo sviluppo e indurimento.
In tutte le orchidee una parte del rostello viene asportata dagli insetti assieme ai pollinii; poiché
quantunque per comodità si abbia parlato della sostanza viscosa come d’una secrezione, essa è
tuttavia in realtà una porzione modificata del rostello. In quelle specie frattanto, in cui i picciuoli
sono inseriti al rostello assai presto, viene tuttavia asportata una parte membranosa o solida di esso
in uno stato non modificato. Nelle Vandee questa porzione è talvolta d’una grandezza considerevole
(essa forma il disco e il peduncolo del pollinio) e dà ai pollinii il loro proprio carattere: ma le
differenze di forma e di grandezza delle parti asportate dal rostello possono ravvicinarsi per una
serie di passaggi, anche entro lo stesso gruppo delle Vandee; e si può fare ciò ancora più
esattamente se si parte dalla minutissima particella ovale, a cui aderisce il picciuolo nel genere
Orchis, e da questa si passa a quella dell’Habenaria bifolia, e poscia a quella di H. chlorantha
fornita di un peduncolo conformato a tamburo, e da qui per molte altre forme fino al grande disco e
peduncolo del genere Catasetum.
In tutti i casi, in cui viene asportata una parte della faccia esterna del rostello assieme al picciuolo
delle masse polliniche, si formano determinate e spesso complicate linee di separazione, per
facilitare il distacco della porzione che deve essere asportata. Ma la formazione di queste linee di
separazione non differisce molto da quel processo, per cui certe parti della superficie esterna del
rostello assumono uno stato intermedio fra una membrana non modificata e la sostanza viscosa, e di
cui fu già fatta menzione. Il distacco effettivo di parti del rostello dipende in molti casi
dall’irritazione prodotta da un contatto; ma come possa agire in tal guisa un contatto, per ora non è
chiaro. Una tale sensibilità dello stigma per un contatto (e il rostello è, come sappiamo, uno stigma
modificato), e per dire il vero, di quasi ogni altra parte, non è una proprietà rara nelle piante.
Se si tocca il rostello nei generi Listera e Neottia, anche con un capello umano, esso si fende in due
punti e le logge contenenti la sostanza vischiosa la emettono immediatamente. Qui havvi un fatto al
quale non si è preparati fin qui da nessun passaggio. Il D
r
Hooker ha tuttavia dimostrato che il
rostello è dapprima cellulare, e che la sostanza viscosa si sviluppa, come nelle altre orchidee, entro
le cellule.
L’ultima differenza presentata dal rostello di diverse orchidee che voglio ricordare è la presenza di
due dischi adesivi ben distinti in alcune Ophrydee, i quali sono talvolta contenuti in due borse
diverse. A prima vista sembra che qui esistano due rostelli; ma non esiste mai più di un gruppo
mediano di vasi spirali. Nelle Vandee noi possiamo vedere, come un unico disco e un unico
peduncolo possano essere divisi in due: poiché in alcune Stanhopee il disco cordiforme presenta le
tracce di una tendenza a dividersi; e nel genere Angræcum esistono due dischi e due peduncoli
avvicinati l’uno all’altro, o solo pochissimo fra loro distanti.
Si potrebbe pensare di trovare un simile passaggio da un unico rostello allo stato di due roslelli
apparenti ancora più evidente nelle Ophrydee; poichè noi abbiamo qui la seguente serie: – nella
Orchis pyramidalis un unico disco chiuso in una sola borsa, – nel genere Aceras due dischi
avvicinati fra loro fino a toccarsi in modo da esserne modificata la loro forma, ma non uniti
realmente, – nella Orchis latifolia e maculata due dischi completamente separati, e la borsa presenta
tracce evidenti di separazione; e finalmente osservansi due borse perfettamente divise nel genere
Ophrys, le quali naturalmente contengono due dischi perfettamente divisi. Questa serie tuttavia non
dà indizio dei primitivi passi verso la separazione dell’unico rostello in due organi distinti; al
contrario essa mostra che il rostello, il quale ad un’età avanzata è stato diviso in due organi, fu ora
in parecchi casi riunito in un unico organo.
Questa conclusione è fondata sulla natura della piccola costa mediana, detta talvolta apofisi del
rostello, e collocata fra le basi delle due logge dell’antera (vedi fig. 1, B e D). In ambedue le serie
delle Ophrydee, – vale a dire in quelle specie che sono provvedute di dischi medii e in quelle i di cui
dischi sono rinchiusi in una borsa, – si osserva questa costa mediana o questo processo,
ogniqualvolta i due dischi vengono a stare assai vicini l’uno all’altro.
(
117
)
Se però i due dischi stanno
molto discosti fra loro, il vertice del rostello che sta fra essi è affatto liscio o quasi. Nel Peristylus
viridis la porzione convessa che sta sopra di esso è pendente come il tetto d’una casa e qui sta il
primo gradino della formazione della piega. Nell’Herminium monorchis frattanto, che è provveduto
di due diversi e grossi dischi, si osserva lo sviluppo d’una cresta, o di una piega solida ancora più
evidente di quello che si avrebbe potuto aspettarsi. Nella Gymnadenia conopsea, Orchis maculata e
in altre specie la cresta è formata da una cappa di sottile membrana; nella O. mascula i due lati della
cappa sono parzialmente aderenti, e nella O. pyramidalis, e nel genere Aceras, essa è trasformata in
una piega solida. Questi fatti sono comprensibili solo ammettendo che, mentre i due dischi nel corso
di una lunga serie di generazioni sono venuti ravvicinandosi, la porzione intermedia o il vertice del
rostello sia divenuto sempre più convesso, fino a produrre una cresta pieghettata o una lista solida.
Fig. 37. – ROSTELLO DI CATASETUM.
an. antenne di rostello. – d. disco adesivo. – ped. peduncolo di rostello al
quale sono attaccate le masse polliniche.
Se noi confrontiamo i rostelli dei diversi gruppi delle Orchidee fra loro, oppure il rostello col pistillo
e lo stigma di un fiore comune, le differenze sono estremamente grandi. Un pistillo semplice consta
di un cilindro coronato da una piccola faccia viscosa. Vediamo ora qual contrapposto sia offerto dal
rostello di Catasetum, quando esso sia staccato da tutti gli altri elementi della colonnetta; e poiché
io ho seguito tutti i fasci dei vasi speciali di questa orchidea, si può considerare la figura come assai
vicina al vero. L’intero organo ha perduto affatto la sua funzione normale, quella di essere
fecondato. La sua forma è assai meravigliosa colla sua estremità ingrossata, ripiegata in basso e
prolungata in due lunghe antenne appuntite e sensitive, ciascuna delle quali è cava nell’interno,
come il dente velenifero della vipera. Dietro e fra le basi delle antenne noi vediamo il grande disco
adesivo aderente al peduncolo; quest’ultimo devia, nella sua struttura, dalla porzione sottoposta del
rostello ed è separato da esso da uno strato di tessuto ialino, il quale si dissolve da sè, quando il
fiore è maturo. Il disco è fissato alle parti circostanti col mezzo di una membrana, la quale scoppia
tostoché venga irritata per un contatto; essa consta di un tessuto superiore robusto e di un sottoposto
cuscino elastico, il quale è rivestito di sostanza viscosa ed è pure alla sua volta coperto, nel maggior
numero delle Orchidee, da una membrana di natura diversa. Quale ricchezza di differenze ci è dato
qui di contemplare! E tuttavia nelle Orchidee, relativamente poco numerose, descritte in questo
volume, esistono tante e così marcate gradazioni nella struttura del rostello, e tanto evidenti
modificazioni che preparano la trasformazione del pistillo superiore in quest’organo, che, come
possiamo essere ben convinti, se potessimo avere davanti ai nostri occhi tutte le Orchidee che
vissero in tutte le epoche sulla superficie del globo, noi troveremmo riempite tutte le lacune esistenti
nelle serie ora viventi e così pure tutte le lacune nelle serie che si estinsero, da una catena di
graduati passaggi.
Passiamo ora ad una seconda importante particolarità di struttura delle Orchidee, vale a dire ai loro
pollinii. L’antera si apre per tempo e depone spesso le nude masse di polline sul dorso del rostello.
Questo atto si trova indicato nel genere Canna, appartenente ad una famiglia affine alle orchidee,
nel quale il polline viene deposto sul pistillo immediatamente sotto lo stigma. Nello stato del polline
si riscontra una grande variabilità; nei generi Cypripedium e Vanilla osservansi singoli granelli
sparsi entro un liquido viscoso; in tutte le altre orchidee da me osservate (ad eccezione della
degradata Cephalanthera), i granelli sono collegati fra loro a tre o a quattro.
(
118
)
Questi granelli
117
()
Il prof. BABINGTON (Manual of British Botany, 3
a
ediz.) approfitta dell’esistenza di questa apofisi del rostello come
di un carattere per separare i generi Orchis, Gymnadenia e Aceras dagli altri generi delle Ophrydee. Il gruppo di vasi
spirali appartenenti propriamente al rostello decorre fino ed anche entro alla base di questo processo.
118()
In parecchi casi ho osservato, che dei quattro granelli che costituiscono un granello composto, furono emessi
quattro tubi. In alcuni fiori semimostruosi di Malaxis paludosa e di Aceras anthropophora e nei fiori perfetti di Neottia
nidus-avis ho osservato che i granelli pollinici emettevano tubi, mentre erano ancora entro l’antera e non peranco a
contatto dello stigma. Io considero ciò degno di nota, dopo che ROBERT BROWN (Linnean Transactions, vol. XVI, p. 729)
composti sono tenuti assieme da filamenti elastici, ma formano spesso delle palle, le quali sono pure
in modo analogo cementate fra loro per formare le così dette masse cerose. Le masse cerose nelle
Epidendree e Vandee da otto diventano quattro e poi due e infine, per la riunione di esse, se ne
forma una sola. In alcune Epidendree esistono ambedue le specie di pollinii entro la stessa antera,
vale a dire grandi masse cerose e picciuoli formati da filamenti elastici a cui sono fissati numerosi
granuli composti.
Io non posso portare alcuna luce sulla natura della coesione del polline nelle masse cerose; se
queste sono mantenute nell’acqua per tre o quattro giorni, i granelli composti si separano facilmente
fra loro; ma i quattro granelli, di cui ciascuno è composto, restano tuttavia sempre aderenti, per cui
la natura della coesione deve essere diversa nei due casi. I filamenti elastici, i quali tengono uniti fra
loro i pacchetti di polline nelle Ophrydee e che nell’interno delle masse cerose delle Vandee si
sollevano in alto, sono pure di natura diversa dalla sostanza che serve di cemento; poiché il
cloroformio e una lunga immersione nello spirito modifica i filamenti, mentre questi liquidi non
esercitano alcuna azione permanente sulla coesione delle masse cerose. In parecchie Epidendree e
Vandee i granelli esterni delle masse polliniche differiscono da quelli dell’interno per una grandezza
maggiore, per un colore più giallo e per pareti assai più grosse. Noi osserviamo dunque nel
contenuto di una sola loggia dell’antera amplissime variazioni del polline, vale a dire granelli riuniti
a quattro a quattro, poi granelli collegati fra loro da filamenti elastici oppure cementati in solide
masse, nelle quali i granelli esterni sono diversi dagli interni.
