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Della Giovane Italia
Mazzini, Giuseppe
TITOLO: Della Giovane Italia
AUTORE: Mazzini, Giuseppe
TRADUTTORE:
CURATORE: Della Peruta, Franco
NOTE: Il testo è pubblicato in collaborazione con
la Associazione Mazziniana Italiana
(http://www.associazionemazziniana.it/) che
ringraziamo per aver concesso la pubblicazione
nell'ambito del Progetto Manuzio
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/
TRATTO DA: "Scritti Politici",
di Giuseppe Mazzini;
a cura di Franco Della Peruta;
Classici Ricciardi, 30;
Einaudi Editore;
Torino, 1976
CODICE ISBN: informazione non disponibile
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 22 luglio 2006
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
Alessio Sfienti, http://www.associazionemazziniana.it/
REVISIONE:
Claudio Paganelli, [email protected]
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GIUSEPPE MAZZINI
DELLA
GIOVINE ITALIA
AMI BOOKS
2004
ATTENZIONE Il presente e-book è di libera fruizione purché non sia utilizzato a scopi
commerciali o su siti a pagamento, venga mantenuto inalterato in ogni sua parte e sia citato
l'autore.
La distribuzione ufficiale del presente e-book avviene tramite il sito:
http://www.associazionemazziniana.it/
Qualsiasi altro utilizzo diverso da quanto espresso verrà perseguito a termine di legge.
Text Copyright (c) 2004 Associazione Mazziniana Italiana
Segreteria Amministrativa
Via Don Giovanni verità, 23
47015 Modigliana (FC)
eBook Copyright (c) 2004
http://www.associazionemazziniana.it/
Edizione elettronica realizzata da
Alessio Sfienti
Les jeunes gens de vingt à trente-cinq
ans ont grandi dans la révolution...
Eux seuls sont notre espérance.(1)
VICTOR COUSIN
Le parole di Cousin, poste in fronte all'articolo, racchiudevano, parmi, un alto senso politico, e
compendiavano in certo modo la scienza del moto sociale nel secolo XIX. Egli le proferiva
parlando allo Zschokke, e Zschokke, canuto, ma d'anima giovine e repubblicana, le raccoglieva con
amore, e le registrava in fronte a un suo libro, intravvedendovi una profezia di vittoria e di civiltà.
Quando Cousin parlava quelle parole, la Francia era schiava a un dipresso, com'oggi noi siamo. I
miracoli repubblicani tornati in nulla, le corruttele de' governi nulli, intermedi fra la Convenzione e
Bonaparte, la servilità dell'Impero, che trasparivano attraverso il manto di gloria steso dal genio
dell'uomo del destino, poi la tirannide del ristoramento, le brighe sacerdotali e gesuitiche, le
delusioni, e la cortigianeria prevalente aveano diffuso un sonno sulle menti degli uomini dell'89,
una pace stanca, un silenzio di rovina, che vietava ogni speranza di meglio. Le forze della
generazione nata fra i due secoli XVIII e XIX, s'erano consumate ne' quaranta anni di guerra
ostinata e di sacrifici, spesi a ricadere nel fango d'onde avea voluto levarsi. Gli uomini che aveano
veduto il primo e l'ultimo giorno d'una rivoluzione destinata a mutare le sorti europee, disperavano
del progresso. Tante credenze s'erano accumulate in quello spazio di tempo, e tante volte la
prepotenza de' fatti le avea soffocate, che gli animi erano giunti a rinnegare ogni fede, e gl'intelletti
giacevano sconfortati, avviliti, sfiduciati dell'avvenire. Le teoriche filosofiche, perduta ogni attività
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d'esame, ogni eccitamento di contrasto, dormivano nel materialismo delsecolo XVIII, e confinavano
l'uomo nell'esercizio delle facoltà individuali. Letteratura non v'era, tranne nelle accademie, vendute
al potere, qualunque si fosse, e inerti, per natura d'ogni collegio privilegiato. Era quel momento di
riposo che segna l'ultimo moto d'una razza la cui missione è compiuta, e il primo d'un'altra che
raccoglie le proprie forze a incominciare lo sviluppo di quella che ogni nuovo secolo affida a' suoi
figli.
Il secolo XIX sentiva la propria missione. I fatti accumulati dal secolo passato erano troppi, perché
le conseguenze potessero cancellarsi con un trattato. L'elemento giovane fermentava tacitamente.
Troppo debole ancora per combattere a visiera levata la tirannide politica ne' suoi dominii, s'agitava
intorno al vecchio edificio sociale novamente puntellato, avvezzandosi a guardarlo, a misurarlo
senza paura e venerazione, studiandone il lato più fragile, logorandolo, poiché al centro non poteva,
per ogni dove all'intorno. Mancava la unione, mancava la concordia in alcuni principii fondamentali
allo sviluppo de' quali si concentrassero gli sforzi individuali; mancava un simbolo alla religione
che cominciava a farsi via tra le rovine d'un culto perduto, che i re tentavano rinvigorire col terrore
delle baionette; ma lo studio, non foss'altro, che gl'ingegni nati col secolo ponevano nelle diverse
molle sociali, la tendenza che spingeva le menti alle scienze storico-filosofiche, l'affetto che viveva
nelle grandi memorie protestavano contro agli inetti, che negavano il progresso, o s'attentavano
d'arrestarlo. Allora sorsero alcuni uomini, potenti d'intelletto e di dottrina, che avevano desunta
dalle pagine di Vico e d'altri la teorica d'un perfezionamento progressivo indefinito, e si
consecrarono apostoli del rinnovamento morale. Rinnegarono l'autorità, rinnegarono quanto
d'esclusivo si racchiudeva ne' mille sistemi, creazione e pascolo dello spirito umano. Guardarono
con occhio d'aquila le linee storiche del passato, risuscitarono la idea spirituale, eressero un altare
alla civiltà nel santuario della coscienza, e chiamarono la giovine Francia a sagrificare su
quell'altare, salutandola speranza della patria, potente, rigeneratrice. La giovine Francia rispose a
quel grido: la giovine Francia, ardita, impaziente, fiduciosa, e spronata dall'entusiasmo, non aveva
raccolto del passato che i sommi principii, risultati de' fatti, senza aver subìta l'iniziazione spesso
funesta de' fatti stessi, e si slanciò dietro a quella bandiera. Tentò quante vie s'affacciavano: assunse
a tempo quante forme si offrivano interpreti del pensiero generoso. Fu romantica, ecclettica,
protestante. Si arrestò, appassionandosi, intorno al medio evo, sulle teoriche trascendentali, nelle
incertezze del misticismo. Ma sempre, attraverso tutte le fasi, sotto le varie gradazioni che
avviavano l'intelletto alla verità , nelle lettere, nell'arti, nella filosofia, traspariva la coscienza d'una
forza indipendente da' vincoli materiali, traspariva lo spirito di libertà, solo eterno, solo onnipotente
a mutare in meglio le condizioni civili; ma dietro a quella gioventù desiosa, insisteva una voce che
gridava: innanzi! innanzi! - Protestantismo, Romanticismo, Ecclettismo erano tendenze di
transizione: preludi ne' quali l'intelletto sviluppava, esercitava le proprie forze, prima
d'intraprendere dirittamente la via del rinnovamento. Bensì, quei primi che il caso avea cacciati a
condottieri di tanta intrapresa, avevano forze ineguali all'ufficio. Più eloquenti che logici, più vasti
che profondi nelle loro osservazioni, più ambiziosi forse che caldi veramente della fiamma santa
che crea il genio protettore delle razze umane, avevano intravveduto un istante la missione del
secolo, e s'erano smarriti davanti alla sua grandezza. Come Pietro Eremita, aveano sollevato lo
stendardo d'una crociata senza ammetterne, senza intenderne le inevitabili conseguenze.
