s'abborrisca. Se il dolore è meno del piacere, sarà un bene, ma tronco e dimezzato. Questo
cammina così riguardo a' piaceri di questa vita assolutamente considerata, come se insieme
coll'altra eterna si rimira. È a noi (grazie alla Provvidenza) manifesto, che dopo questa viveremo
un'altra vita, i piaceri o i dolori della quale colle operazioni della presente sono strettamente
congiunti. Or dunque, non mutando da quel che ho detto, i piaceri di questa vita, che a que' dell'altra
non nuocono, sono veri e perfetti, ma que' che in quella vita produrranno pena (essendo la disparità
fra i piaceri e le pene dell'una vita e dell'altra infinita), sia pur grande quanto si voglia il gusto di qua,
e piccolo il male di là, sempre saranno mentiti piaceri e bugiardi. Se questa dichiarazione, che pur
molte righe non occupa, si facesse da ognuno, l'antichissimo litigio che è fra gli epicurei e gli stoici,
fra la voluttà e la virtù, non si sarebbe udito, e o avrebbero avuto torto gli stoici, o si saria conosciuto
che solo nelle parole insensatamente si disputava. Ritorno onde partii. Utile è quello che un vero
piacere ci produce, cioè appaga lo stimolo d'una passione. Or le nostre passioni non sono già
solamente il desiderio di mangiare, di bere, di dormire: sono queste solamente le prime, soddisfatte
le quali altre egualmente forti ne sorgono: perché l'uomo è così costituito, che appena acquetato
che egli lha un desio, un altro ne spunta, che sempre con forza eguale al primo lo stimola; e così
perpetuamente è tenuto in movimento, né mai giunge a potersi intieramente soddisfare. Perciò è
falso che le sole cose utili siano quelle che a' primi bisogni della vita si richieggono, né fra quel che
ci bisogna, e quel che no, si può trovare il limite ed i confini; essendo verissimo che, subito che si
cessa d'aver bisogno d'una cosa ottenendola, si comincia ad averne d'un'altra desiderandola.
Ma fra tutte le passioni che appariscono nell'animo umano, quando sono soddisfatte quelle le quali
cogli animali ci sono comuni, e che alla conservazione dell'individuo e delle specie sono
determinate, niuna ne è più veemente e forte a muover l'uomo quanto il desio di distinguersi, e
d'essere superiore fra gli altri. Questa essendo primogenita dell'amor proprio, quanto è a dire del
principio d'azione che è in noi, supera ogni altra passione, e fa che quelle cose che a soddisfarla
giovano, hanno il massimo valore, sottoponendosi all'acquisto loro ogni altro piacere, e spesso la
sicurezza della vita istessa. Se giustamente operino così pensando e regolandosi gli uomini, lo
giudichi ognuno: certo è però che non con ragion maggiore comprano gli uomini il vitto quando non
ne hanno, che un titolo di nobiltà quando di vitto son provveduti: perché se è misera ed infelice la
vita quando siam digiuni, infelice è del pari quando non siamo stimati, né riguardati; e talora è tanto
maggiore questa infelicità, che più tosto ci disponiamo a morire, o a porci in evidente rischio di
perder la vita, che senza il rispetto altrui infelicemente vivere. Qual cosa adunque più giusta che il
proccurarsi, anche con grande e lungo stento e fatica, una cosa che grandemente è utile, perché
molti e grandi piaceri produce? Che se si deride questo sentir piacere della stima e riverenza altrui,
è ciò un biasimare la nostra natura, che tale disposizione d'animo ci ha data, non noi, che senza
potercela togliere l'abbiamo avuta; e di cui come della fame, della sete e del sonno, né dobbiamo,
né possiamo render conto o ragione ad alcuno. Che se certi filosofi hanno mostrato disprezzo per
questa stima altrui, e le ricchezze e le dignità hanno calpestate; se essi dicono ciò aver fatto perché
loro non dava piacere la venerazione degli altri, ne mentono: perché non da altro principio a così
parlare e dimostrare essi si sono mossi, che per la sicurezza in cui erano di dovere esser, così
dimostrando di credere e operare, altamente applauditi dal popolo e commendati.
Sicché quelle cose che ci conciliano rispetto, sono meritamente nel massimo valore. Tali sono le
dignità, i titoli, gli onori, la nobiltà, il comando, che nel numero delle cose incorporee per lo più sono.
Seguono immediatamente dietro alcuni corpi, che per la loro bellezza sono stati in ogni tempo
graditi e ricercati dagli uomini; e coloro che hanno avuto in sorte il possedergli e l'ornarsene la
persona, ne sono stati stimati ed invidiati. Sono queste le gemme, le pietre rare, alcune pelli, i
metalli più belli, cioè l'oro e l'argento, e qualche opera dell'arte che molto lavoro e bellezza in sé
contenga. Per una certa maniera di pensare di tutti gli uomini, che portano rispetto all'esteriore
adobbamento delle persone, sono questi corpi divenuti atti a dare altrui quella superiorità, che come
io dissi è il fonte del più sensibile piacere. Quindi il loro valore meritamente è grande; essendo pur
troppo vero che i re istessi debbono la più gran parte della venerazione de' sudditi a quell'esteriore
apparato che sempre gli circonda; spogliati dal quale, ancorché conservassero le medesime doti
dell'animo e potestà che prima avevano, hanno conosciuto che la riverenza verso di loro si è
grandemente scemata: e perciò queUe potestà, che hanno meno vera forza ed autorità, cercano
con più attenzione di pompa esteriore regolare l'idee degli uomini, fra i quali l'augusto ed il
magnifico spesse volte altro non è che un certo niente ingrandito, che formalità si chiama, con voce
dalle scuole tratta, ed assai acconciamente adattata, intendendosi per essa id quod non est, neque
nihil, neque aliquid.