Nelle Vandee il picciuolo, che è formato da esili filamenti assieme riuniti, si sviluppa dal contenuto
semifluido di uno strato cellulare. Ma poiché il cloroformio esercita un’azione particolare e
narcotica sui picciuoli di tutte le orchidee e così pure sulla sostanza viscosa che riveste i granelli
pollinici nel genere Cypripedium e che può essere stirata in filamenti, è lecito ritenere che in
quest’ultimo genere – in cui la differenziazione è, rispetto alla struttura, meno progredita che in tutte
le altre orchidee – noi abbiamo davanti agli occhi lo stato originario dei filamenti elastici, i quali in
altre specie più elevate servono a tener uniti fra loro i granelli del polline.
(
119
)
Il picciuolo è la particolarità più importante fra le molte offerte dai pollinii, quando esso è
considerevolmente sviluppato e sprovvisto di granelli pollinici. In alcune Neottiee, e
particolarmente nel genere Goodyera, noi lo vediamo in uno stadio incipiente di sviluppo, dove esso
appunto sta per diventare sporgente oltre le masse polliniche, e dove i filamenti sono solo
parzialmente fra loro collegati. Se noi seguiamo nelle Vandee i passaggi fra lo stato ordinario e
nudo del picciuolo attraverso i generi Lycaste, dove è quasi nudo, Calanthe fino al Cymbidium
giganteum, in cui è coperto da granelli pollinici, sembra probabile che esso abbia raggiunto la sua
forma ordinaria per le modificazioni subite da un pollinio, similmente come nelle Epidendree, vale
a dire per l’aborto dei granelli pollinici, i quali aderivano originariamente ai singoli filamenti
elastici e più tardi per la coesione di questi filamenti.
Nelle Ophrydee noi abbiamo prove ancora migliori di quelle che possano essere offerte da una serie
riferisce evidentemente con stupore, che in un fiore appassito di Asclepias i granelli pollinici emisero i tubi, mentre si
trovavano ancora entro l’antera. Questi fatti dimostrano che i tubi almeno dapprincipio si formano esclusivamente a
spese del contenuto dei granelli pollinici.
Ma poiché ho accennato ai fiori mostruosi di Aceras, mi piace ancora aggiungere che ne ho esaminato parecchi (e
precisamente sempre gli infimi della infiorescenza) nei quali il labello era appena sviluppato e compresso fortemente
contro lo stigma. Il rostello non era sviluppato, così che i pollinii erano privi di dischi adesivi: ma il fatto più strano era
questo, che le due logge dell’antera, evidentemente in seguito della posizione del labello rudimentale, erano ampiamente
discoste fra loro e congiunte da un connettivo quasi altrettanto largo come quello di Habenaria chlorantha!
119
()
AUGUSTE DE SAINT-HILAIRE (Leçons de Botanique, 1811, p. 447) dice che i filamenti elastici dentro la giovane gemma
esistono, dopo che i granelli pollinici si sono già parzialmente formati, in forma di un denso umore. Egli soggiunge, che
le sue osservazioni sulla Ophrys apifera lo hanno persuaso, che questo umore viene secreto dal rostello ed introdotto a
goccia a goccia dentro l’antera. Se una tale asserzione non fosse stata fatta da un’autorità tanto distinta, io non ne avrei
fatto menzione. Essa è certamente erronea. Io ho aperto l’antera di Epipactis latifolia mentre era perfettamente chiusa e
libera dal rostello, e trovai i granelli pollinici riuniti da filamenti elastici. La Cephalanthera grandiflora è priva di
rostello e per conseguenza non può avvenire la secrezione del sopraccennato umore denso, e tuttavia i granelli pollinici
sono riuniti nello stesso modo. In un esemplare mostruoso di Orchis pyramidalis le appendici auricolari o antenne
rudimentali erano in parte sviluppate ai due lati della vera antera e stavano affatto lateralmente dello stigma e del
rostello; ed io ho trovato tuttavia un vero picciuolo in uno di questi processi auricolari (il quale necessariamente non
aveva alcun disco alla sua estremità) e questo picciuolo certamente non poteva essere stato secreto dal rostello o dallo
stigma. Potrei aggiungere altre prove, ma sarebbero superflue.
di passaggi graduali per ciò che i lunghi, rigidi e nudi picciuoli si sono sviluppati per l’aborto della
maggior parte dei granelli pollinici inferiori e per la coesione dei filamenti elastici dai quali vengono
collegati questi granelli. Io ho osservato spesso nel mezzo dei picciuoli trasparenti di certe specie un
intorbidamento come di nebbia, ed avendo aperto con cura parecchi picciuoli di Orchis pyramidalis,
trovai nel loro mezzo alquanto al disotto della metà fra le masse polliniche e il disco adesivo molti
granelli pollinici (formati, come di solito, da quattro granelli riuniti), che giacevano perfettamente
isolati. Questi granelli, in seguito alla loro posizione chiusa, non potevano assolutamente venir
trasportati sullo stigma di un fiore ed erano assolutamente inutili. Coloro i quali sono persuasi che
organi inutili si possano attribuire ad una creazione speciale, faranno poco conto di ciò. Ma coloro
che credono ad una lenta modificazione degli esseri organici, non si meraviglieranno punto che le
modificazioni non siano state sempre completamente eseguite, e che anche dopo l’eredità, molte
volte ripetuta, dell’aborto dei granelli pollinici inferiori e della coesione dei filamenti, esista tuttavia
ancora una tendenza alla produzione di alcuni pochi granelli, là dove essi originariamente erano
sviluppati, e che per conseguenza questi si trovino ora racchiusi dentro i filamenti riuniti del
picciuolo. Questi ultimi vedranno, nei piccoli intorbidamenti nebbiosi formati dai granelli pollinici
liberi nell’interno del picciuolo di Orchis pyramidalis, una buona prova dell’idea che un antico
progenitore di questa pianta abbia posseduto masse polliniche uguali a quelle di Epipactis e
Goodyera, e che i granelli siano spariti lentamente dalle porzioni inferiori e abbiano lasciato i
filamenti elastici nudi e pronti a riunirsi per formare veri picciuoli.
Ma poiché il picciuolo ha una parte importante nella fecondazione del fiore, così potrebbe essere
che esso si sia sviluppato da uno che si trovava in via di formazione, come esiste tuttora
nell’Epipactis, fino a raggiungere una lunghezza conveniente per la conservazione ripetuta delle
varietà che presentavano una lunghezza maggiore, ciascuna delle quali sia stata utile al fiore in
corrispondenza delle altre variazioni di struttura e senza che sia avvenuto un aborto dei granelli
pollinici inferiori. Ma noi possiamo essere convinti dai fatti sopra riferiti, che questo non sia stato
l’unico mezzo, ma che, al contrario, il picciuolo debba gran parte della sua lunghezza ad una tale
scomparsa. Che esso in alcuni casi abbia più tardi aumentato considerevolmente in lunghezza per
l’azione della elezione naturale, è assai verosimile; poiché nella Bonatea speciosa il picciuolo
supera realmente più di tre volte in lunghezza le lunghe masse polliniche, ed è assai inverosimile
che abbia mai esistito una massa tanto allungata di granelli pollinici, riuniti fra loro debolmente da
filamenti elastici, poiché un insetto non avrebbe potuto con sicurezza trasportare una massa di
questa forma e grandezza sullo stigma di un altro fiore e rendervela efficace.
Noi abbiamo fin qui studiato i passaggi graduali nel modo di essere di uno stesso organo. Per chi
avesse cognizioni più estese di me, sarebbe un tema assai interessante quello di seguire i passaggi
fra le diverse specie e i diversi gruppi di specie in questo grande e compatto ordine. Ma per istabilire
una serie perfetta sarebbe necessario richiamare in vita tutte le forme estinte che hanno vissuto un
tempo, e appartenenti a molti rami dell’albero genealogico e convergenti verso il comune
capostipite del gruppo. Egli è per la loro mancanza e le larghe lacune che ne derivano, che noi
siamo nel caso di poter distribuire le specie esistenti in gruppi distinti, come sono i generi, le
famiglie, le tribù. Se una estinzione non fosse avvenuta, esisterebbero tuttavia dei grandi rami dotati
di sviluppo speciale; ad esempio, le Vandee si potrebbero sempre distinguere come un grande
gruppo dall’altro grande gruppo delle Ophrydee, ma antiche forme intermedie, probabilmente molto
diverse dai loro discendenti, renderebbero affatto impossibile di distinguere uno dei due grandi
gruppi dall’altro col mezzo di determinati e precisi caratteri.
Mi permetterò ancora alcune poche ulteriori osservazioni. Il genere Cypripedium sembra essere un
avanzo dell’ordine, come esso esisteva in uno stato più semplice e più generalizzato. Esso ha tre
stigmi bene sviluppati ed è per conseguenza privo di rostello, ha due antenne fertili ed un grande
rudimento di una terza, e ne è indizio lo stato del suo polline. L’Apostasia è un genere affine,
collocato da Brown fra le Orchidee, da Lindley, invece, in un’altra piccola famiglia distinta. Questi
gruppi interrotti non ci presentano la struttura del comune capo-stipite di tutte le Orchidee, ma
servono a mostrare lo stato probabile dell’ordine in tempi antichi, in cui nessuna forma si era ancora
tanto scostata dalle altre dello stesso gruppo o dalle altre piante, come le Orchidee ora esistenti, e
quando per conseguenza l’ordine si accostava più che al presente in tutti i suoi caratteri a quei
gruppi affini, come le Marantacee.
Per quanto riguarda altre Orchidee, noi possiamo vedere che una forma antica, ad esempio una della
sottotribù delle Pleurothallidee, di cui alcune hanno masse polliniche cerose con un minuto
picciuolo, avrebbe potuto dar origine alle Dendrobie colla completa soppressione del picciuolo e
alle Epidendree con un aumento dello stesso. Il genere Cymbidium ci mostra quanto semplicemente
una forma, come una delle attuali nostre Epidendree, potesse trasformarsi in una Vandea. Le
Neottiee stanno in un rapporto analogo colle Ophyridee superiori, come le Epidendree colle più
elevate Vandee. In alcuni generi di Neottiee troviamo granelli pollinici composti cementati in masse
e collegati fra loro da filamenti elastici sporgenti, i quali formano in tal guisa un picciuolo
incipiente. Ma questo picciuolo non si protende dall’estremità inferiore del pollinio, come nelle
Ophrydee, così pure non si diparte sempre nelle Neottiee dall’estremità superiore, ma spesso ad un
livello intermedio, cosicchè un passaggio sotto questo rapporto non è punto impossibile. Nel genere
Spiranthes solo il dorso del rostello, che è rivestito di sostanza vischiosa, viene allontanato; la
porzione anteriore è membranosa e si fende come il rostello borsiforme delle Ophrydee. Una forma
antica che comprendesse la maggior parte dei caratteri di Goodyera, Epipactis e Spiranthes, ma in
grado minore, avrebbe potuto, in seguito ad ulteriori modificazioni poco considerevoli, aver dato
origine al gruppo delle Ophrydee.