Tentennavano fra diversi sistemi, malcontenti di tutto, non rifiutandone alcuno, senz'ardire per
distruggerli, senza fede o potenza per crearne un nuovo. Rivelati alcuni principii, procedevano
paurosi nelle applicazioni, titubavano nello sviluppo delle proposizioni che aveano prefisse a' loro
libri, a' loro insegnamenti, a' loro giornali. Volevano insomma rovinare il passato, ma senza creare
l'avvenire, senza accettare l'eredità de' padri, senza sacrificarsi per essa. -
Ma la eredità de' padri era tale, e santa di tanta solennità di sventura, che i figli non potevano
rinunziarvi per amor de' maestri. Per venti anni d'eroismo e di sacrificio non v'è fiume d'obblio, e la
gioventù ridestata una volta, trascorse oltre ai confini che le segnavano. I padri aveano predicata
una fede, i padri l'aveano suggellata col sangue; ma, come il secondo Gracco, aveano cacciata una
stilla di quel sangue verso il Cielo, sclamando: frutti il vendicatore! - Quel sangue ardeva nelle vene
de' figli, e la fede de' padri s'affacciava ad essi raggiante, pura, più cara, perché incoronata dalla
palma del martirio, bella di speranze e d'un'intera promessa. La rivoluzione dell'89 avea mostrata in
compendio tutta la carriera di riforma che dovea corrersi. Una generazione l'avea divorata coll'ansia
di chi scopre una nuova terra, a balzi, a slanci, senz'arrestarsi. I primi intraprenditori delle
rivoluzioni sono vittime consecrate, e si muojono; ma i principii non muojono, e le generazioni che
tengono dietro s'assumono d'educarli, di svolgerli, di trarre da' primi contorni un quadro immortale,
di ricorrere più lentamente, ma più stabilmente la via che i primi hanno segnata. La grande
rivoluzione sociale, della quale la rivoluzione francese avea dato il programma, incominciava
appena, quand'altri s'illudeva d'averla spenta. E la gioventù, fatta accorta della propria potenza,
accettò la missione: si strinse, si raggruppò, stette attenta, vegliando il momento che dovea sorgere
nello spazio. Il momento sorse, la gioventù lo afferrò. Il cannone dell'Hôtel de Ville tuonò la
chiamata. La gioventù si levò come un sol uomo: la gioventù vinse. Cortigiani, baionette, trono,
tutto rovinò davanti all'impeto d'un principio. Il sole del 27 avea diffusa la luce sovra ogni cosa: il
sole del 29 non salutò che una bandiera: - la bandiera del secolo. Gli uomini, che alcuni anni
addietro avevano comunicato l'impulso, senz'antivederne gli effetti, s'erano ritratti atterriti; poi,
quando la gioventù riposò dalla sua creazione, si cacciarono addosso al cadavere d'una monarchia,
usurparono la gloria d'averla morta, e giudicarono l'ossa de' sette mila essere convenevole base al
sistema ch'essi aveano predicato utilmente, viva e prepotente la tirannide. Ora, parlano tuttavia di
progresso, - e vorrebbero che s'arrestasse dov'essi s'arrestano: magnificano le glorie del Luglio, - e
vorrebbero che una nazione non si fosse levata se non a mutare un nome nella sua storia: protestano
del loro amore alla libertà, - e l'hanno rivestita d'un manto d'infamia, - l'hanno cacciata ludibrio a'
re, sospetto mortale ai popoli. Due secoli, il XVIII e il XIX, li rinnegano: come que' codardi che
Dante pone alla porta del suo Inferno, si stanno tra l'infamia e l'obblio: l'obblio per la loro
eloquenza che prima eccitava i giovani, oggi s'è prostituita al potere: - per la loro letteratura, campo
di prova agli ingegni, ov'essi vorrebbero confinare per sempre l'anelito al moto perenne, che affatica
lo spirito umano; - pel loro ecclettismo, sistema di transizione, che intendono perpetuare: la infamia
per la gretta e fredda politica individuale, alla quale hanno sacrificate le grandi speranze sociali
suscitate per essi - pel sangue de' popoli che hanno pattuito coi re a mendicare una pace che non
otterranno - pel loro trovato del giusto medio, ecclettismo politico, senza passato, senz'avvenire,
senza logica, senza sviluppo, sistema paralitico, che non s'attenta rifiutare i principii rigeneratori,
ma s'industria a strozzarli in fasce. E sia così, poi che vogliono! - Il secolo gli avea circondati
dell'affetto giovenile e del plauso: poi tentarono sostituirsi al secolo, e il secolo gli affogherà. - Chi
può cacciare un principio, e voler che non frutti? - Chi può dar moto all'intelletto, e gridargli:
arrestati dov'io m'arresto? -
In Italia, siccome in Francia, la tirannide tanto più esosa, quanto più impudente, produsse il suo
effetto di reazione, e l'anime inferocirono nell'odio, crebbero smaniose d'indipendenza. - In Italia
prima che in Francia, gl'ingegni intolleranti di freno versarono nella scienza la idea di progresso che
non potevano applicare agli ordini civili, e levarono il grido di libertà del pensiero nel campo delle
lettere. - In Italia, siccome in Francia, gli uomini che cacciarono i primi semi di libertà furono
oltrepassati da chi venne dopo, però che la sventura è maestra più potente d'ogni teorica, e ogni
anno, ogni evento, ogni tentativo fecondò la Italia di nuova rabbia, di sangue e d'insegnamenti. Ed
oggi, gli uni contendono per la eccellenza de' metodi, che predominarono soli, e fruttarono negli
anni addietro: gli altri, cresciuti col secolo, predicano la parola del secolo, e si assumono di esserne
interpreti. Bensì la differenza sta in questo, che in Francia gli uomini ch'or vorrebbero arrestare il
moto, addottrinarono la crescente generazione, e i loro sforzi furono talvolta coronati dalla vittoria:
in Italia, le circostanze, avverse sempre e prepotentemente fin'ora, vietarono a ogni uomo di
convalidare il proprio sistema coll'autorità del trionfo, e gl'Italiani non raccolsero ammaestramento
a fare che dai rovesci, e da quel tanto di sviluppo che i fatti continui impongono all'intelletto. - Però,
ogni questione s'agita fra due opinioni, nessuna delle quali ha generato finora risultati positivi. Noi
siamo schiavi: per quali mezzi si riacquista da schiavi la libertà? - e stabile? - ed efficace? Quali
principii hanno a reggere i tentativi? - Gli antichi, recentemente praticati, fallirono. Fu legge di
cose, necessità di tempi, o vizio inerente al sistema, che mutati gli elementi, dovea mutarsi? Forse
fu la prima cagione; non pare a ogni modo che a favorir que' sistemi giovi il mal'esito. La tendenza
del secolo ne predica altri; e le tendenze non nascono a caso, non prevalgono per capriccio di pochi:
emergono da' bisogni, trionfano col voto dei più.