Forse non s’incontra in tutta la storia naturale un’altra questione a cui riesca tanto difficile ed
incerto il rispondere, come è quella di stabilire quali forme di un grande gruppo sieno le più elevate,
(
120
)
poichè tutte sono bene accomodate alle proprie condizioni di vita. Se noi consideriamo le
successive modificazioni e la differenziazione delle parti e la corrispondente complicazione di
struttura, ciò che costituisce il termine di confronto, dobbiamo dire che le Ophrydee e le Vandee
occupano il gradino più elevato fra le Orchidee. Ma dobbiamo poi tener gran conto della grandezza
e bellezza del fiore e della grandezza dell’intera pianta? Se diamo peso a ciò, le Vandee sono fra
tutte le più elevate, ed esse hanno ancora nel complesso pollinii più complicati e le masse polliniche
sono spesso ridotte a due. D’altro canto, nelle Ophrydee il rostello è, secondo ogni apparenza, assai
più diverso dal suo stato originario di stigma, che nelle Vandee. Nelle Ophrydee gli stami del ciclo
interno sono quasi affatto soppressi, solo le appendici auricolari – semplici rudimenti di rudimenti –
sono conservate, ed anche queste talvolta sono andate perdute. Questi stami hanno quindi subìto una
straordinaria riduzione; ma può considerarsi ciò come un carattere di elevatezza o di perfezione? Io
inclino a credere, che forse nessun altro membro dell’intiero ordine delle Orchidee sia stato tanto
profondamente modificato quanto la Bonatea speciosa, un’Ophrydea. Inoltre, entro la stessa tribù,
non si può ideare niente di più perfetto degli apparecchi di fecondazione dell’Orchis pyramidalis; e
tuttavia un certo che d’indefinibile mi dice che le splendide Vandee sono da collocarsi nel posto più
elevato. Se noi consideriamo entro quest’ultima tribù il meccanismo tanto perfetto per la emissione
e il trasporto dei pollinii esistente nel genere Catasetum, provveduto di un rostello divenuto tanto
sensitivo e coi sessi portati da diverse piante, dovremmo forse dare il primato a questo genere.
SECREZIONE DI NETTARE.
Molte Orchidee, tanto indigene come quelle specie esotiche coltivate nelle nostre serre, secernono
un’abbondante quantità di nettare. Io ho trovato i nettarii capillari di Aerides ripieni di liquido, ed il
signor Rodgers mi fa sapere da Sevenoaks di aver rinvenuto dei cristalli zuccherini di grandezza
considerevole nel nettario di Aerides cornutum. Gli organi secernenti nettare, delle Orchidee
presentano considerevoli differenze di struttura e di disposizione nei diversi generi; ma essi sono
però collocati quasi sempre presso la base del labello. Tuttavia nel genere Disa è il solo sepalo
posteriore che secerne il nettare, e nella Disperis i due sepali laterali assieme al labello. Nel
Dendrobium chrysanthum, il nettario ha la forma di un organo piatto ipocrateriforme; nell’Evelyna è
formato da due masse cellulari grandi e fra loro riunite, e nel Bolbophyllum cupreum di un solco
mediano. Nel genere Cattleya, il nettario perfora l’ovario. Nell’Augræcum sesquipedale raggiunge
la notevole lunghezza di oltre undici pollici. Ma non è necessario che mi dilunghi più oltre in
dettagli. Devesi frattanto ricordare il fatto, che nel genere Coryanthes le glandole secernenti il
nettare producono una quantità straordinaria di acqua quasi pura, la quale cade in una cavità formata
dalla porzione distale del labello, e che questa secrezione serve ad impedire alle api, che visitano i
120
()
Il prof. H.G. BRONN ha trattato diffusamente e in modo eccellente questa questione nelle sue Entwickelungs Gesetze
der Organischen Welt, 1858.
fiori per rosicchiare la superficie del labello, di volar via ed a costringerle in tal modo ad uscirne per
la via conveniente.
Sebbene la secrezione del nettare sia di grandissima importanza per le Orchidee, poiché è con
questo mezzo che attirano gli insetti necessarii alla fecondazione del maggior numero delle specie,
si possono tuttavia portare buone prove in appoggio dell’idea,
(
121
)
che il nettare sia stato
originariamente una secrezione tendente ad eliminare le sostanze superflue che si producono
durante il lavoro chimico che si verifica nei tessuti delle piante, specialmente sotto la luce del sole.
Fu osservato
(
122
)
che le brattee di alcune Orchidee secernono nettare, e questo non può essere
utilizzato in alcun modo per la fecondazione. Fritz Müller mi assicura di aver veduto una simile
secrezione operata dalle brattee di un Oncidium nella sua patria il Brasile, come pure dalle brattee e
dalla faccia esterna del sepalo superiore di una Notylia. Il signor Rodgers ha visto una simile
secrezione copiosa prodotta dalla base dello stelo fiorale di Vanilla. La colonnetta di Acropera e
Gongora secerne pure nettare, come fu già detto più avanti, ma solo dopo avvenuta la fecondazione
dei fiori, in un’epoca dunque in cui una tale secrezione non può esser utile ad attirare gli insetti. Sta
perfettamente in concordanza col piano della natura, quale è sviluppato dall’azione dell’elezione
naturale, che la sostanza secreta per liberare il corpo di elementi superflui o dannosi, venga ancora
utilizzata a scopi utili in alto grado. Per riferire un esempio assai diverso dall’argomento che ci
occupa ricorderò che le larve di certi coleotteri (Cassida, ecc.) impiegano i propri escrementi per
fabbricare una difesa al loro corpo delicato.
Voglio ricordare che nel primo capitolo furono addotte le prove che il nettare non fu mai trovato
entro i nettarii speroniformi di parecchie specie di Orchis, ma che certe specie di insetti perforano la
delicata interna membrana colle loro proboscidi e succhiano il fluido contenuto negli spazi
intercellulari. Questo fatto fu confermato da Hermann Müller, ed io ho ancora dimostrato, che
perfino i lepidotteri sono in istato di perforare altri tessuti molto più solidi. È un caso interessante di
reciproco adattamento, che in tutte le specie britanniche, prive di nettare libero, la sostanza viscosa
del disco del pollinio richiede due o tre minuti per indurire, e dovrà essere un vantaggio per la
pianta che gli insetti siano costretti in tal guisa a trattenersi alquanto per impadronirsi del nettare,
dovendo perforare il nettario in diversi punti. D’altro canto in tutte le Ophrydee che accumulano
nettare, pronto ad essere assorbito dentro il nettario, i dischi sono bastantemente viscosi per
attaccare i pollinii agli insetti, senza che la sostanza diventi rapidamente dura, e quindi la pianta non
avrebbe alcun vantaggio se gli insetti si trattenessero per alcuni minuti nel succhiare il nettare.
Riguardo ai casi delle Orchidee esotiche coltivate, in cui esiste un nettario senza traccia alcuna di
nettare libero, è impossibile naturalmente avere la certezza assoluta che esse nelle loro naturali
condizioni di vita non ne contengano. Inoltre io non ho fatto molte osservazioni comparate sulla
rapidità della solidificazione della sostanza vischiosa del disco nelle forme esotiche. Tuttavia
sembra che parecchie Vandee si trovino nello stesso caso delle nostre specie inglesi di Orchis; così
la Calanthe masuca ha un lunghissimo nettario, il quale in tutti gli esemplari da me esaminati fu
trovato all’interno sempre completamente asciutto ed era abitato da certe specie di Coccus; ma negli
spazi intercellulari fra le due membrane esisteva buona copia di umore, e in questa specie la
sostanza viscosa del disco perdeva la sua viscosità completamente due minuti dopo la lesione della
superficie. In un Oncidium il disco si è disseccato un minuto e mezzo dopo avvenuta la lesione, in
un Odontoglossum in due minuti, e in nessuna di queste Orchidee fu trovato neppure traccia di
nettare libero. D’altro canto nell’Angræcum sesquipedale, il quale aveva accumulato nettare libero
nel fondo del nettario, il disco del pollinio fu trovato fortemente viscoso quarantott’ore dopo che era
stato allontanato dalla pianta e leso alla superficie.
Il Sarcanthus teretifolius presenta un caso ancora più mirabile. In meno di tre minuti il disco
perdette completamente la sua viscosità e divenne solido. Si avrebbe quindi dovuto aspettarsi di non
trovare alcun liquido nel nettario, ma solo negli spazi intercellulari; e tuttavia il liquido fu trovato in
ambedue i punti, così che qui troviamo l’uno stato e l’altro in un unico e medesimo fiore. È
probabile che gli insetti talvolta s’impadroniscano rapidamente del nettare libero e trascurino quello
raccolto fra le due membrane; ma anche in questo caso io suppongo, che essi possano essere
121
()
Questo soggetto è stato pienamente discusso nella mia opera On the effect of Cross and Self-fertilisation in the
Vegetable Kingdom, 1876, p. 402.
122
()
KURR, Ueber die Bedeutung der Nektarien, 1833, p. 28.
trattenuti tanto che la sostanza viscosa abbia il tempo di solidificarsi in causa di un modo affatto
diverso di assorbimento del nettare libero. In questa pianta il labello col suo nettario è un organo
fuori del comune. Avrei desiderato che fosse fatto un disegno rappresentante la struttura di esso; ma
trovai che esso sarebbe altrettanto impossibile, come se si volesse dare un disegno delle prominenze
e delle liste di una serratura complicatissima. Lo stesso Bauer, che è abilissimo, riesce a mala pena a
renderne intelligibile la struttura col mezzo di numerose figure e spaccati fatti su grande scala. Il
canale è così complicato, che con ripetuti esperimenti non riuscii ad introdurre una setola
dall’esterno del fiore nel nettario, oppure in direzione contraria dall’estremità troncata del nettario
all’esterno. Un insetto provvisto di una proboscide pieghevole a volontà può senza dubbio spingerla
attraverso gli anditi e raggiungere in tal guisa il nettare, ma nell’esecuzione di questo atto dovrà
impiegare qualche tempo, durante il quale il disco quadrangolare avrà modo di attaccarsi
sicuramente al capo o al corpo dell’ insetto.
Poiché nel genere Epipactis la cavità o nappo esistente alla base del labello serve di serbatojo del
nettare, io mi aspettava di trovare che i nappi analoghi dei generi Stanhopea, Acropera, ecc.
servissero allo stesso scopo, ma non ho potuto mai osservare in essi una goccia di nettare. Secondo
le osservazioni del sig. Ménière e Scott,
(
123
)
ciò non avviene mai in questi generi, come non avviene
nei generi Gongora, Cirrhæa e in molti altri. Nel Catasetum tridentatum, e nella forma femminea
Monacanthus è certo che il nappo capovolto com’è non può servire di serbatojo del nettare. E che
cosa è che attira gli insetti in questi fiori? Che gli insetti vengono attirati è certo, specialmente nel
caso del Catasetum, in cui i sessi sono distribuiti su diverse piante. In molti generi delle Vandee non
esiste neppure la traccia di un qualsiasi organo secernente nettare, o di un serbatojo del nettare, ma
in tutti questi casi (per quanto mi fu dato osservare) il labello è grosso e carnoso, oppure è
provveduto di escrescenze particolari, come nei generi Oncidium e Odontoglossum. Nella
Phalænopsis grandiflora trovasi una particolare prominenza simile ad un’incudine sul labello, dalla
estremità della quale si dipartono due prolungamenti cirriformi, i quali si ripiegano all’indietro e
servono, a quanto pare, a proteggere i lati dell’incudine, così che gli insetti sono costretti ad
arrestarsi sul suo vertice. Anche nella nostra Cephalanthera grandiflora dell’Inghilterra, il di cui
labello non contiene mai nettare, si trovano delle linee salienti di colore aranciato e delle papille
sulla faccia interna opposta alla colonnetta. Nel genere Calanthe (fig. 26) sul labello sporge un
cumulo di piccole escrescenze sferiche, ed esiste un nettario estremamente lungo, il quale non
contiene nettare; nella Eulophia viridis il breve nettario non contiene mai nettare e il labello è
coperto da coste longitudinali frangiate. In parecchie specie di Ophrys esistono due piccole
prominenze splendenti alla base del labello sotto i due dischi. Si potrebbero riferire qui
innumerevoli altri casi di particolari e diverse escrescenze esistenti sul labello, delle quali Lindley
dice che è completamente ignota la destinazione.
Considerando la posizione di queste escrescenze, in rapporto ai dischi adesivi e la mancanza di
qualsiasi traccia di nettare libero, mi è parso dapprima assai probabile, che esse servissero di
nutrimento adescando in tal guisa imenotteri o coleotteri che mangiano fiori. Questa cosa per se
stessa, che cioè un fiore possa essere costantemente fecondato da un insetto che vada su di esso per
nutrirsi del labello, non è punto più inverosimile di quello che lo sia la dispersione dei semi col
mezzo degli uccelli attirati dalla sostanza zuccherina entro cui i semi stessi sono racchiusi. Io mi
credo però in dovere di riferire, che il D
r
Percy, il quale ha analizzato per me il grande labello
solcato di una Varrea col mezzo della fermentazione sul mercurio, ha trovato che esso non dava
alcun indizio di contenere una maggior quantità di zucchero degli altri petali. All’opposto, il grosso
nettario di Catasetum e le basi dei sepali superiori di Mormodes ignea hanno un sapore leggermente
dolciastro nel suo complesso gradito e nutriente. Ciò non ostante fu un’ipotesi ardita quella che gli
insetti vengano adescati dai fiori di varie Orchidee per mangiare le escrescenze od altre parti dei
loro labelli, e poche cose mi hanno dato una maggiore soddisfazione della conferma completa data a
questa mia idea dal D
r
Crüger,
(
124
)
il quale nelle Indie Occidentali ha veduto ripetutamente degli
imenotteri appartenenti al genere Euglossa rosicchiare il labello dei generi Catasetum, Coryanthes,
Gongora e Stanhopea. Anche Fritz Müller ha trovato spesso corrose le protuberanze del labello di
Oncidium nel Brasile. Noi siamo in tal guisa messi in istato di comprendere il significato delle
123
()
Bulletin Soc. Bot. de France, tom. II, 1855, p. 352.
124
()
Journ. Linn. Soc. Bot., 1864, vol. VIII, p. 129.
diverse creste e protuberanze particolari di molte Orchidee; poiché esse stanno senza eccezione in
posizione tale che gli insetti, i quali le rodono, quasi con certezza devono toccare i dischi adesivi dei
pollinii, e in tal modo li trasportano per operare poi la fecondazione d’altri fiori.
MOVIMENTI DEI POLLINII.
I pollinii di molte orchidee subiscono un movimento di depressione, dopo che sono stati allontanati
dai loro punti d’inserzione, e furono esposti per alcuni secondi all’aria. Questo è un effetto della
contrazione di una parte talvolta estremamente minuta della superficie esterna del rostello, il quale
si conserva membranoso, così che si fende lungo linee determinate. In una Maxillaria si contrae la
porzione mediana del peduncolo, e nell’Habenaria tutto il peduncolo che è foggiato a tamburo. Il
punto di contrazione in tutti gli altri casi da me osservati giace presso la faccia d’inserzione del
picciuolo col disco, o nel punto d’unione del peduncolo col disco; ma l’uno e l’altro, tanto il disco
che il peduncolo sono parti della faccia esterna del rostello. Queste osservazioni non si riferiscono ai
movimenti che dipendono unicamente dall’elasticità del peduncolo, come nelle Vandee.
Fig. 38.
GYMNADENIA CONOPSEA.
(Disco)
Il lungo disco listato di Gymnadenia conopsea è ben appropriato per mostrare il meccanismo del
movimento di depressione. L’intiero pollinio, tanto nella sua posizione eretta, che in quella di
depressione, è rappresentato nella figura 10. Il disco non contratto e separato dal picciuolo è
rappresentato visto dal di sopra e fortemente ingrandito nel disegno superiore dell’annessa figura, e
nella figura inferiore è presentato uno spaccato longitudinale del disco non contratto assieme alla
base del picciuolo aderente nella sua posizione eretta. All’estremità allargata del disco trovasi una
profonda depressione semilunare, che è circondata da una piega poco notevole formala da cellule
allungate in direzione longitudinale. L’estremità del picciuolo è fissata alle pareti di questa
depressione e della piega. Dopo che il disco fu esposto per circa trenta secondi all’aria, la piega si
avvizzisce e si deprime. Nella depressione trascina seco il picciuolo, il quale allora viene a
collocarsi parallelamente alla porzione allungata ed appuntita del disco. Se viene messo nell’acqua,
la piega si risolleva, il picciuolo si erige nuovamente, e se viene esposto nuovamente all’aria si
deprime di nuovo, ma ogni volta con minore forza. Durante ogni depressione ed erezione del
picciuolo l’intiero pollinio viene naturalmente depresso e sollevato.
Che la causa dei movimenti risieda esclusivamente alla superficie del disco si vede chiaramente nel
caso del disco a sella della Orchis pyramidalis; poichè tenendolo entro l’acqua io vi asportai i
picciuoli ad esso inseriti e lo strato di sostanza viscosa della faccia inferiore, ed avendo esposto il
disco all’aria avvenne immediatamente la solita contrazione. Il disco è formato da parecchi strati di
cellule piccolissime, le quali si possono benissimo vedere in esemplari conservati a lungo nello
spirito; poichè con tal mezzo il loro contenuto è divenuto più opaco. Le cellule delle parti laterali
della sella sono alquanto allungate. Finché il peduncolo è conservato umido, la sua faccia superiore
è quasi piatta, ma se viene esposto all’aria (vedi fig. 3, E), i due lati si contraggono e si avvolgono
verso l’interno, e ciò produce la divergenza dei pollinii. Per una specie di contrazione si formano in
modo analogo due depressioni davanti i picciuoli, così che questi ultimi vengono gettati all’innanzi
ed in basso, quasi nello stesso modo come se venissero scavate delle fosse davanti e presso due pali
eretti e fossero proseguite fino a sottominarli. Per quanto ho potuto osservare, una contrazione
analoga produce la depressione dei pollinii di Orchis mascula. Nella O. hircina i due pollinii sono
fissati ad un unico disco discretamente grande e quadrangolare, la di cui faccia anteriore tutta intiera
si contrae e si stacca poscia ad un tratto dalla porzione posteriore in seguito all’esposizione all’aria.
Per questa contrazione i due pollinii vengono trascinati all’innanzi ed in basso.
Alcuni pollinii che furono tenuti fissi per parecchi mesi ad un cartoncino colla gomma, si
sollevarono ed eseguirono il movimento di depressione essendo stati posti entro l’acqua. Un
pollinio fresco si solleva e si deprime alternativamente per parecchie volte successive, quando
alternativamente venga bagnato ed esposto all’aria. Prima d’aver scoperto i fatti, i quali dimostrano
che il movimento è semplicemente igrometrico, ho creduto che esso sia un atto vitale ed
esperimentai coi vapori di cloroformio, d’acido prussico e coll’immersione nel laudano; ma questi
reagenti non turbarono punto il movimento. Tuttavia si ha qualche difficoltà a comprendere come il
movimento possa essere semplicemente igrometrico. I lobi laterali della sella nella O. pyramidalis
(vedi fig. 3, D), si avvolgono verso l’interno completamente nello spazio di nove secondi, il quale
spazio di tempo è meravigliosamente breve ger produrre un effetto col mezzo della sola
evaporazione,
(
125
)
e il movimento sembra essere la conseguenza del disseccamento della faccia
inferiore, quantunque questa sia rivestita da un grosso strato di sostanza viscosa. Frattanto i margini
della sella non potrebbero in nove secondi disseccarsi se non in modo poco notevole. Se il disco a
sella viene posto nello spirito, esso si contrae energicamente, e ciò dipende probabilmente dalla
grande avididità che ha l’alcool per l’acqua. Se viene posto nuovamente nell’acqua, si distende di
bel nuovo. Ad ogni modo, sia la contrazione completamente igrometrica o no, i movimenti in
ciascuna specie sono così mirabilmente regolati, che le masse polliniche trasportate dagli insetti
assumono una posizione conveniente per giungere a contatto collo stigma.
Questi diversi movimenti sarebbero affatto infruttuosi se i pollinii non venissero fissati agli insetti
sempre in un modo uniforme, di modo che essi dopo il movimento di depressione vengano ad essere
sempre nella stessa posizione, e per conseguenza è necessario che gli insetti sieno costretti a visitare
i fiori sempre in un modo uniforme. Devo quindi dire poche parole sui sepali e sui petali. La loro
funzione primitiva è senza dubbio quella di proteggere gli organi della fruttificazione dentro la
gemma. Dopo che il fiore è completamente spiegato, i sepali e i due petali superiori hanno ancora
sovente la stessa posizione. Noi non possiamo dubitare che questa protezione sia utile, osservando
che nel genere Stelis i sepali chiudono tanto esattamente e tornano a proteggere il fiore qualche
tempo dopo lo sbocciamento; nel genere Masdevallia i sepali sono fra loro saldati in modo
permanente e lasciano aperte solo due finestre, e nei fiori aperti ed esposti del genere Bolbophyllum
l’ingresso della cavità dello stigma si chiude dopo qualche tempo. Fatti analoghi si potrebbero
riferire rispetto ai generi Malaaxis, Cephalanthera, ecc. Ma la cuffia formata dai sepali e dai due
petali superiori serve evidentemente oltre che di difesa anche di guida, in quanto che obbliga gli
insetti a penetrare nei fiori dalla parte anteriore. Sono pochi oggidì coloro che dubitano della verità
del modo di vedere di C.K. Sprengel,
(
126
)
che i colori chiari ed appariscenti dei fiori servano ad
attirare gl’insetti da lontano. Ciò nulla di meno alcune Orchidee hanno fiori speciali non
appariscenti e viriscenti, forse allo scopo di sfuggire a qualche pericolo; ma molti di essi sono molto
odorosi, la qual cosa potrebbe servire in egual modo ad adescare gli insetti.