A noi, dovendo spesso nelle pagine della Giovine Italia occorrere di combattere il sistema che i
casi, - e non le nostre parole, - dimostrano ogni dì più sistema vecchio e impotente a rigenerare una
nazione caduta in fondo, corre obbligo, corre necessità di spiegarci una volta per tutte sulle nostre
intenzioni a riguardo d'un partito politico, che rappresenta cotesto sistema, e che pur numera, - forse
a torto - ne' suoi ranghi molti uomini puri, incorrotti e deliberati nemici d'ogni tirannide, a' quali la
Italia, comunque spinta dalla forza delle cose per altre vie, serberà gran tempo venerazione e affetto
di gratitudine. Le denominazioni di Giovine Italia e d'uomini del passato increscono a primo tratto a
que' molti che non s'addentrano nelle cose. La mediocrità è sospettosa, e intravvede offese per ogni
dove. Gli uomini che invecchiarono in un sistema d'idee, che hanno combattuto e sofferto per esso,
mutano difficilmente. La educazione politica non si rifà, se non ne' pochissimi creati a camminare
fino alle esequie cogli anni, immedesimati col moto progressivo della civiltà; e l'affetto che si
genera dall'abitudine è potente quant'altro mai: d'altra parte la gioventù, fervida, impaziente
s'affaccia briosa alla vita dell'avvenire, si sente fremere dentro potente il concetto d'emancipazione,
e rompe guerra al passato: nol guarda, o se il fa, guarda dispettosa, o sprezzando. Quindi l'ire
aspreggiate dalla sventura. Quindi le accuse reciproche, e ciò che spesso è colpa di fatti attribuito
all'una o all'altra opinione. Da siffatte guerre non esce che danno alla patria. E però vogliamo
interpretare que' termini, che potrebbero prestare alimento a gare funeste: vogliamo snudare tutta
intera l'anima nostra, perch'altri non vi sospetti un pensiero che ogni Italiano rifiuta. È duro dover
discendere a spiegazione di ciò che tutti dovrebbero intendere: è duro l'esser tratto a scolparsi di
taccie che tra noi nessuno avrebbe sognato. Bensì, la unione anzi tutto - e v'hanno tali materie, nelle
quali giova rimovere anche il nudo sospetto.
Noi lo dichiariamo solennemente: - Per Giovine Italia noi non intendiamo che un SISTEMA, voluto
dal secolo: quando noi combattiamo la vecchia, noi non intendiamo combattere che un SISTEMA,
rifiutato dal secolo! Le denominazioni giovine e vecchia Italia non sono nostre; e perché vorremmo
noi gravarci l'anima d'un rimorso, creando una divisione, dove i fatti non ci sforzassero a
riconoscerla, dove il progresso inerente alle umane cose non ci soggiogasse col mostrarcela
inevitabile? Abbiamo dieci secoli d'oltraggi a vendicare: abbiamo a distruggere un servaggio di
cinque secoli. I padri, i padri de' padri e gli avi remoti ebbero tutti la loro parte in quell'oltraggio:
tutti hanno bevuto a quel calice che Dio serbava all'Italia, e del quale la fortuna assegnava a noi
l'ultime goccie - e le più amare forse. E noi gemiamo per tutti, fremiamo per tutti; e se a rigenerare
una terra guasta da cinquecento anni di servitù muta bastasse levarsi e combattere, gli uomini del
passato, quanti insorsero e morirono per la patria da Crescenzio fino al Menotti, sarebbero nostri
fratelli alla pugna, dove alcuno potesse evocarli dalla loro polvere. - Ma il sangue solo santifica,
non rigenera una nazione. Stanno contro di noi non le sole baionette straniere, ma le discordie
cittadine inveterate per lunga memoria di stragi, rieccitate sordamente dalla tirannide,
artificiosamente ineguale e corrompitrice: stanno i vizi che si generano nelle catene, e la
intolleranza di freno, ottimo elemento per distruggere, pessimo per fondare, e più ch'altro sta la
mancanza di fede: di quella fede che sola crea le forti anime e le grandi imprese, di quella fede che
sorride tranquilla nel sagrificio, perché trae seco sul palco, o nel campo la promessa della vittoria
nell'avvenire. Queste cagioni di servitù durano tuttavia prepotenti, e a superarle conviene giovarsi di
quanti elementi, di quante forze fermentano tacitamente in Italia, ridurle a centro, calcolarle colla
maggiore esattezza - e ogni anno le modifica, le tramuta, le aumenta - poi mormorare ad esse la
parola di fede, spirarvi dentro l'alito d'una vita potente, animarle di quello spirito che dagli elementi
inerti crea il moto d'un mondo, e vi stampa sopra l'orma di Dio. Ma il segreto del secolo sta nelle
mani dei nati col secolo - né il linguaggio che suscita le passioni, e le dirige a grandi cose, e insegna
a santificarle consecrandole coll'altezza d'un intento sociale, si rivela ad altri che a coloro i quali
hanno sorbito col primo alito le passioni del secolo, e l'ansia di moto che affatica l'anime de' fratelli.