Il labello è l’involucro esterno più notevole dei fiori. Esso non secerne solo nettare, ma è spesso
conformato in modo da poter servire da serbatoio a questo umore, oppure esso stesso è fatto per
adescare gl’insetti, i quali se ne cibano. Se i fiori non possedessero in un modo o nell’altro la facoltà
di attirare gli insetti, peserebbe sulla maggior parte delle specie la maledizione di una perpetua
sterilità. Il labello è collocato sempre dinanzi il rostello, e la sua porzione terminale serve spesso di
stazione ai necessarii visitatori. Nella Epipactis palustris questa porzione è pieghevole ed elastica e
obbliga evidentemente gli insetti a strisciare contro il rostello nel ritirarsi. Nel genere Cypripedium
la porzione terminale è ripiegata all’indietro come la punta di una pantofola e obbliga gli insetti ad
uscire dal fiore per due vie particolari. Nella Pterostylis, e in alcune altre poche Orchidee il labello è
irritabile, così che se viene toccato il fiore si chiude lasciando aperta un’unica via per la quale
l’insetto può sfuggire. Nelle Spiranthes, quando il fiore è maturo completamente la colonnetta si
allontana dal labello, lasciando così spazio per l’introduzione delle masse polliniche aderenti alla
proboscide di un pecchione. Nella Mormodes ignea il labello se ne sta sul vertice della colonnetta, e
colà si arrestano gli insetti che toccando il punto sensitivo sono causa della emissione delle masse
polliniche. Il labello è spesso profondamente incavato, oppure ha delle strie guidatrici, od è
compresso contro la colonnetta; e in un buon numero di casi vi si avvicina abbastanza per dare al
fiore una forma tubolosa. Con questi diversi mezzi gli insetti sono obbligati a passare presso la
125
()
Questo fatto non mi riesce presentemente tanto strano come dapprima mi apparve; poiché mio figlio Francesco ha
dimostrato (Transactions Linnean Society, 2 Ser., Botany, vol. I, 1876, p. 149) con quanta rapidità una spica di Stipa si
ravvolge e si svolge coll’esposizione all’aria asciutta ed umida.
126
()
Il libro meraviglioso di questo autore, che porta il titolo singolare: Das Entdeckte Geheimniss der Natur, fu tenuto
fin avanti poco tempo in poco conto. Senza dubbio l’autore fu un entusiasta e spinse forse alcune sue idee fino agli
estremi. Ma dai risultati delle mie proprie osservazioni sono ben sicuro che la sua opera contiene una grandissima copia
di verità. Molti anni fa, Robert Brown, il di cui giudizio è tenuto in grandissimo conto da tutti i botanici, mi parlò di lui
in maniera assai favorevole e osservò che l’avrebbero deriso coloro che poco ne sanno del soggetto.
colonnetta. Noi non dobbiamo tuttavia supporre che ogni particolarità di struttura del labello sia
utile; in alcuni casi, ad esempio nei Sarcanthus, sembra che la sua forma straordinaria sia in parte
una conseguenza del suo svilupparsi in intimo contatto col rostello che ha una forma non ordinaria.
Nella Listera ovata il labello è molto discosto dalla colonnetta, ma la sua base è sottile, così che
gl’insetti sono obbligati ad arrestarsi esattamente sotto la metà del rostello. In altri casi, ad esempio,
nei generi Stanhopea, Phalænopsis, Gongora, ecc., il labello è provveduto di lobi basilari rivolti in
alto, i quali evidentemente fungono da guide laterali. In alcuni casi, così nel genere Malaxis, i due
sepali superiori sono torti all’indietro, di modo che sono fuori via; in altri casi, ad esempio, nelle
Acropera, Masdevallia e in alcune specie di Bolbophyllum, questi petali superiori fungono da guide
laterali, obbligando gli inserti a visitare i fiori direttamente dalla faccia anteriore del rostello. In altri
casi servono di guide laterali le ali formate dai margini del clinandrio o della colonnetta, sia nel
trasporto dei pollinii, che nella loro successiva introduzione nella cavità stimmatica. Non vi può
essere dunque alcun dubbio che i petali, i sepali e le antere rudimentali siano utili in modi diversi,
oltre che servono di protezione alla gemma.
Lo scopo ultimo dell’intiero fiore con tutte le sue parti è la produzione di semi, e questi vengono
prodotti dalle Orchidee in quantità sterminata. Una tale quantità non è niente affatto lodevole;
poichè la produzione di un numero quasi infinito di semi, o di uova, è senza dubbio un indizio di
bassa organizzazione. La necessità di ovviare all’estinzione specialmente colla produzione di una
quantità sterminata di semi o di germi per una pianta non annuale, dimostra una povertà di
apparecchi, o una mancanza di una conveniente difesa contro altri pericoli. Io era curioso di
calcolare la quantità di semi prodotti da alcune poche Orchidee; presi a tale scopo una capsula
matura di Cephalanthera grandiflora e ne ordinai i semi in una lunga linea più uniformemente che
potei in una strettissima striscia; e poscia numerai i semi compresi entro una lunghezza ben misurata
di un decimo di pollice. In tal guisa il contenuto di una capsula fu da me calcolato a 6020 semi, e
pochissimi di essi erano cattivi; le quattro capsule portate dalla stessa pianta avrebbero contenuto
perciò 24,080 semi. Avendo poscia calcolato nello stesso modo i semi minori della Orchis
maculata, trovai un numero quasi eguale, cioè 6200; ed avendo osservato spesso oltre trenta capsule
su un’unica pianta, la somma raggiungerebbe la cifra di 186,300. Ma poichè questa Orchidea è
perenne e non si propaga notevolmente nella maggior parte delle località, così di un numero così
grande di semi, uno soltanto darebbe una pianta matura una sola volta in pochi anni.
Per dare un’idea di ciò che significano realmente le cifre qui sopra esposte, aggiungerò brevemente
il possibile aumento della O. maculala: un campo di terreno conterrebbe 174,240 piante, ciascuna
delle quali occupa lo spazio di sei pollici quadrati, e ciò basterebbe appunto per il loro
accrescimento: si supponga ora, che in ogni capsula si trovassero 400 semi cattivi, e allora un
campo sarebbe coperto dalla prole di una sola pianta. Nella stessa proporzione i suoi nipoti
occuperebbero uno spazio alquanto superiore all’isola Anglesea; e i pronipoti di una sola pianta
coprirebbero di un verde tappeto uniforme quasi (rapporto di 47:50) tutta la superficie del
continente della terra. Ma il numero di semi prodotti da una delle comuni Orchidee inglesi è nulla in
confronto di quelli prodotti da alcune specie esotiche. Il sig. Scott trovò, che la capsula di una
Acropera conteneva 371,250 semi, e giudicando dal numero dei fiori, una sola pianta potrebbe
talvolta produrre circa 74 milioni di semi. Fritz Müller trovò in un’unica capsula di una Maxillaria
1,756,440 semi, e quella pianta portava talvolta una mezza dozzina di tali capsule. Io voglio
aggiungere che contando le masse di polline (di cui una fu rotta sotto il microscopio) ho calcolato il
numero dei granelli pollinici, ciascuno dei quali emette un tubo, in un’unica antera di Orchis
mascula, a 122,400. Amici
(
127
)
calcolò il numero di essi nella Orchis morio a 120,300. E poichè
queste due specie non producono, a quanto pare, un numero maggiore di semi della specie affine O.
maculata, una capsula della quale conteneva 6200 semi, noi vediamo esistere circa 20 granelli
pollinici per ogni ovulo. Seguendo questa proporzione, il numero dei granelli pollinici in un’antera
di ogni singolo fiore di Maxillaria, che diede 1,756,440 semi, deve essere assolutamente sterminato.
Le cause che si oppongono ad un aumento illimitato delle Orchidee sull’intiera superficie
terrestre sono ignote. I piccolissimi semi contenuti entro il loro leggero involucro sono
eminentemente adattati ad una vasta diffusione; ed io ho veduto nascere dei germogli spesso nel
mio frutteto e in un bosco in cui erano state fatte di recente le impiantagioni, i quali dovevano
127
()
MOHL, Die Vegetabilische Zelle in: R. WAGNERS Handwörterbuch der Physiologie, 4 Bd., p. 287.
esservi venuti da una distanza considerevole. Questo caso si è avverato principalmente colla
Epipactis latifolia, e un abile osservatore
(
128
)
ha reso noto un caso, in cui furono visti dei germogli
di questa pianta ad una distanza di 8 o 10 miglia da qualsiasi luogo da essa abitato. Ad onta del
numero favoloso di semi prodotti dalle Orchidee, è notorio che esse sono scarsamente diffuse; il
Kent, per esempio, sembra essere nell’Inghilterra la contea più favorevole per quest’ordine, e nel
circuito di un miglio dalla mia casa vivono nove generi che comprendono tredici specie; ma fra
queste una soltanto, la Orchis morio, è abbastanza comune, per influire in qualche modo sul tipo
della vegetazione, come la O. maculata lo è in grado minore nell’aperta pianura. La maggior parte
delle altre specie sono solo poco diffuse, quantunque non si possano dire rare; e tuttavia ciascuna di
esse, se i loro semi o germi non venissero distrutti su grande scala, potrebbe ben presto coprire
l’intiero paese. Nei tropici le specie sono assai più numerose; Fritz Müller ha trovato nel Brasile
meridionale più di tredici specie appartenenti a parecchi generi che vivevano su un unico albero di
Cedrela. Il sig. Fitzgerald ha raccolto in un tratto di terreno compreso in un miglio di raggio a
Sydney nell’Australia niente meno che sessantadue specie, di cui cinquantasette crescevano sul
terreno. Ciò nulla meno il numero degli individui di una stessa specie non raggiunge, come io credo,
nemmeno da lontano quello di molte altre piante. Lindley calcolò una volta, che esistano su tutta la
terra circa 6000 specie di Orchidee distribuite in 433 generi.
(
129
)
Il numero degli individui che raggiungono la maturità non sembra affatto dipendere dal numero dei
semi prodotti da ciascuna specie; e ciò vale anche allora che si paragonano fra loro forme assai
affini. Così la Ophrys apifera si feconda da sè e ciascun fiore produce una capsula; ma gli individui
di questa specie sono in alcune località dell’Inghilterra meno numerosi di quelli della O. muscifera,
la quale non si feconda da sè e viene fecondata incompletamente col mezzo degli insetti, così che un
numero relativamente grande di fiori cadono non fecondati. La Ophrys aranifera si trova in grande
numero nella Liguria; e tuttavia, secondo i calcoli di Delpino, non produce più di una capsula su
3000 fiori.