Or, perché illuderci, quando ogni illusione frutta rovine? - e che giovamento può nascere dal
rinnegare la nostra potenza e dissimularci la missione d'intelletto che la natura ci assegnava,
cacciando la nostra culla alla sorgente delle rivoluzioni, per paura che l'ossa de' padri s'agitino
irrequiete ne' loro sepolcri, irate ai figli perché intraprendono franchi e deliberati la via ch'essi
calcarono incerti e timidamente? - Oh! da que' grandi ch'ora dormono l'ultimo sonno, non viene
fremito a noi se non d'incoraggiamento e di conforto ad osare: - da que' sepolcri non esce voce che
non esclami: - "siate migliori di noi! siate grandi, come la vostra sciagura, come l'epoca nella quale
vivete: grandi nell'atto come noi nel pensiero! Noi fummo a tempi ne' quali il solo concetto di
rigenerazione era un trionfo sulla tirannide; la rivoluzione sociale era un'alba, e noi, avvezzi alle
tenebre, non potevamo misurare la luce del giorno venturo, né oprare risolutamente animosi,
quando fiacchi e forti, tranne pochissimi, stavano contro di noi, e la esperienza era muta. Ma voi
nasceste ne' moti, e v'allevaste tra i moti: ammaestratevi nelle nostre disavventure: abbiate le nostre
virtù, ma rinnegate i nostri errori". -
Le denominazioni Giovine e vecchia Italia non sono nostre: noi non le abbiamo create: le ha create
una tal potenza, contro la quale non valgono né ciance d'uomini, che sentono sfuggirsi di mano una
influenza già consumata da' fatti, né rancori e sospetti d'inetti maligni, che vorrebbero occupare il
secolo delle loro meschine ambizioni e della loro vita incognita al mondo. È la potenza de' fatti: - la
potenza che mutava alcuni anni addietro nella Germania il Tugenbund (fratellanza della virtù) in
Jungenbund (fratellanza di gioventù): - la potenza che concentrava in Polonia, poco tempo avanti la
rivoluzione, le molte società patriottiche nella grande associazione della gioventù, condotta da
Lelewel: - la potenza, che commettendo alla giovine Francia l'impresa di luglio e i fati Europei,
strappava di bocca a Cousin le parole che noi ponemmo in capo allo scritto - e Cousin, eccitatore un
tempo della gioventù francese, è pure in oggi un di que' tanti che s'industriano a distruggere l'opera
loro, tentando confinare nel cerchio angusto d'una dottrina immutabile e inapplicata gli uomini del
progresso; ma la verità vuole il suo dritto, e si fa via tra' sistemi. La verità si rivela continua e
progressiva attraverso gli eventi; e se gli eventi ci sono propizi d'ispirazioni politiche: - se il secolo
ci suggerisce una nuova via di successo, perché rifiuteremo noi di seguirla? perché diremo al
secolo: tu se' diseredato di mente: trascorri inutile alla umanità? -
Bensì, dalla nostra credenza non esce spregio o biasimo assoluto alle vecchie credenze politiche, né,
perché abbiamo opinione che le cose nuove debbano trattarsi con metodi nuovi, gittiamo l'anatema
dell'ingrato alle teoriche applicate sin'ora. Quelle teoriche sono storia, e come storia le veneriamo:
come storia vi leggiamo dentro una manifestazione del principio adattata a' tempi e alle circostanze.
Soltanto in oggi le vicende, le sciagure e gl'insegnamenti de' fatti hanno svolti nuovi elementi,
hanno messa in luce chiarissima l'idea, che prima giaceva oscura ne' simboli. Allora conveniva
accennare il principio; ora ci par giunta l'epoca d'una manifestazione solenne. - Ogni cosa ha il suo
tempo: ogni sistema ha la propria necessità d'esistenza nella condizione morale dell'epoca. Chi
schernisce, o maledice al passato, è stolto, o maligno: egli dimentica come dai vagiti e da' modi
informi e plebei di Guittone Aretino esciva la bella lingua dell'Alighieri, di Petrarca e Boccaccio; né
senza quei primi e timidi tentativi politici, non parleremmo in oggi queste parole. - Ma noi non
malediciamo al passato, se non quando c'incontriamo in uomini i quali s'ostinano a farne presente, e
quel ch'è peggio, avvenire. Le rivoluzioni son tali fatti che non si compiono in un istante o con un
solo sistema, perché non v'è momento nello spazio, o sistema nella mente umana, che valga a
raccogliere, a concentrare in una unità potente d'azione tutti quanti gli elementi che mutano faccia
agli stati. I sistemi politici non sono per noi che i risultati degli elementi d'azione che stanno a un
dato tempo in un popolo, calcolati e ordinati pel meglio. Se ogni popolo potesse rassegnarsi ad
attendere in pace il momento nel quale l'elemento morale rivoluzionario equabilmente diffuso e
coordinato fosse giunto a tale un grado di potenza che assorbisse l'elemento materiale, le rivoluzioni
non avrebbero che un sistema. - Ma la natura non ha voluto che dalla morte nascesse a un tratto la
vita, e la rigenerazione d'un popolo non balza fuori nella sfera de' fatti, potente e compiuta, come
Minerva dal capo di Giove. La natura non ha voluto che le rivoluzioni si operassero senza lunghe
fatiche, forse perché i popoli imparassero a gradi e attraverso le delusioni il prezzo della libertà; né
una nazione cresce grande davvero, se non è consecrata all'eternità della missione sociale nel
sacramento del dolore. E d'altra parte, la tirannide soverchiante, e inquieta per coscienza d'infamia,
non concede che la guerra fra gli elementi del progresso e la inerzia si consumi sordamente e
mutamente nella società, e l'urto non si manifesti che quando il trionfo è sicuro; ma inferocita nei
sospetti e nei terrori che l'affaticano, caccia nell'arena, come un guanto a' popoli, qualche testa di
prode - e i forti di sdegno e d'audacia titanica traggono anzi tempo le moltitudini incerte al giudicio
di Dio. Quindi le vittorie brevi, e le dubbie vicende, e gli errori. E dalle dubbie vicende e dai molti
errori hanno vita, incremento e perfezione i sistemi. -
E v'è un periodo nella vita de' popoli, come in quella degli individui, nel quale le nazioni
s'affacciano alla libertà, come l'anime giovani all'amore: per istinto - per bisogno indefinito, e
segreto - perché la natura creando l'uomo gli scrisse nel petto: libertà e amore! - ma senza
conoscenza intima della cosa bramata, senza studio de' mezzi, senza determinazione irrevocabile di
volontà, senza fede. Allora la libertà è passione di pochi privilegiati a sentire e soffrire per tutta una
generazione, a spiare il progresso e il voto de' popoli, a intendere il gemito segreto che va dalle
moltitudini al trono di Dio - a vivere profeti e morire martiri; per gli altri è desiderio, sospiro,