(
130
)
Il sig. Cheeseman dice
(
131
)
che nella Pterostylis trullifolia della Nuova Zelanda molto
meno di un quarto dei fiori, i quali sono mirabilmente adatti alla fecondazione incrociata, danno
capsule, mentre nella specie affine Acianthus sinclairii, i di cui fiori abbisognano egualmente
dell’intervento degli insetti, su settantotto fiori vengono prodotte settantuna capsule, così che la
pianta deve dare un numero straordinario di semi; e tuttavia in molti distretti non è punto più
frequente delle Perostilis. Il sig. Fitzgerald, che ha rivolto in modo speciale la sua attenzione su
questo soggetto nell’Australia, osserva, che ogni fiore di Thelymitra carnea si feconda
indipendentemente e produce una capsula, e tuttavia è ben lungi dall’essere tanto frequente come lo
Acianthus fornicatus, i di cui fiori sono per la maggior parte improduttivi. Phajus grandifolius e
Calanthe veratrifolia crescono in simili località. Ciascun fiore del Phajus produce semi, e solo
occasionalmente l’uno o l’altro della Calanthe ne produce, e tuttavia il Phajus è raro e la Calanthe
comune.
La frequenza con cui, su tutta la superficie della terra, viene a mancare la fecondazione dei fiori di
certi membri dei diversi gruppi delle Orchidee, quantunque essi sieno costruiti in modo assai adatto
alla fecondazione incrociata, è un fatto singolare. Fritz Müller mi fa sapere che ciò accade nelle
foreste vergini del Brasile del Sud alla maggior parte delle Epidendree e al genere Vanilla. Così egli,
per esempio, visitò una località, in cui la Vanilla si arrampicava a quasi ogni albero, e quantunque le
piante fossero state coperte di fiori, tuttavia non produssero più di due capsule. Così pure in un
Epidendrum 233 fiori cadettero senza essere stati fecondati e una sola capsula fu prodotta; degli altri
136 fiori solo a quattro mancavano le masse polliniche. Il sig. Fitzgerald crede che in New-South-
Wales su mille fiori di Dendrobium speciosum non più di un fiore portò una capsula; ed alcune altre
specie sono colà assai sterili. Nella Nuova Zelanda oltre 200 fiori di Coryanthes triloba diedero solo
cinque capsule; e al Capo di Buona Speranza 78 fiori di Disa grandiflora ne produssero altrettante.
A un dipresso lo stesso risultato si ebbe in Europa in alcune specie di Ophrys. La sterilità in questi
casi è difficile a spiegarsi. Essa dipende evidentemente da ciò che i fiori sono costruiti con tanto
rigorosa ricercatezza allo scopo della fecondazione incrociata, che essi non possono produrre semi
128
()
Mr. BREE, in Magaz. of Natur. Hist., London, vol. II, 1829, p. 70.
129
()
Gardener’s Chronicle, 1862, p. 192.
130
()
Ult. Osservazioni sulla Dicogamia, parte I, p. 177.
131
()
Transactions New-Zealand Instit., vol. VII, 1875, p. 351.
senza l’intervento degli insetti. Dai fatti da me esposti in altro luogo
(
132
)
possiamo conchiudere, che
per la maggior parte delle piante sarebbe assai più vantaggioso di poter produrre alcuni pochi semi
col mezzo della fecondazione incrociata, anche a costo di molti fiori che cadono senza essere
fecondati, di quello che produrre molti semi mediante l’autofecondazione. La prodigalità in natura
non è una cosa insolita, come lo vediamo nel polline delle piante che devono la loro fecondazione
all’azione del vento, e nelle quantità di semi e di germi prodotti dalla maggior parte delle piante,
mentre solo pochi si sviluppano e diventano maturi. In altri casi il piccolo numero di fiori fecondati
potrebbe essere la conseguenza di una diminuzione nel numero degli insetti adatti, in seguito alle
continue variazioni a cui il mondo è sottoposto, oppure dell’aumento numerico di altre piante che
abbiano facoltà di adescare in grado maggiore gl’insetti in questione. Noi sappiamo che determinate
Orchidee hanno bisogno di determinati insetti per il compimento della loro fecondazione, come è il
caso negli esempi sopra citati di Vanilla e Sarcochilus. Nel Madagascar l’Angræcum sesquipedale
deve dipendere da un qualche lepidottero notturno gigantesco. Nell’Europa il Cypripedium
calceolus sembra venir fecondato solo da piccoli imenotteri del genere Andrena, e l’Epipactis
latifolia solo da vespe. In quei casi in cui solo pochi fiori vengono fecondali, perché solo pochi
vengono visitati dagli insetti adatti, la pianta può essere profondamente danneggiata e molte
centinaia di specie sono per questa ragione condannate all’estinzione; quelle che pure si conservano
sono favorite in qualche altra maniera. D’altro canto i pochi semi portati in questo caso sono il
prodotto di una fecondazione incrociata e ciò è, come noi positivamente lo sappiamo, un
grandissimo vantaggio per la maggior parte delle piante.
Io sono presso al termine del mio libro, il quale forse è già troppo lungo. Credo di aver dimostrato
che le Orchidee presentano una quasi infinita moltiplicità di meravigliosi adattamenti. Se fu parlato
di questo o di quell’organo come adattato ad un qualche scopo speciale, non si deve immaginare che
esso sia stato formato originariamente sempre per questo scopo. Il corso regolare delle cose sembra
essere, che un organo il quale originariamente serviva ad un determinato scopo si sia adattato, in
seguito a lente modificazioni, a scopi assai diversi. Per darne un esempio; in tutte le Ophridee il
lungo e quasi rigido picciuolo serve evidentemente a favorire l’applicazione dei granelli pollinici
sullo stigma, quando le masse polliniche vengano dagli insetti trasportate da un fiore all’altro; e
l’antera si schiude ampiamente per permettere al pollinio di venir facilmente estratto; ma nella
Ophrys apifera il picciuolo si adatta mediante un poco notevole aumento della sua lunghezza e
diminuzione della sua grossezza e mediante uno schiudimento un poco più ampio dell’antera, allo
scopo speciale ed assai diverso della autofecondazione, e ciò coll’intervento complicato del peso
delle masse polliniche e le oscillazioni del fiore prodotte dal vento. Ogni passaggio fra questi due
stati è possibile, – e ne abbiamo un esempio parziale nella Ophrys aranifera.
Dippiù, l’elasticità del peduncolo del pollinio è adattata in alcune Vandee a liberare le masse
polliniche dalle logge dell’antera; ma per una successiva ed insignificante modificazione l’elasticità
del peduncolo raggiunge l’adattamento speciale a spinger fuori con forza considerevole il pollinio, il
quale va a colpire il corpo degli insetti. La grande cavità esistente nel labello di molte Vandee è rosa
da molti insetti e serve quindi come mezzo di adescamento; ma nella Mormodes ignea è
considerevolmente ridotta in grandezza e serve principalmente a mantenere il labello nella sua
nuova posizione sul vertice della colonnetta. Dalla analogia di molte piante possiamo conchiudere,
che un lungo nettario speroniforme sia originariamente adattato alla secrezione del nettare e ad
esserne il serbatoio; ma in molte Orchidee esso ha perduto questa sua funzione in quanto che
contiene l’umore solo negli spazi intercellulari. In quelle Orchidee in cui il nettario contiene tanto
nettare libero come umore negli spazi intercellulari, possiamo vedere come possa avvenire un
passaggio da uno stato all’altro, e cioè col diminuire sempre più la quantità di nettare secreto dalla
membrana interna, e coll’aumentare sempre più la quantità di umore trattenuto entro gli spazi
intercellulari. Altri casi analoghi ancora potrebbero essere ricordati.
Quantunque un organo originariamente possa non essere formato per uno scopo speciale, se al
presente serve a questo scopo, abbiamo il diritto di dire che ad esso è specialmente accomodato.
Seguendo questo principio, si può dire che quando un uomo costruisce una macchina per un qualche
scopo speciale, ma servendosi di ruote o di molle e cilindri vecchi e solo poco modificati, questa
132
()
Gli effetti della fecondazione incrociata e propria nel Regno vegetale (Trad. italiana di G. Canestrini e P.A.
Saccardo).
intiera macchina con tutte le sue parti è adattata in modo speciale al nuovo fine. In tale modo
nell’universa natura ciascuna parte degli organismi attualmente viventi fu probabilmente utilizzata a
scopi diversi, subendo solo poco considerevoli modificazioni, e nella macchina vivente hanno avuto
parte molte e diverse forme antiche.
Nel mio studio sulle Orchidee nessun altro fatto forse mi ha tanto colpito quanto la indefinita varietà
di struttura, – la prodigalità dei mezzi per raggiungere uno stesso ed identico scopo, vale a dire la
fecondazione di un fiore col polline di un’altra pianta. Questo fatto è in senso lato reso
comprensibile dal principio della elezione naturale. Essendo tutte le parti di un fiore coordinate fra
loro, ne segue che avvenendo delle leggere modificazioni in una parte ed essendo queste utili alle
piante, le altre parti debbono venir modificate per lo più in un modo corrispondente. Queste ultime
parti potrebbero però anche non variare in modo conveniente, e queste altre variazioni le quali
tendono, qualunque sia la loro natura, a stabilire un rapporto armonico fra tutte le diverse parti,
saranno conservate dalla elezione naturale.
Per darne un esempio semplice ricorderò, che in molte Orchidee l’ovario (e talvolta lo stelo) subisce
una torsione, ciò che è la causa per cui il labello assume la sua posizione di petalo inferiore, e offre
facile accesso agli insetti che visitano il fiore; ma in seguito ad una lenta modificazione nella forma
o nella posizione dei petali, o perchè nuovi insetti visitano i fiori, potrebbe essere utile alla pianta
che il labello riprendesse la sua posizione normale nella parte superiore del fiore, come di fatto ne è
il caso nella Malaxis paludosa e in alcune specie di Catasetum, ecc. Egli è chiaro che questo
cambiamento può essere prodotto semplicemente in seguito ad una scelta continuata delle varietà, le
quali hanno un ovario sempre meno torto; ma se la pianta producesse solo varietà, il di cui ovario
fosse sempre più torto, si potrebbe ottenere lo stesso scopo con una scelta di tali variazioni finché il
fiore avesse fatto un intero giro attorno al proprio asse. Ciò sembra essere in realtà avvenuto nella
Malaxis paludosa, poiché il labello ha ripreso la sua attuale posizione superiore per ciò che il
labello ha subito una torsione due volte maggiore della ordinaria.
Inoltre noi abbiamo veduto, come nella maggior parte delle Vandee esiste un evidente rapporto fra
la profondità della cavità stimmatica e la lunghezza del peduncolo, col mezzo del quale le masse
polliniche vi vengono introdotte; se ora la cavità divenisse alquanto meno profonda, in causa di una
qualche modificazione nella forma della colonnetta o per altre cause ignote, allora la semplice
abbreviazione del peduncolo sarebbe la più semplice e corrispondente variazione; ma se il
peduncolo per caso non variasse per rapporto alla sua lunghezza, allora la più piccola tendenza che
si manifestasse in esso a curvarsi per elasticità, come in Phalænopsis, o a ripiegarsi all’indietro per
igrometria, come in una Maxillaria, sarebbe conservata, e questa inclinazione sarebbe per l’azione
dell’elezione naturale aumentata sempre più; e in tal modo il peduncolo verrebbe modificato, per
quanto riguarda la sua funzione, come se venisse accorciato. Simili processi continuati per molte
migliaia di generazioni in diversi modi, provocheranno una infinita varietà di forme fra loro,
reciprocamente coordinate nelle diverse parti del fiore, avendo tutte lo stesso scopo generale.
Questo modo di vedere offre, come io credo, la chiave che sola può sciogliere il problema delle
numerosissime differenze di struttura, che sono adattate a scopi analoghi in molti grandi gruppi di
esseri organici.
Quanto più io studio la natura, tanto più profonda si fa in me la convinzione, che gli apparecchi e gli
adattamenti mirabili, lentamente raggiunti in seguito alla variazione occasionale, lenta e assai
molteplice di ciascuna parte e per la conservazione e l’accumulamento di quelle variazioni che sono
utili all’organismo nelle complicate e sempre variabili condizioni di vita, sorpassano di gran lunga
gli apparecchi e gli adattamenti che la più feconda fantasia dell’uomo possa inventare.
L’interpretazione di ogni particolarità di struttura anche poco considerevole non è già una sterile
speculazione per chi crede nella elezione naturale. Allorquando un naturalista intraprende per caso
lo studio di un qualche organismo e non cerca di penetrare l’intero modo di vivere di esso (per
quanto incompleto riesca sempre tale studio), sarà naturalmente in dubbio se una parte poco
importante sia di qualche vantaggio, oppure la conseguenza di qualche legge generale. Alcuni
naturalisti credono che siano state messe al mondo innumerevoli forme solo allo scopo di varietà e
di bellezza, allo stesso modo come un artista fa modelli diversi. Quanto a me, sono stato spesso
dubbioso se questo o quel dettaglio di struttura potesse essere di qualche vantaggio in molte
Orchidee e in altre piante; e nel caso non giovassero a nulla, essi non potrebbero essere stati prodotti
dalla naturale conservazione di utili variazioni. Simili dettagli possono essere spiegati solo in
generale col mezzo dell’influenza diretta delle condizioni di vita o dell’arcana legge della
correlazione di sviluppo.
Se volessi esporre a un dipresso tutti i casi di minimi dettagli di struttura dei fiori delle Orchidee, i
quali sono certamente di alta importanza, sarebbe necessario fare una ricapitolazione di quasi
l’intiero libro. Richiamerò tuttavia alla mente del lettore alcuni pochi casi. Non intendo parlare qui
della struttura fondamentale della pianta, come dei resti dei quindici organi primitivi disposti
alternativamente in cinque cicli, poiché quasi ogni osservatore che creda nello sviluppo graduale
delle specie, vorrà ammettere, che la loro presenza sia una conseguenza dell’eredità da un’antica
forma paterna. Si è fatto conoscere in questo libro un grande numero di fatti relativi alla funzione
dei petali e dei sepali che variano di forma e di posizione; così pure ho accennato all’importanza
d’una piccola differenza nella forma del picciuolo dei poflinio della Ophrys apifera, paragonato a
quello delle altre specie dello stesso genere; e a questo si può aggiungere il picciuolo doppiamente
ripiegato della O. muscifera. E in realtà si potrebbe riscontrare in molti intieri gruppi un rapporto
importante fra la lunghezza e la forma del picciuolo e la posizione dello stigma. Il solido bottone
sporgente dell’antera nella Epipactis palustris, il quale non contiene polline, mette in libertà le
masse polliniche allorché viene mosso dagli insetti. Nella Cephalanthera grandiflora la posizione
eretta del fiore quasi chiuso protegge le masse di polline debolmente coerente da ogni lesione. La
lunghezza e l’elasticità del filamento dell’antera sembra servire in certe specie di Dendrobium
all’autofecondazione nel caso che venisse a mancare la visita degli insetti e quindi il trasporto del
polline col loro mezzo. L’insignificante inclinazione all’innanzi della cresta del rostello, nelle
Listera, impedisce che la loggia dell’antera sia eccitata subito dopo la emissione della sostanza
viscosa. L’elasticità del labbro del rostello nel genere Orchis è la causa del suo risollevamento nel
caso che una sola delle masse polliniche sia stata allontanata, e tiene in tal modo pronto a
funzionare il secondo disco adesivo, il quale altrimenti sarebbe inutile. Nessuno che non abbia
studiato le Orchidee, avrebbe pensato che questi e molti altri piccoli dettagli fossero di grande
importanza per ciascuna specie e che per conseguenza, venendo le specie esposte a nuove
condizioni di vita e variando la struttura delle diverse parti in modo assai ristretto, si potessero
conseguire mediante l’azione dell’elezione naturale i più piccoli dettagli di struttura. Questi casi
prescrivono molta prudenza nel giudicare dell’importanza e del significato dei dettagli di struttura
apparentemente di nessun conto negli altri organismi.
Si può naturalmente domandare, perché le Orchidee presentino tanti e così perfetti apparecchi allo
scopo della loro fecondazione? Secondo le osservazioni di diversi botanici e secondo le mie proprie,
molte altre piante presentano indubbiamente adattamenti analoghi e assai perfetti, ma sembra che
essi siano realmente più numerosi e perfetti nelle orchidee che nella massima parte delle altre
piante. Fino ad un certo punto si può rispondere a questa domanda. Poiché ogni ovulo abbisogna
almeno di uno, e probabilmente di parecchi granelli pollinici,
(
133
)
e poiché i semi prodotti dalle
orchidee sono oltre misura numerosi, si comprende come sia necessario che arrivino grandi masse
di polline sullo stigma di ciascun fiore. Anche nelle Neottiee, che hanno un polline granuloso e i di
cui granelli sono collegati fra loro da deboli filamenti, io ho osservato, che vengono lasciate sugli
stigmi considerevoli masse di polline. Questa circostanza sembra spiegare, perché i granelli siano
riuniti in pacchetti o in grandi masse cerose, come avviene in tanti gruppi, vale a dire, per evitare
una perdita nell’atto del trasporto. I fior del maggior numero delle piante producono una quantità
sufficiente di polline per fecondare parecchi fiori; cosicchè è permessa e favorita la fecondazione
incrociata. Ma nelle numerose orchidee che producono solo due masse polliniche e in alcune
Malaxee, che ne producono una sola, il polline d’un fiore non potrà fecondare più di due fiori o
soltanto uno, e casi di questo genere non si verificano, a quanto credo, in nessun altro gruppo di
piante. Se le orchidee producessero tanto polline come le altre piante in rapporto al numero dei semi
da esse generati, ne dovrebbero produrre una quantità affatto sterminata e ciò sarebbe causa di
indebolimento. Un tale indebolimento viene evitato, non venendo il polline prodotto in proporzione
smisurata, e ciò in grazia dei molti apparecchi speciali che ne rendono il trasporto sicuro da una
pianta all’altra e assicurano il suo arrivo sullo stigma. Da ciò si comprende perché le orchidee siano
più altamente organizzate della maggior parte delle altre piante rispetto al meccanismo che sta al
133
()
GAERTNER, Beiträge zur Kenntniss der Befruchtung, 1844, p. 135.
servizio della fecondazione incrociata.
Nel mio libro Sugli effetti della fecondazione incrociata e propria nel Regno Vegetale ho
dimostrato, che i fiori incrociati ricevono per lo più il polline da una pianta diversa e non da un altro
fiore della stessa pianta, inquantochè quest’ultima maniera d’incrociamento non porta alcuno o solo
poco vantaggio. Io ho dimostrato inoltre, che i vantaggi derivanti dall’incrociamento di due piante
derivano unicamente da una qualche differenza della loro costituzione, e si hanno molti fatti che
dimostrano come ogni individuo abbia la sua propria e speciale costituzione. L’incrociamento fra
piante diverse di una stessa specie viene favorito o determinato in diversi modi, come ho esposto nel
mio libro sopra citato, ma principalmente per la preponderante attività del polline di una pianta
diversa in confronto di quello della stessa pianta. Per quanto riguarda le orchidee, egli è assai
probabile l’esistenza di una tale preponderanza; poichè sappiamo dalle preziose osservazioni dei
signori Scott e Fritz Müller,
(
134
)
che in alcune Orchidee il polline dello stesso fiore è affatto
impotente e in alcuni casi agisce perfino come veleno sullo stigma. Oltre questa preponderanza, le
Orchidee presentano diversi speciali apparecchi, in virtù dei quali i pollinii non giungono nella
posizione conveniente per il contatto collo stigma, se non dopo un certo tempo dal loro
allontanamento dall’antera, – il lento ripiegamento all’innanzi e poi all’indietro del rostello nei
generi Listera e Neottia, – il lento scostarsi della colonnetta dal labello nel genere Spiranthes, – il
dioicismo del genere Catasetum, – il fatto che alcune specie producono un unico fiore, ecc., sono
apparecchi, i quali tutti assicurano o rendono in sommo grado probabile la fecondazione dei fiori col
polline di una pianta diversa.
Che la fecondazione incrociata fino alla completa eliminazione dell’autofecondizione sia la regola
fra le Orchidee, non può essere messo in dubbio dopo i fatti che furono già esposti e relativi a molte
specie appartenenti a tutte le tribù delle Orchidee viventi su tutto il globo. Potrei quasi colla stessa
ragione dubitare che i fiori in generale fossero adattati alla produzione di semi, poiché esistono
alcune poche piante, le quali, per quanto è noto, non hanno mai dato semi, se si mettesse in dubbio
che i fiori delle Orchidee siano generalmente costruiti in modo d’assicurare la fecondazione
incrociata. Ciò nulla di meno alcune specie vengono fecondate regolarmente o spesso
autogamicamente; ed io darò qui un elenco di tutti i casi che furono fin qui osservati da me o da
altri. In alcune di queste specie sembra che i fiori vengano spesso fecondati coll’intervento degli
insetti, ma sono in istato di fecondarsi indipendentemente e da sè, senza alcun aiuto, sebbene in un
modo più o meno imperfetto e solo tanto da non rimanere affatto sterili se venisse a mancare la
fecondazione col mezzo degli insetti. A questa categoria si potrebbero ascrivere tre specie inglesi, e
cioè la Cephalanthera grandiflora, Neottia nidus avis e forse la Listera ovata. Nell’Africa del Sud
la Disa macrantha si feconda spesso da sè; ma il sig. Weale crede che essa venga pure incrociata col
mezzo di farfalle notturne. Tre specie appartenenti alle Epidendree aprono solo di rado i loro fiori
nelle Indie occidentali; e tuttavia questi fiori si fecondano da sè; egli è però dubbioso, se la loro
fecondazione sia perfetta, poiché un numero relativamente grande di semi prodotti spontaneamente
in una serra da alcuni membri di questo gruppo erano mancanti di embrione. Alcune specie di
Dendrobium sono pure da ascriversi a questa serie per la loro struttura e per la circostanza che esse
producono occasionalmente allo stato di coltivazione delle capsule.