pensiero, e null'altro. Allora le rivoluzioni si tentano artificialmente colle congiure: gli uomini liberi
si raccolgono a metodi d'intelligenza misteriosa: s'ordinano a fratellanze segrete: costituiscono setta
educatrice, e procedono tortuosi. Però che le moltitudini durano inerti, e i più vivono astiosi al
presente, ma spensierati dell'avvenire - e se taluno rompe guerra al tempo, e tenta rivelarlo a'
milioni, i milioni lo ammirano onesto, ma lo scherniscono sognatore di belle utopie. Il sacrificio
solenne è venerato anche allora, perché nel core degli uomini v'è un istinto di verità che mormora:
quel sangue è sparso per voi: quelle vittime si stanno espiatrici delle vostre colpe; que' martiri
equilibrano a poco a poco la bilancia tra le creature ed il creatore. È venerato, perché v'è un sublime
nel sagrificio, che sforza i nati di donna a curvare la testa davanti ad esso, e adorare; perché
s'intravvede confusamente che da quel sangue, come dal sangue di un Cristo, escirà un dì o l'altro la
seconda vita, la vita vera d'un popolo - ma la venerazione si consuma sterile e solitaria, nel
profondo del core, nel gemito dell'impotenza: non crea imitatori: non risplende maestosa e fidente
intorno al simbolo della nuova fede, ma soggiorna paurosa nelle iniziazioni d'un culto proscritto e
piange d'un pianto che non ha conforto neppur di fremito. - La condizione de' tempi impone allora
doveri particolari ai pochi che s'assumono l'opera rigeneratrice. Allora il voler sanare gli estremi
mali cogli estremi rimedi è più follia che virtù; perché dove il male è inviscerato nella società, e ti
preme d'ogni lato predominante, o tenti struggerlo alla radice, e cadi tra via deriso da' tristi, o fai
guerra ineguale a' rami, e tu sei gridato tiranno da' buoni. - Allora l'ostinarsi a fondar la vittoria su
forze proprie e sui miracoli del valor nazionale frutta disinganno amaro e talora pure rimorso,
perché le nazioni si rigenerano colla virtù o colla morte; ma dove non è virtù di sacrificio, né furore
di gloria, dove nei cuori non vive un'eco alle grandi passioni, i vasti concetti falliti e le molte
vittime infondono la inerzia, non il coraggio della disperazione. Quindi la moderazione
nell'applicazione de' principii più scaltrezza che inconseguenza. Quindi la speranza e l'aiuto
accettato dello straniero necessità deplorabile piuttosto che codardia; e l'arti diplomatiche usate a
tempo, pericolose sempre, pure talvolta efficaci a smembrare le forze nemiche. Ad ogni operazione
politica è base prima il calcolo delle proprie forze; e dove queste non reggono, è forza cercarne
altrove, o ristarsi. Siffatti mezzi non danno libertà mai alle nazioni, bensì conquistano anime alla
santa causa, e insegnano a intendere la libertà, ed amarla dolce, tollerante, incontaminata. - Poi le
vicende ammaestrano a conseguirla.
Ma poi che il pensiero concentrato ne' pochi s'è diffuso alle moltitudini, e la libertà è fatta sorella
dell'anime, - quando il voto segreto s'è convertito in anelito irrefrenabile, e la speranza in fede, il
gemito in fremito - quando il sangue delle migliaia grida vendetta agli uomini e a Dio, ed ogni
famiglia conta un martire, o un iniziato alla religione del martirio - quando le madri non hanno più
sonni, l'amplesso delle mogli ha il tremore e il presagio della separazione, e un pensiero di rancore,
un pensiero di cupa vendetta solca le fronti de' giovani nati all'amore, e al sorriso spensierato degli
anni vergini sottentrano anzi tempo le cure e le gravi apparenze dell'ultima età - allora - l'ora di
risurrezione è suonata. Guai a chi non si assume tutto il dolore, tutto il dritto di vendetta solenne,
che spetta ai suoi fratelli di patria! - Guai a chi non sente il ministero che le circostanze gli affidano,
e reca le idee mal certe del tentativo nella lotta estrema, decisiva, tremenda! - Allora la tirannide ha
consumato il suo tempo; le transazioni, e i sistemi di transizione diventano passi retrogradi: la
guerra è tant'oltre che tra la distruzione e il trionfo non è via di mezzo, e gli ostacoli che un tempo si
logoravano coll'arti della lentezza vanno atterrati rapidamente. - Allora la iniziazione è compiuta -
alla religione del martirio sottentra la religione della vittoria - la croce modesta e nascosta s'innalza
nell'alto convertita in Labarum: la parola della fede segreta fiammeggia segno di potenza, scritto
sulla bandiera de' forti - e una voce grida: in questo segno voi vincerete!
E allora - la gioventù si leva: raggiante, concorde, serrata a una lega di pensieri e fatti magnanimi,
aspirante un'aura di vittoria, spinta da una forza di progresso e di moto che insiste sovr'essa, che la
purifica in un obblìo d'ogni affetto individuale, che la ingigantisce nella potenza d'un desiderio
sublime. Salute a quella gioventù! - Date il varco alla generazione, che venne col secolo, e
maledetto colui che la guardasse con occhio d'invidia, o gittasse dietro ad essa il motto dello
scherno amaro, però ch'essa ha intesa la voce del passato e quella dell'avvenire, - ha raccolti
gl'insegnamenti dell'esperienza dalla bocca o sulle tombe dei padri, e s'è ispirata al soffio della
civiltà progressiva, all'armonia della umanità, che ogni secolo, ogni anno, ogni giorno rivela
all'anime nuove un arco del proprio orizzonte!
Ora - è il tempo, o non è? Siam noi giunti al punto in cui una nuova rivoluzione politica dia moto
alle menti, e gli antichi sistemi esauriti abbiano a cedere davanti a' nuovi suggeriti dalla esperienza,
voluti dai più, potenti a struggere ed a creare? -
La questione è codesta - e noi, uomini del secolo XIX, la riteniamo decisa.-
Noi stiamo sul limitare d'un'epoca, e non è l'epoca de' sistemi di transizione, che gli uomini delle
rivoluzioni hanno predicato finora. L'epoca dei sistemi di transizione è il gradino che la necessità
impone alle nazioni, perché salgano dal muto servaggio alla libertà. La libertà è troppo santa cosa,
perché l'anima dello schiavo la intenda, e il suo cuore possa farsene santuario, se prima non s'è
riconsecrato alla vita morale nelle lunghe prove e nel lungo dolore. Ma noi l'abbiamo consumata
quest'epoca: quaranta anni di tentativi, il battesimo del pianto e del sangue, e la vicenda europea che
s'è svolta davanti a' nostri occhi, hanno fruttato sapienza ed ardire; e noi siamo d'una terra che ha
dato celerità singolare agli ingegni e un battito più concitato al cuore de' suoi figli.