Delle specie che si fecondano regolarmente da sè senza alcun aiuto e producono capsule di perfetta
grandezza nessun caso è più evidente di quello della Ophrys apifera, da me comunicato per la prima
volta nella prima edizione della presente opera. A questo caso si possono oggidì aggiungere due
altre piante europee, Orchis o Neotinia intacta e Epipactis viridiflora. Due specie dell’America del
Nord sembrano trovarsi nello stesso caso, la Gymnadenia tridentata e la Platanthera hyperborea;
ma non è stabilito se esse, fecondandosi da sè, diano un prodotto completo di capsule contenenti
buoni semi. Un mirabile Epidendrum del Brasile del Sud, il quale porta due ampie antere, si feconda
abbondantemente col loro contenuto, e il Dendrobium cretaceum produsse, come si è saputo, semi
perfetti per autofecondazione in una serra dell’Inghilterra. In fine devono pure ascriversi a questa
categoria lo Spiranthes autumnalis e due specie di Thelymitra abitanti dell’Australia. Senza dubbio
si dovranno aggiungere più tardi altri casi a questo breve elenco di circa dieci specie, le quali
secondo ogni apparenza si fecondano perfettamente da sè, e al numero quasi eguale di specie che si
134
()
Ho dato un completo compendio di queste osservazioni nel mio libro: La variazione degli animali e delle piante
allo stato domestico, cap. XVII.
fecondano incompletamente da sè, quando manca la visita degli insetti.
È meritevole di attenzione speciale il fatto che i fiori di tutte le specie autogamiche sopra nominate
conservano tuttora diversi dettagli di struttura, i quali senza alcun dubbio sono adattati a favorire la
fecondazione incrociata, sebbene attualmente solo di rado o mai vengano in azione. Noi possiamo
conchiudere da ciò, che tutte queste piante derivano da specie o da varietà le quali in un’epoca
antica venivano fecondate coll’intervento degli insetti.
Inoltre parecchi generi, a cui appartengono queste specie autogamiche, comprendono altre specie
incapaci di fecondarsi da sè. E infatti il genere Thelymitra presenta l’unico esempio da me
conosciuto di due specie appartenenti allo stesso genere ed autogamiche. Se si considerano tali casi,
come nei generi Ophrys, Disa ed Epidendrum i quali comprendono un’unica specie perfettamente e
normalmente autogamica, mentre le altre specie solo di rado vengono in un modo qualsiasi
fecondate, e questo in causa della rarità delle visite degli insetti acconci, – e se si pensa inoltre al
grande numero di specie esistenti in tutte le parti della terra, le quali per questa stessa ragione solo
di rado vengono fecondate, si è indotti a credere che le sopra accennate piante autogamiche abbiano
dipeso in un’epoca antica, per rapporto alla loro fecondazione, dalla visita degli insetti, e che
venendo a mancare tali visite e non producendo più una sufficiente quantità di semi, abbiano corso
pericolo di estinguersi. In queste condizioni è probabile che esse a poco a poco abbiano subito tali
modificazioni da rendere possibile una fecondazione autogamica più o meno perfetta; poiché per
una pianta sarà senza dubbio più vantaggioso il produrre solo pochi semi che il non produrne affatto
o solo pochissimi. Se una specie qualsiasi, la quale attualmente non viene mai incrociata, sia capace
di resistere alle cattive influenze di una autofecondazione lungamente protratta, così da avere una
media di vita eguale a quella delle altre specie dello stesso genere che vengono regolarmente
incrociate, non si può naturalmente decidere. Ma la Ophrys apifera è tuttavia sempre una pianta in
alto grado vitale, ed Asa Gray dice che la Gymnadenia tridentata e la Platanthera hyperborea sono
piante frequenti nell’America del Nord. Egli è senza dubbio possibile che queste specie
autogamiche, nel corso del tempo, possano per riversione ritornare allo stato che era senza dubbio il
loro originario, e in questo caso i loro diversi adattamenti allo scopo dell’incrociamento potrebbero
nuovamente venire in attività. Noi possiamo ammettere, che una simile riversione sia possibile,
dappoichè sappiamo dal signor Moggridge, che la Ophrys scolopax si feconda riccamente da sè e
senza l’aiuto degli insetti in un distretto della Francia, mentre in un altro distretto essa è senza un
tale aiuto completamente sterile.
Se si considera infine quanto sia prezioso il polline, e quanto dispendio vi sia nel produrlo, come
pure se si pensa alle parti accessorie fra le Orchidee, – se si riflette qual grande quantità di polline
sia necessaria per la fecondazione degli ovuli quasi senza numero prodotti da queste piante, – se si
riflette che l’antera sta immediatamente dietro o sopra lo stigma, si vedrà quanto la
autofecondazione sia un processo incomparabilmente più facile e più sicuro che il trasporto del
polline da un fiore all’altro. Se non avessimo in mente i favorevoli effetti che si verificano, come fu
dimostrato, nella maggior parte dei casi di incrociamento, noi saremmo altamente meravigliati che i
fiori delle Orchidee non si fecondino normalmente da sé. Ciò indica ad evidenza che vi deve essere
un qualche danno in quest’ultimo processo, il quale fatto fu da me dimostrato con prove dirette in
un altro luogo. Senza quasi punto esagerare possiamo dire che qui la natura ci avverte nel modo il
più evidente, che essa ha orrore di un’autofecondazione continua.
INDICE DEGLI ARTICOLI
Prefazione alla seconda edizione (inglese)
Indice cronologico degli Scritti e delle Opere relative alla fecondazione delle Orchidee, venute alla
luce dopo la prima edizione del presente libro, 1862
Introduzione
CAPITOLO I. – Ophrydeæ.
Struttura del fiore di Orchis mascula. – Movimenti delle masse polliniche. – Perfetto adattamento
delle parti nella Orchis pyramidalis. – Altre specie di Orchis e di alcuni generi affini. – Degli
insetti che visitano le diverse specie e frequenza delle loro visite. – Della fecondità e sterilità di
diverse Orchidee. – Della secrezione del nettare, e degli insetti che sono a bella posta
soffermati per raggiungerlo
CAPITOLO II. – Ophrydeæ (Continuazione).
Ophrys muscifera e aranifera. – Ophrys apifera apparentemente adattata ad una continuata
autogamia, ma fornita di apparati singolari per l’incrociamento. – Herminium monorchis,
adesione delle masse polliniche alle zampe anteriori degli insetti. – Peristylus viridis,
fecondazione indirettamente favorita dal nettare secreto dai tre lobi dei labello. Gymnadenia
conopsea ed altre specie.Habenaria o Plathanthera chlorantha e bifolia; le loro masse
polliniche aderiscono agli occhi dei lepidotteri. – Altre specie di Habenaria. – Bonatea. – Disa.
– Ricapitolazione dei movimenti delle masse polliniche
CAPITOLO III. – Arethuseæ.
Cephalanthera grandiflora; il rostello è abortito; penetrazione temporanea dei tubi pollinici, caso di
autofecondazione imperfetta; fecondazione incrociata col mezzo degli insetti che rodono il
labello.Cephalanthera ensifolia. – Pogonia. – Pterostylis e altre orchidee dell’Australia, il di
cui labello è sensibile al contatto. – Vanilla. – Sobralia
CAPITOLO IV. – Neottieæ.
Epipactis palustris; forma singolare del labello e sua importanza nella fecondazione del fiore. – Altre
specie di Epipactis. – Epipogium. – Goodyera repens. – Spiranthes autumnalis; adattamento
perfetto, in forza del quale il polline di un fiore più giovane viene portato sullo stigma d’un
fiore più adulto d’un’altra pianta.Listera ovata; sensibilità del rostello; esplosione della
sostanza vischiosa; attività degli insetti; adattamento perfetto dei diversi organi. – Listera
cordata. – Neottia nidus-avis, la di cui fecondazione è eseguita nello stesso modo che nella
Listera. – Thelymitra, sua autofecondazione
CAPITOLO V. – Malaxeæ ed Epidendreæ.
Malaxis paludosaMasdevallia, con fiori chiusi in modo singolare. – Bolbophyllum, il labello è
tenuto in continuo movimento da ogni soffio di aria. – Dendrobium, adattamento alla
autofecondazione. – Cattleya, semplice modo di fecondazione. – Epidendrum Epidendri
autogamici
CAPITOLO VI. – Vandeæ.
Struttura della colonnetta e delle masse polliniche. – Importanza della elasticità dello stilo; suoi
movimenti. – Elastici e robustezza dei picciuoli.Calanthe, con stigmi laterali, modo di
fecondazione.Angræcum sesquipedale, lunghezza notevole del nettario – Specie in cui
l’ingresso nella cavità stimmatica è considerevolmente contratto, così che le masse polliniche vi
possono a stento essere introdotte.Coryanthes, modo singolare della fecondazione
CAPITOLO VII. – Vandeæ (Continuazione). – Catasetidæ.
Cataseti, le più meravigliose di tutte le Orchidee. – Il meccanismo da cui i pollinii di Catasetum
sono lanciati a distanza e trasportati dagli insetti. – Sensibili delle corna del rostello.
Considerevoli differenze fra le forme maschili, femminili ed ermafrodite del Catasetum
tridentatum. – Mormodes ignea, mirabile struttura dei fiori; ejezione dei pollinii. Mormodes
luxata. – Cycnoches ventricosum, processo della fecondazione
CAPITOLO VIII. – Cypripedieæ. – Omologie dei fiori delle Orchidee.
Cypripedium, differisce notevolmente da tutte le altre orchidee. – Labello a forma di pantofola con
due piccole aperture per le quali possono sfuggire gli insetti. – Modo della fecondazione
coll’intervento di piccole api del genere Andrena. Omologia delle diverse parti dei fiori delle
orchidee. – Profonda modificazione da esse subita
CAPITOLO IX. – Graduale sviluppo degli organi, ecc. – Conclusione.
Passaggi degli organi, del rostello, delle masse polliniche. – Formazione del picciuolo o
caudicola. – Affinità genealogiche. – Secrezione del nettare. – Meccanismo del
movimento dei pollinii. – Utilità dei petali. – Produzione dei semi. – Importanza delle
minime particolarità di struttura. – Causa delle grandi differenze di struttura dei fiori
delle orchidee. – Causa della perfezione degli apparecchi. – Ricapitolazione sull’attività
degli insetti. – La natura aborre di una autofecondazione continuata per lungo tempo
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