Noi guardammo all'Europa. Dappertutto è sorto un grido di nuove cose, un appello alle nuove
passioni, una chiamata a' nuovi elementi, che il secolo ha posto in fermento. Dappertutto due
bandiere hanno diviso i combattenti per una medesima causa; e la guerra oggimai non riconosce
altro arbitro che la vittoria, però che gli uni contendono per arrestarsi a' primi sviluppi della idea
rigeneratrice, gli altri per innoltrarsi e spingere i principii alle legittime conseguenze: i primi,
avvalorati dal silenzio delle moltitudini, naturalmente cieche, naturalmente inerti, magnificano il
riposo supremo de' beni, non avvertendo che anche la morte è riposo; i secondi, forti di logica, e di
fede negli umani destini, intimano il moto, come legge, necessità, vita delle nazioni. - La guerra è
implacabile, perché tra il sistema che da noi s'intitola vecchio e la nuova generazione sta, come
pegno d'eterno divorzio, una rivoluzione portentosa ed europea negli effetti, divorata in un giorno
da pochi codardi e venali, ridotta a un mutamento di nome, e non altro - sta l'Associazione
universale costretta a retrocedere d'un passo davanti a delusioni siffatte, che un secolo di strage non
basterebbe a scontarle, se un'ora di libertà non avesse potenza di cancellare il passato. La guerra è
implacabile, però che le sorti di mezza Europa sono strette al successo, e non v'è pace possibile,
poiché l'Europa ha imparato fin dove meni la ostinazione d'un sistema d'inerzia a fronte d'una
volontà irrevocabile. L'Europa ne ha lette le conseguenze al lume degl'incendi di Bristol, e scritte
col sangue de' Lionesi - e noi vorremmo, per la speranza d'una transazione possibile, dissimulare la
verità ai nostri fratelli, rinnegare la bandiera che il secolo ci pone alle mani, contrastare ad un fatto
universale, evidente, che sgorga da' minimi incidenti, da' giornali, da' libri, dai tentativi, da ogni
popolo, da ogni lato? La unione! noi la vogliamo; ma tra buoni, e fondata sul vero: l'altra, che
alcuni, paurosi od inetti, gridano tuttavia, senza insegnare il come si stringa, è unione di cadavere
colla creatura vivente: spegne il lume della vita dov'è, senza infonderlo dov'è morte.
Noi guardammo alla Italia - alla Italia, scopo, anima, conforto de' nostri pensieri, terra prediletta da
Dio, conculcata dagli uomini, due volte regina del mondo, due volte caduta per la infamia dello
straniero, e per colpa de' suoi cittadini, pur bella ancora di tanto nella sua polvere, che il dominio
della fortuna non basta ad agguagliarle l'altre nazioni, e il Genio si volge a richiedere a quella
polvere la parola di vita eterna, e la scintilla che crea l'avvenire. Guardammo con quanta freddezza
d'osservazione può dare un desiderio concentrato, un bisogno di afferrarne l'intima costituzione - e
il cuore ci batteva forte nel petto, perché abbiamo passioni giovani, e l'orgoglio del nome italiano ci
solleva l'anima dentro; - ma noi imponemmo silenzio al cuore, e la vedemmo com'era - vasta, forte,
intelligente, feconda d'elementi di risorgimento, bella di memorie tali da crearne un secondo
universo, popolata d'anime grandi nel sacrifizio e nella vittoria - ma guasta, divisa, diffidente,
ineducata, incerta fra la minaccia delle tirannidi e le lusinghe perfide dei molti, che adulandola
dell'antica grandezza, l'addormentano sicch'ella non ne tenti una nuova - e tutta la forza de' suoi
elementi controbbilanciata, annientata dalla mancanza d'unione e di fede - due virtù, che né dieci
secoli di sventura derivata dalle animosità provinciali, né potenza d'intelletto o fervore di fantasia
hanno potuto ancora far predominanti tra noi - e a fondarle, volersi più che ogni altra cosa l'autorità
d'un principio alto, rigeneratore, universale, applicabile a tutti i rami della civiltà italiana, che li
riformi tutti purificandoli e dirigendoli ad un intento - d'un principio uno e potente a cui si
concentrino tutti i raggi, tutti gli elementi di vita; nella cui fede l'anime si rinverginino, e la
coscienza mormori una destinazione alle masse - perché in oggi manchiamo non di mezzi, ma
d'accordo e di vincolo fra questi: non di materia, ma di moto che la sospinga: non di potenza, ma di
convinzione che noi siamo potenti. Noi vedemmo la Italia, soffermata ai confini del mondo sociale
dall'individualismo, rimanersi tuttavia sottoposta all'influenza del medio-evo. La idea personale, il
sentimento radicato in ogni uomo della propria indipendenza, la ripugnanza a confondere l'unità
singolare nella vasta unità del concetto nazionale, predominavano, elementi ottimi in sé, ma avversi,
quando sono spinti tropp'oltre, al progresso comune. - De' tristi non favelliamo; ma la tendenza
individuale traspariva fin nella passione di libertà, che assumeva ne' migliori aspetto d'odio a' ceppi,
di reazione forzata, di vendetta suscitata dalle lunghe offese. Pochissimi amavano la libertà per
amore, perché fine prefisso all'uomo, perché mezzo unico di progresso sociale. Pochissimi
mostravano coscienza dell'alta missione, che ogni vivente ha dalla natura verso la umanità. È la
coscienza di questa missione che creava giganti Mirabeau, gli uomini della Convenzione,
Bonaparte, Robespierre - e finché la seguirono, furono grandi - e perché mal si scerne il punto in
cui svaniva davanti ad altri moventi, la posterità li griderà grandi. - Ma all'Italia, come noi la
vedemmo, il materialismo, struggendo ogni dignità d'origine e di destino nell'uomo, disseccava la
vita al cuore, o la indifferenza, sperdendo ogni sete di vero, rapiva molte di quell'anime, più
frequenti in Italia che altrove, che vivono e muoiono martiri d'una idea. Quindi la mancanza di fede,
di fede in sé, nel dritto e nell'avvenire, perché l'uomo, confinato dall'individualismo dominatore nel
cerchio ristretto della propria influenza, schiacciato sotto la vastità del concetto, o si rassegna a
vivere schiavo, o si fa libero colla morte sul palco. - E questi vizi, che il lungo servaggio e Roma
imposero alla Italia, stavano contro ad ogni tentativo più tremendi delle baionette tedesche. -
E guardammo al passato a vedere se potesse trarsene il rimedio. - Ma il passato c'insegnava a non
disperare: il passato c'insegnava quante e quali fossero l'arti della tirannide, e le reliquie del
servaggio nell'anime - non altro. La scienza de' padri s'era esercitata intorno ai principii, più che
intorno alle applicazioni. Forse la fiamma di patria e di libertà, che gli ardeva, aveva illuminato ad
essi quanto era vasto l'arringo. Ma le circostanze avevano affogato il concetto; e i tentativi non
avevano assunta né la energia, né la vastità, né l'armonia che si richiedeva a tanta opera. Era
necessaria una unità di principii e d'operazioni - e i moti prorompevano invece parziali, e
provincialmente. Ma senza un moto universale, riescirà impossibile sempre il trionfo: senza la
universalità dell'accordo precedente, il moto non proromperà simultaneo e veramente italiano mai -
e per consumare ad un tratto le invidie e le animosità che vivono tuttora tra le provincie, vuolsi
affratellarle tutte nella fratellanza del tentativo, del pericolo e della vittoria. Era necessario il
diffondere lo spirito riformatore, il bisogno di rinnovamento sovra tutti i rami dell'incivilimento
italiano - e limitavano la riforma a un ramo solo dell'umano intelletto, agli altri contendevano il
progresso - e gli uomini che predicavano libertà politica, e indipendenza dalle vecchie abitudini di
sommissione, bandivano la crociata addosso agli ingegni vogliosi d'emancipazione dalle teoriche
antiche filosofiche e letterarie, rubavano agli Inglesi la bilancia de' poteri e i principii della
monarchia costituzionale, mentre vilipendevano schiavi del nord e traditori della patria quanti
tentavano rivendicarsi negli studi e nelle composizioni quella libertà che non s'era mai perduta nel
settentrione - né badavano alla necessità di educare all'indipendenza intellettuale gli uomini che
volevano trarre al concetto dell'indipendenza politica; però che l'uomo è uno, e l'intelletto non
s'educa a un tempo a due sistemi contrari. La grande rigenerazione alla quale intendevano avea
bisogno d'alimentarsi di sacrificio sublime, di forti esempli, di rinnegamento totale dell'individuo a
pro d'un principio. Conveniva levar l'uomo all'altezza d'una generalità, levarlo a un concetto partito
d'alto tanto che potesse abbracciare tutta quanta la umana natura. Conveniva scrivergli dentro la
tavola de' suoi diritti e de' suoi doveri, dargli la coscienza d'una grande origine, prefiggergli una
missione sociale, e rivelargliela nell'azzurro de' cieli stellati, nella grande armonia del creato,
nell'universo fisico ridotto a simbolo d'un pensiero potente, nelle rovine del passato, nella idea
generatrice delle religioni, nella profezia de' poeti, nel raggio onde il genio solca la terra, ne' moti
inquieti del cuore, perch'egli da tutte le cose imparasse sé essere nato libero, gigante di facoltà e
d'energia, re del mondo e della materia, non sottomesso mai ad altre leggi che alla eterna della
ragione progressiva ed universale. Conveniva purificarne le passioni, animarle d'amore, cacciargli a
fianco l'entusiasmo, ala dell'anima alle belle cose, e davanti a' suoi passi la vergine speranza col suo
sorriso che dura in faccia al martirio - ed essi lo trattenevano nel materialismo, credenza fredda,
scoraggiante ed individuale, rifugio a ogni uomo contro alla prepotenza delle superstizioni e della
tirannide sacerdotale, ma nella quale non può durare senza che gli s'inaridisca il fiore dell'anima: -
lo indugiavano nello sconforto d'una lotta eterna, avvezzandolo a contemplarsi dominato alla cieca
e inesorabilmente dai fatti, mentre bisognava convincerlo che v'era tal forza dentro di lui
indipendente da' fatti, padrona de' fatti, dominatrice dell'istesso destino: - lo angustiavario in una
vicenda alterna d'azione e di reazione, mentr'era d'uopo stampargli in petto una coscienza di
progresso invincibile, e di trionfo. Irridevano le vecchie credenze, né tentavano sostituirne altre
nuove: spegnevano l'entusiasmo, e volevano risvegliarlo con nomi: parlavano di patria alle
moltitudini, e struggevano la fede, patria dell'anime: la fede in una legge superiore di
miglioramento, in un concetto di moto perenne che abbracci e promova tutta la serie de' fenomeni
umani: - la fede che creò la potenza di Roma, la vasta dominazione del Maomettismo, i diciotto
secoli del Cristianesimo, la Convenzione, Sand, e la Grecia risorta: - la fede che ridona la dignità
perduta allo schiavo, e gli grida: Va! va! Iddio lo vuole! Iddio, che t'ha creato a immagine sua, e t'ha
spirata una scintilla della sua onnipotenza! Questo avrebbero dovuto tentare i primi riformatori
d'una nazione caduta in fondo, se i primi potessero far altro che intravvedere un rinnovamento e
morire per esso. Poi, scendendo alle applicazioni, era necessario avere il popolo, suscitare le
moltitudini; a farlo, bisognava convincerlo che i moti si tentavano per esso, pel suo meglio, per la
sua prosperità materiale, perché i popoli ineducati non si movono per nudi vocaboli, ma per una
realtà; e a convincerlo di queste intenzioni, bisognava adoprarlo, parlargli, cacciar nell'arena quel
nome antico e temuto di repubblica, solo forse che parli ai popoli una parola di simpatia, una idea di
utile positivo: - ed essi tremavano del popolo: disperavano - mosso che fosse - di poterlo dirigere, e
lavoravano ad addormentarne il ruggito, o a moverlo, gli esibivano teoriche astruse di poteri
equilibrati, idee metafisiche di lotta ordinata, sicché ne escisse quiete permanente allo Stato, e
costituzioni accattate da altri paesi, provate oggimai inefficaci a durare, e non adattate ai costumi,
alle abitudini, alle passioni. - Le rivoluzioni si preparano colla educazione, si maturano colla
prudenza, si compiono colla energia, e si fanno sante col dirigerle al bene comune. Ma le
rivoluzioni, a questi ultimi tempi, sorsero inaspettate, non preparate, artificialmente connesse;
furono dirette al trionfo d'una classe sovra un'altra, d'un'aristocrazia nuova sovra una vecchia - e del
popolo non si fece pensiero - poi, procedettero sulla fede di principii fittizi, lasciati all'arbitrio di
governi astuti che gl'interpretassero, paurose di ogni cosa, disperate d'ogni soccorso che non venisse
dalla diplomazia, o dallo straniero; l'una, arte essenzialmente menzognera, l'altro, essenzialmente
sospetto, amico talvolta dei forti, non mai de' fiacchi. Noi vedemmo uomini insultare a re,
imponendo loro leggi e patti che insegnavano aperta la diffidenza, e dimezzavano il loro potere - e
nello stesso tempo fidarsi illimitatamente nelle loro promesse, e ne' loro giuri, come se i tiranni
avessero un Dio nel cui nome giurare. Vedemmo assalita nelle costituzioni proposte l'aristocrazia, e
non pertanto venir chiamata alla somma delle cose, come se le caste potessero mai suicidarsi.
Leggemmo sulle bandiere il nome d'Italia, mentre si rinnegavano ne' proclami e nelle operazioni i
fratelli vicini e insorti per la stessa causa, nell'ora stessa, in forza di concerto comune. Udimmo
gridare indipendenza di territorio, mentre il barbaro guardava alle porte; e intanto l'andamento de'
nuovi governi si fondava sulla speranza d'evitare una guerra, che la natura ha posta eterna fra il
padrone e lo schiavo che rompe la sua catena - e si frenavano i giovani che volevano diffondersi in
più largo terreno - e si decretavano toghe, non armi. - Errori che ci hanno fruttato taccia di codardia
dagli stessi che ci hanno illusi vilmente e traditi: errori, figli forse più delle circostanze e della
infamia de' gabinetti europei, che degli uomini preposti alle cose nostre; ma tali che il sostenerli
avvedimenti politici di profonda esperienza, è oggimai parte d'inetti, o di traditori. -
E allora - guardammo d'intorno a noi; allora ci lanciammo nell'avvenire. L'anima sconfortata dalle
lunghe delusioni si ritemprò nella coscienza d'una eterna missione, si rinfiammò nel sentimento
d'un furore di patria, d'un voto di libertà ch'è la vita per noi. Gli errori de' padri erano voluti dai
tempi: ma noi perché dovevamo insistere sugli errori de' padri? Gli anni maturano nuovi destini: e
noi, contemplando il moto del secolo, intravvedemmo una giovine generazione, fervida di speranze
- e la speranza è il frutto in germoglio - commossa a nuove cose dall'alito spirituale dell'epoca -
agitata da un bisogno prepotente di forti scosse e di sensazioni: e di mezzo ad essa, tra la incertezza
de' sistemi, tra l'anarchia de' principii, dall'individualismo del medio-evo, dal fango che fascia la
vita italiana, vedemmo sorgere qua e là uomini che vivono e muojono per una idea, levarsi anime
che, come Prometeo, protestano contro la fatalità che gli opprime e l'affrontano sole, apparire
aspetti che hanno una profezia d'avvenire sulla fronte: esseri d'una natura superiore che la natura
caccia sempre sulla terra al finire d'un'epoca per congiungerla colla nuova - e tutta la generazione, e
que' pochi privilegiati non mancano, ad esser grandi, che d'un riconcentramento d'opinioni e
tendenze, d'una unità nella direzione, d'una parola feconda, energica, incontaminata d'odio e paura,
che riveli nudo e potente il voto del secolo. -
Questa parola noi la diremo. -
Questo voto noi tenteremo d'interpretarlo. Tutte le tendenze che ci parve intravvedere nel secolo, e
che abbiamo accennate nel corso di quest'articolo, noi le svilupperemo nel nostro giornale
coll'ardore di gente che né spera, né teme dai partiti politici, e non vede sulla terra se non uno scopo
e una via per arrivarlo. E da queste tendenze ch'or sono in germe, da tutte le necessità che sgorgano
innegabilmente dai fatti trascorsi, dalle ispirazioni dell'epoca, escirà, noi lo speriamo, un sistema
che raccoglierà intorno a sé la generazione crescente. Non è che un sistema, ripetiamolo anche una
volta, che noi abbiamo voluto accennare col nome di Giovine Italia; ma questo vocabolo noi lo
scegliemmo, perché con un solo vocabolo ci parea di schierare innanzi alla gioventù italiana
l'ampiezza de' suoi doveri, la solennità della missione che le affidano le circostanze, perch'essa
intenda come l'ora è suonata di levarsi dal sonno ad una vita operosa e rigeneratrice. - E lo
scegliemmo perché, scrivendolo, noi avevamo in animo mostrarci quali siamo: combattere a visiera
levata; portare in fronte la nostra credenza, come i cavalieri del medio evo la tenevano sullo scudo -
però che noi compiangiamo gli uomini che non sanno la verità, ma disprezziamo coloro che
sapendola non osano dirlo. -
Vergini di vincoli, e di rancori privati, con un cuore ardente di sdegno generoso, ma schiuso
all'amore, senz'altro desiderio, fuorché di morire pel progresso dell'umanità e per la libertà della
patria, noi non dovremmo essere sospetti d'ambizioni personali, o d'invidie. - La invidia non è
passione di giovani. - Fra noi chi cura gli individui? chi move guerra a' nomi? L'epoca de' nomi è
consumata: siamo all'epoca de' principii; non difendiamo, né assaliamo che questi, non siamo
inesorabili che su quel terreno. Là è il perno del futuro; là stanno le nostre più care speranze. - Le
generazioni passano; i nomi e le battaglie intorno ad essi passeranno soffocate dal torrente popolare,
che sta per diffondersi. Stendiamo un velo sui fatti che furono: chi può far che non siano? - ma
l'avvenire è nostro; le teoriche del passato noi le rifiutiamo pel tempo che c'incalza. Noi cacciamo la
nostra bandiera tra il mondo vecchio ed il nuovo - chi vuole s'annodi intorno a questa bandiera; chi
non vuole, viva di memorie, ma non cerchi di sollevarne un'altra, caduta e lacera.
Che se tra gli uomini, a' quali l'esser nati in un'epoca anteriore alla nostra ha stillato un dubbio
nell'anima che si voglia per noi e per le nostre dottrine rimoverli dalla impresa, vi sono alcuni che
abbiano la canizie sul capo, e l'entusiasmo nel core, uomini che procedendo col tempo veglino lo
sviluppo progressivo degli elementi rivoluzionari, e modifichino a seconda di questo sviluppo il
loro piano d'operazione, oh vengano a noi! guardino spassionatamente alle nostre teoriche, a' nostri
atti, ai nostri affetti - e vengano a noi! Vengano, e ci snudino le ferite onorate, che ottennero nei
campi delle patrie battaglie: noi bacieremo quelle sante ferite; venereremo que' capegli canuti;
accetteremo il loro consiglio, e raunandoci intorno ad essi, li mostreremo con orgoglio a' nostri
nemici sclamando: noi abbiamo la voce del passato e quella dell'avvenire per la nostra causa! -
Sia dunque pace! - Pace è il voto dell'anime nostre. In nome della patria - in nome di quanto v'è di
più sacro, noi gridiamo pace! - L'accusa di seminar la discordia ricada sulla testa degli uomini che
si gridano liberi, e non ammettono progresso nelle cose umane - che parlano di concordia, e
accumulano le interpretazioni maligne e i sospetti sulle parole proferite candidamente - che
predicano la unione, e schizzano il veleno sulle intenzioni. - Con questi, non è via d'accordo
possibile. -
Giovani miei confratelli - confortatevi, e siate grandi! - Fede in Dio, nel dritto, ed in noi! - era il
grido di Lutero, e commosse una metà dell'Europa. Inalzate quel grido - e innanzi! I fatti
mostreranno se c'ingannammo, dicendo che l'avvenire era nostro. -
NOTA DELL'AUTORE
(1) L'Epigrafe è troppo assoluta, perché noi la ammettiamo senza riserva, e rimettiamo all'articolo.
Ma non abbiamo potuto resistere al piacere di registrare in favore della gioventù un giudizio
pronunciato da uno de' primi padri della dottrina, che contende alla nuova generazione la facoltà di
progresso.
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